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libreria di zurau

mercoledì 31 maggio 2017

SOLDATI

                                                                      SOLDATI



Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.
( G. Ungaretti)

Ungaretti scrive questi versi nel luglio 1918: è un soldato in trincea, come migliaia di commilitoni, a
fronteggiare gli Austroungarici attestati nelle trincee opposte, e sono testimoni dello stillicidio di vite
causato dalla lunga e feroce guerra di posizione, e da qui scaturisce l'immagine felice, pur nella sua
drammaticità, delle foglie tremolanti d'autunno ormai prive di linfa, spossate che attendono infine il
momento della caduta nel terreno che da esse sarà concimato.
La poesia mi ricorda anche la Fortezza Bastiani nel "Deserto dei Tartari" di Buzzati; in essa è il Tenente Drogo che dagli spalti della Fortezza attende invano il nemico, minaccia inquietante che incombe ma non appare all'orizzonte.
Trascorre così, tra paura di morire e il desiderio di combattere, quasi tutta la sua vita di militare
in attesa del nemico, ma fino all'orizzonte c'è il deserto senza fine.
Infine, quando il nemico si materializza, Drogo è ormai malato e moribondo: non può combattere come ha desiderato per lunghi anni, ma ha sconfitto la paura della morte tanto attesa e temuta.
Tuttavia questi pochi versi del Poeta dicono della precarietà della nostra esistenza e dell'equilibrio temerario in cui fluttua la vita e tutto ciò che la circonda: non possiamo opporci al ciclo vitale che ci accomuna agli animali, alla vita in tutte le sue forme e il cui esito è ineluttabile.
Un destino che ci tocca, che non è nella nostra disponibilità: possiamo solamente sperare che una morte benigna ci colga "vivi".
A. Ferrin
modena
31 maggio 2017


