Dalla raccolta
PROMESSE
Poesie e racconti brevi
di Antonio Ferrin
del 1992
IL TAFANO
Ieri sera ho notato un tafano sul muro della cucina, la sua vista mi ripugnava, e ho cercato quindi di fargli guadagnare l'aria libera ma, non riuscendovi, ho deciso di immobilizzarlo lasciandolo infine
apparentemente inanimato sul pavimento.
Infatti non era morto, perché questa mattina si trascinava faticosamente nella stanza, e allora l'ho
raccolto e gettato sul davanzale della finestra dove un piccolo ragno aveva teso un'invisibile rete nella
quale il tafano rimase subito prigioniero: l'infelice si divincolò per liberarsi, ma peggiorò la sua
situazione, e lo stesso tessitore accorse per renderne sicura la cattura.
Il grosso tafano, ormai consapevole dell'inutilità di ogni resistenza, e quindi della prossima sua fine,
era immobile e il ragno, così piccolo al suo cospetto, lo dominava e ne esplorava il corpo per
individuare il punto da cui avrebbe aspirato la linfa.
Non volendo essere testimone di questa visione terribile e vera, con un colpo di saggina ho
distrutto la tela, e il tutto ho gettato nella terra.
FIORINA
Era l'una nel pieno della notte quando l'Odilia si imbacuccò ben bene, uscì dalla stalla e si avviò sul
sentiero del Versurone. Faceva molto freddo, la neve caduta ostacolava il passo della donna che
tuttavia procedeva per raggiungere i casolari più lontani, fino alle pendici del monte.
Doveva farlo perché era morta improvvisamente Fiorina, la mucca, la loro unica mucca, e la disgrazia avrebbe avuto più gravi conseguenze economiche se subito, prima che facesse giorno, non si fosse
riusciti a venderne la carne ai contadini della valle.
Nella sfortuna infatti scattava la solidarietà dei valligiani che acquistavano come carne macellata fresca
quella che altrimenti il Veterinario comunale avrebbe fatto distruggere. Perciò, mentre l'Odilia
svegliava i paesani e li invitava a prendersi il loro pezzo di vacca, Viterbo, suo marito, era nella stalla
intento a smembrare la carcassa dell'animale, e imprecava per quello che gli toccava fare alla povera
bestia.
Tutti giunsero alla cascina prima dell'alba, quasi in processione, per scegliere la loro parte, e di Fiorina non rimasero che gli zoccoli, la coda con il ciuffo, e un mucchio di ossa pulite.
I contadini sostarono presso il camino per i soliti commenti di circostanza, il bicchiere di vino in mano per rinfrancarsi e riscaldarsi prima di fare ritorno alle loro case.
Rimasti soli, Odilia e Viterbo si abbandonarono stremati sulla vecchia ottomana, a guardarsi senza parlare.
Più tardi l'uomo si recò all'Ufficio Comunale per denunciare la macellazione del bovino, poi andò al
mercato bestiame per cercare una vitella che, disse, avrebbe chiamata Fiorina.
WALFRIDO
Walfridoo...Walfridoo..., si spolmonava l'Amerisa, ormai con la voce a pezzi; si era inoltrata nei boschi cedui del Praticciolo e dell'Acquachiara alla ricerca di Walfrido, figlio tanto amato quanto
fonte di preoccupazione. L'uomo, trentenne, soffriva di turbe mentali perché si diceva fosse "nato
con il forcipe", ma i suoi problemi psichici non erano tali da costituire pericolo per la comunità, che
infatti lo considerava un folletto benigno, e gli stessi paesani aiutavano l'Amerisa nell'accudirlo.
D'altra parte, Walfrido era veramente mite, incapace di aggressività, e le sole stramberie erano di
camminare senza posa per il paese, con lo sguardo assente e sorridente, e di vagare nei boschi alla
ricerca di ceppi nuovi su cui cacare.
Sì, proprio così, per i bisogni più importanti entrava nella selva, individuava il ceppo, magari tagliato
di fresco che l'ispirava e lì faceva il suo bisogno. Tutti sapevano di questa bizzarria e ne ridevano,
mentre sua madre ne moriva di vergogna.
Quella mattina, finalmente, l'Amerisa lo intravide accovacciato sul ceppo prescelto: il figlio era tutto
assorto, lo sguardo smarrito tra le fronde che nascondevano il cielo. Lo chiamò ancora una volta e lui,
senza tradire emozioni di sorta, si sistemò i pantaloni e la raggiunse fra i noccioli.