mercoledì 17 maggio 2017

CRONACA ESTENSE

                                                                  CRONACA ESTENSE

E' una bella giornata di piena primavera, l'aria è meno frizzante, e il tutto sembra propiziare
la riuscita della gita che ho organizzato con il dottor Crucetti e sua moglie Filomena Materdomini.
La meta è Ferrara; in realtà Filomena è interessata a una visita di devozione in una  chiesa ferrarese teatro nel medioevo di un famoso prodigio: durante la celebrazione della messa da parte del Sacerdote, incredulo circa la reale presenza di Cristo nell'Eucarestia, nell'attimo in cui spezzò l'ostia, zampillò dalla stessa un fiotto di sangue che in parte schizzò sulla volta della Cappelletta in cui si svolgeva il rito. Secondo le cronache, la pietà e credulità popolare,  sarebbero ancora visibili le tracce del sangue impresse nell'intonaco antico.
Io sono meno interessato all'aspetto religioso, e infatti colgo l'occasione per tornare nella mia terra dove ho trascorso la giovinezza, e mi propongo di condurre gli amici nelle vie medioevali della città
e in quelle del suo splendore Rinascimentale.
Ma sono consapevole che dovrò fare atto di presenza alla cerimonia religiosa prevista nel Santuario;
alla compagnia si è unita anche Rosaria, una zia di Filomena, e le due donne gareggiano in devozione alla Madonna, ai santi e al papa Bergoglio: siamo nella vettura guidata da Crucetti, e subito le due donne ostentano vistosi segni della croce, Filomena asperge le vettura e noi uomini con l'acqua
benedetta di Medjugorje.
Il tutto era prevedibile, noi vogliamo essere tolleranti e quindi abbozziamo un sorriso di circostanza.
Da notare che per tutto il tragitto Modena/Ferrara l'amico Crucetti del Tavoliere ha tenuto a ricordarci che: "io sono malato, e ho tanto di certificati che attestano il mio stato", e di seguito ancora: "vi ricordo che io sono malato, che prendo 16 pastiglie al giorno", al che mi sono offerto di sostituirlo alla guida, poiché eravamo preoccupati di dove potesse condurci il malato Crucetti, padrone delle nostre vite, ma non ha mai accettato di lasciare il volante.
Finalmente siamo a Ferrara. Ci addentriamo nelle strette vie del quartiere Medioevale e troviamo un comodo parcheggio a ridosso di S.Maria in Vado ( Vado sta per Guado: la Ferrara del tempo era, più di quanto lo sia ora,  una "Terra d'acqua", attraversata da rami secondari del Po, in parte immersa in acque lagunari e paludose e nel luogo c'era un corso d'acqua che doveva essere guadato) ; il primo nucleo di questa Chiesa è del 1100, ma nel '400, in seguito al miracolo del 1171, Biagio Rossetti costruì il nuovo grande Santuario inglobandovi la cappella teatro dell'evento prodigioso.
Entrati nel Tempio, io mi prodigo in dettagli sulla storia della chiesa, barocca e sontuosa, dotata di
un organo a canne del'500, ma le pie donne sostano alle statue dei santi e accendono lumini.
Tutte le chiese edificate dal Rossetti hanno caratteristiche inconfondibili: la facciata delimitata in alto da due cimase decorative ai lati, il rosone centrale, portale in marmo pregiato e altre finiture in cotto: in questa chiesa, come nella Ferrara medioevale e rinascimentale, il cotto è dominante.
L'Architetto del Duca d'Este, autore di altri importanti edifici religiosi della città, fu sopratutto il geniale ideatore della nuova Ferrara Rinascimentale sotto il Duca Ercole I d'Este; infatti è detta
"Addizionale Erculea" la somma dei nuovi assi stradali perpendicolari che, superando le vecchie mura e inoltrandosi nella campagna, costituirono le basi della nuova urbanizzazione della città: così Ferrara divenne famosa e considerata la città urbanisticamente più moderna d'Europa.
Guido gli amici al tabernacolo monumentale che contiene la volta della cappella dove dovrebbero
essere ancora impresse le macchie di sangue dell'evento miracoloso, ma qui è giusto sottolineare che
tutto ciò è materia di fede.
Già all'ingresso del Santuario ho notato più di un prete in abito talare, e la cosa mi ha sorpreso perché
è cosa rara vedere tonache nere: ormai i preti vestono in borghese e si mimetizzano fra la gente comune.
Una musica d'organo si diffonde nelle navate, le note non sono dell'imponente e antico organo pensile, ma provengono da una cappella laterale dove scorgo un uomo piccolo, il viso rubizzo e con
un poco di pinguedine intento alla tastiera di un organo elettronico.
Sono un curioso incorreggibile e chiedo all'uomo del grande organo inutilizzato, allarga le braccia e afferma che l'organo è prezioso ma anche malconcio, avrebbe bisogno di un restauro radicale e perciò non si utilizza per non aggravarne le condizioni.
L'uomo parla volentieri e dice di essere "distaccato" pro tempore in S.Maria da un convento dell'avellinese, e di fare parte della Fratellanza Familia Christi, a me sconosciuta e che forse è una delle tante conventicole in cui si ritrovano i numerosi gruppuscoli che contestano il Magistero Ufficiale della Chiesa, infatti l'uomo si chiama Olivo, è un Oblato della comunità e mostra subito una vera avversione per Papa Bergoglio che considera usurpatore e traditore della vera dottrina, mentre ritiene che il dimissionario Benedetto XVI sia ancora il vero Papa.
Filomena e Rosaria si sono unite a noi, ma evidentemente la prima non ha afferrato del tutto il senso
della conversazione perché riferisce  che il suo parroco ha definito Bergoglio uno scimmione, e si
aspetta che l'altro ne sia scandalizzato, e invece l'Oblato rincara la dose: il suo parroco è stato molto
buono!  Filomena è attonita, barcolla e si allontana borbottando parole confuse.
Allora percepisco e capisco quello che accade in questa chiesa: sempre più chierici, per lo più giovani