Era accaduto che il Sindaco, su consiglio del Medico Condotto, aveva disposto per Walfrido una visita
neurologica di controllo nel Policlinico di Modena, e perciò Arduino e Tullio, le guardie comunali, lo
aspettavano per condurvelo.
La comitiva avrebbe dovuto fare ritorno al borgo prima di sera, e il Sindaco, che aveva buone ragioni
per diffidare dei due funzionari, si era prodigato con consigli e raccomandazioni paterni.
I tre partirono alle otto del mattino con la macchina di servizio: Arduino alla guida, Tullio al suo fianco, e Walfrido sul sedile posteriore, presero la Statale dirigendo verso la pianura con un'andatura
lenta e prudente, quasi solenne, come se Arduino, consapevole del compito affidatogli, volesse
rimarcare il proprio ruolo di conduttore e capo spedizione.
Giunti alla Cascina Rossa, Tullio propose di sostarvi per riscaldarsi con la famosa grappa clandestina
di Rodolfo, le due chiacchiere e più di un bicchierino fecero volare il tempo e, ripreso il viaggio, quasi
subito Arduino decise di fermarsi alla Locanda del Cervo.
Solo per un bianco disse, e così con Tullio se ne fece un litro, mentre con gli altri avventori parlavano
di donne, e dei funghi che abbondavano nei boschi delle Polle.
Walfrido, rigorosamente astemio, osservgava paziente gli Ufficiali del Comune che centellinavano il
vino e sorrideva sempre a tutti, felice di essere fra tanta gente nuova. Poi fecero tappa alla trattoria
della Querciagrossa che era l'ora del pasto sacrosanto, e bevvero e mangiarono senza misura, il povero
Walfrido, pure nella sua confusione mentale, sembrava capire, e forse iniziò a preoccuparsi quando,
risaliti in macchina, le due guardie, stonatissime, si misero a cantare a squarciagola e Arduino pigiò
l'acceleratore affrontando le curve con stridore di gomme e freni.
Infine giunsero in pianura, e in vista della città i due, con il folletto che li seguiva docilmente, fecero
un'altra pausa all'Aquila Bianca per ingollare una buona dose di nocino per rimediare, così dissero,
alla pesantezza di stomaco che li affliggeva.
Arduino e Tullio erano ormai in un loro mondo felice, in uno stato di ebbrezza totale; era pomeriggio
inoltrato e il cielo già si incupiva quando attraversarono la città diretti al Policlinico, violando segnali
e divieti vari, provocando così l'inseguimento dei Vigili Urbani. Questi raggiunsero i montanari al
Pronto Soccorso, dove Arduino e Tullio, farfugliando e ondeggiando, si esibirono in uno spettacolo
esilarante e grottesco, e non seppero spiegare il motivo della loro calata in città.
Walfrido che era sobrio, nonostante la sua aria stranita e il sorriso stereotipato, passò per un signore
qualsiasi che era lì per caso. Ce ne volle per chiarire ogni equivoco per scongiurare il pericolo che il
folletto fosse lasciato libero e indifeso nella città, e che i due vitaioli fossero ricoverati nella Neuro.
Lassù in paese si parla e si ride ancora dell'avventura di Walfrido e dei due compari.
Arduino e Tullio hanno perso in autorità, ma nessuno lo sa o lo dice, e la vita continua come sempre.
Il Sindaco, che in pubblico deve darsi un contegno, si è sbellicato come pochi in privato, ma ha deciso
che la prossima volta Walfrido sarà accompagnato in città dai carabinieri.
Antonio Ferrin
Modena 1992
SCRIBERE

libreria di zurau
mercoledì 22 giugno 2016
lunedì 13 giugno 2016
Da "FRAMMENTI DI SOGNO" del 1986
ATTIMO RIONE MOTTA
Presagi di voluttà Il sole penetra sono gli aromi a spicchi
nell'aria lieve disegnando
il turbine di pensieri ombre informi
si dipana di case pallide
tra fronde chiassose e mute.
di queruli passeri. Logge
Sussurri di mistero di legno antico
chiamano altrove tetti di beola
echi di suoni remoti abbaini e fumaioli
vagano nella selva mostrano al sole
sono amati tenui colori.
frammenti L'azzurro denso
di sogno. si perde
fra aspri pendii
dove il borgo
A.Ferrin 1986 è incastonato
come pietra dura.
Povere vecchie case
come dimenticare
se colori di pietre
aromi di abetaie
giungono qui
a ricordare un'altra età?
A. Ferrin 1986
SULLA STRADA
Procedi verso il mare
con affanno
solchi terre verdi
di Romagna.
Cortine di colline guardano la grande via
con sguardi furtivi
cogli lampi di bellezza
l'ordine mirabile
dei vigneti
i frutteti nella piana
fieri cipressi
schierati
sui declivi
la maestosa farnia
nel campo di stoppie.
Ma non puoi sostare
corrente impetuosa
di macchine urlanti
costringe nell'asfalto
infido e fuggi
la massa che incombe.
Non ha volto
il suo mistero è sfida.
Felice viandante
d'altre stagioni!
Regolava il passo al ritmo
consueto della natura
per sentieri polverosi
viveva l'avventura
con ombre benigne
presenze umane.
A.Ferrin 1986
martedì 7 giugno 2016
I M P O S T U R A
Impostura
"l'impostura è l'anima
della vita sociale: il mondo
è una lega di birbanti contro
gli uomini da bene, e di vili
contro i generosi".
(Giacomo Leopardi)
Leopardi ha ragione? Ha torto? Per alcuni è troppo rigido, per altri il suo pessimismo viene dalla sua
esistenza infelice, o dall'essere un Poeta che sogna e idealizza bellezza e purezza, un uomo e una umanità perfetti, che tali non sono, nè potrebbero essere.
D'altra parte, tutti noi, in un soprassalto di buonismo a buon mercato, siamo disponibili ai buoni
sentimenti, o a compiere gesti edificanti, e mai sottoscriveremmo l'affermazione del filosofo antico, secondo il quale "l'uomo è fatto di fango e sterco".
Invece le scienze umane, tutte, dall'antropologia alla biologia del mondo animale e vegetale dicono
che Leopardi ha ragione.
E' anche vero che i primi uomini usciti dalle caverne, hanno scoperto gradatamente di essere grandi esperti nel "gioco delle tre carte", e si sono impegnati nell'escogitare e razionalizzare strutture e sovrastrutture sempre più complesse per organizzare la loro vita sociale ma, a dispetto degli ingenui
e dei pochi benintenzionati, la loro faticosa evoluzione e creatività non ha consentito loro di affrancarsi dagli istinti animali primordiali, quali l'istinto predatorio, l'aggressività, e la volontà di dominio, e perciò essi sono condannati alla perenne lotta per la vita, una vita in cui si perpetua il dominio dell'uomo sull'uomo.
E Dio, inconoscibile e imperscrutabile, forse osserva divertito da lontano il dibattersi di una umanità brulicante che crede di sapere perché, e per chi vive.
Antonio Ferrin
Riproduzione riservata
Modena, 07/06/2016e
"l'impostura è l'anima
della vita sociale: il mondo
è una lega di birbanti contro
gli uomini da bene, e di vili
contro i generosi".
(Giacomo Leopardi)
Leopardi ha ragione? Ha torto? Per alcuni è troppo rigido, per altri il suo pessimismo viene dalla sua
esistenza infelice, o dall'essere un Poeta che sogna e idealizza bellezza e purezza, un uomo e una umanità perfetti, che tali non sono, nè potrebbero essere.
D'altra parte, tutti noi, in un soprassalto di buonismo a buon mercato, siamo disponibili ai buoni
sentimenti, o a compiere gesti edificanti, e mai sottoscriveremmo l'affermazione del filosofo antico, secondo il quale "l'uomo è fatto di fango e sterco".
Invece le scienze umane, tutte, dall'antropologia alla biologia del mondo animale e vegetale dicono
che Leopardi ha ragione.
E' anche vero che i primi uomini usciti dalle caverne, hanno scoperto gradatamente di essere grandi esperti nel "gioco delle tre carte", e si sono impegnati nell'escogitare e razionalizzare strutture e sovrastrutture sempre più complesse per organizzare la loro vita sociale ma, a dispetto degli ingenui
e dei pochi benintenzionati, la loro faticosa evoluzione e creatività non ha consentito loro di affrancarsi dagli istinti animali primordiali, quali l'istinto predatorio, l'aggressività, e la volontà di dominio, e perciò essi sono condannati alla perenne lotta per la vita, una vita in cui si perpetua il dominio dell'uomo sull'uomo.
E Dio, inconoscibile e imperscrutabile, forse osserva divertito da lontano il dibattersi di una umanità brulicante che crede di sapere perché, e per chi vive.
Antonio Ferrin
Riproduzione riservata
Modena, 07/06/2016e
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