(probabilmente seminaristi) fanno il loro ingresso, tutti in abito talare, alcuni in cotta, con turiboli e candelieri, e più discosto sta un prete in cotta e stola, ritto al centro della navata e che dall'alto della sua statura ha l'aria di volere sovrintendere a quanto accade.
L'atmosfera nella Basilica è satura dei fumi di incenso, dell'odore della cera fusa, un'atmosfera d'altri tempi, avverto nell'aria qualcosa di arcano, quasi di esoterico, i fedeli sono numerosi e disciplinati, con sguardi rapiti snocciolano litanie e giaculatorie, e si apprestano a seguire la messa con il rito preconciliare in latino, in cui il celebrante indossa l'antica pianeta e volge le spalle ai fedeli; è singolare che questi preti, non so come definirli altrimenti, hanno sul capo una sorta di papalina o zucchetto retato che mi ricorda i copricapo indossato da Moni Ovadia, l'artista opinionistal
onnipresente nelle trasmissioni TV.
E intanto l'Oblato all'organo continua a pigiare sui tasti e intona, solitario, motivi sconosciuti che ricordano il canto gregoriano, e in una pausa del canto riesce a dirmi, con aria complice, che presto
Bergoglio, l'usurpatore, sarà costretto alle dimissioni; a un tavolinetto nella navata centrale siede un
giovane in abito talare addetto alla distribuzione di santini e letteratura religiosa, e inganna l'attesa armeggiando con il suo Iphone, ma il prete con la stola lo fulmina con lo sguardo e quello ripone l'apparecchio.
Infine, all'Ite Missa Est, accade l'imprevedibile: si apre la porticina della canonica e fa il suo ingresso
l'Arcivescovo di Ferrara Mons. Luigi Negri, in realtà è ormai "Arcivescovo emerito" perché il Papa lo ha sostituito con un nuovo presule.
Mons. Negri vuole salutare il suo gregge, c'è una certa mestizia nelle sue parole, ma nello stesso tempo sembra parli da un'ultima trincea, chiede le preghiere e rassicura tutti che sarà sempre vicino a questa comunità: ora ho conferma del fatto che Mons. Negri ha reso possibile che questa nuova Fratellanza Familia Christi si stabilisse nel Santuario di S.Maria in Vado.
Sono molto stanco e turbato da questo spettacolo, esco a prendere aria e mi inoltro nel chiostro attiguo dove si festeggia il Battesimo di un bambino: c'è serenità diffusa, distribuiscono confetti e
bomboniere, e il buffet è preso d'assalto da parenti e amici.
Rientro nella chiesa dove scorgo Crucetti ancora seduto davanti all'altare, la cosa mi sorprende perché il cavadenti è più scettico della moglie Filomena, ma poi penso che egli, memore di essere un malato con tanto di certificazione medica, voglia pregare i Santi e la Madonna perché intercedano per la sua salute: non si sa mai!
Ora la comitiva dei pellegrini, come a un comando, si sposta compatta davanti a un altare della Madonna e, in ginocchio sul pavimento, rivolgono invocazioni alla Madonna, invocazioni che
hanno sempre lo stesso tenore: la protezione della vera fede da coloro che attentano alla sua integrità, e tutti i fedeli presenti (esclusa la Filomena) sanno bene che il convitato di pietra è Bergoglio.
Finalmente, io e Crucetti riusciamo a staccare le due donne dall'inginocchiatoio, usciamo sul sagrato della chiesa inondato dal sole e per via Borgodisotto e Volta Casotto entriamo al "Cucco", vecchia trattoria dell'ex Ghetto dove consumiamo i famosi "cappellacci di zucca"; nel menù c'è anche la "salama da sugo" altra specialità ferrarese, ma noi preferiamo non appesantirci troppo. e d'altra parte
è assente Paolo della Rocchetta, vero cultore dell'insaccato.
Quindi con la macchina ci avviciniamo al centro monumentale di Ferrara: nel parcheggio dei Teatini incontriamo un cerbero di Vigile Urbano che mostra i muscoli e vuole punire la condotta del nostro conducente che, a suo dire, è passibile di una sanzione di oltre 160 euro e con la decurtazione di 8 punti della patente, ma infine con nostra soddisfazione il Vigile, valutate le attenuanti esistenti, rinuncia a elevare contravvenzione.
Eccoci dunque arrivati all'imponente Castello Estense e alla solennità del Duomo, davanti alla statua del Savonarola, nella Piazzetta Municipale con lo Scalone di Leon Battista Alberti, e dove gli sbandieratori del Palio si esercitano con gli stendardi al suono di trombe e tamburi, ma è corretto
dire che tutto il centro di Ferrara è molto bello: siamo capitati nel mezzo dei festeggiamenti per la
promozione della SPAL in serie A, i tifosi sono chiassosi ma rispettosi di cose e persone.
Siamo ormai sulla strada del rientro a Modena, usciamo dalla città ammirando le grandi vie della
"Addizionale" e costeggiamo le mura antiche che cingono ancora la città, una cinta convertita in area verde alberata.
Modena, 14-05-2017                                                                                         Antonio Ferrin
                                                                                                                                                 







giovedì 11 maggio 2017

COLORI

                                                                    COLORI


Iride
Garbuglio                          
Festoni                                                                          
Luci spettrali
Lampi di fuoco
Tracciano                                                                                  
Geometrie infinite                                                                  

Felice
Del cielo blu
Negli occhi tuoi            
Di smeraldo    
Il prato
Un fiore rosso
Nei tuoi capelli

Sogno
D'altra vita
Siamo fatti
Di sogni
E' poco?
E' tutto!

A.Ferrin
modena, 11 maggio 2017

lunedì 8 maggio 2017

OTTIMISMO

                                                             
                                                                     OTTIMISMO



Perché essere ottimisti? In realtà non è un obbligo essere ottimisti, ma tutta la comunicazione dei
poteri piccoli e grandi vuole che lo siamo, ci alletta e sprona a entrare nel grande "mercato" che abbacina la mente, e lo fa con strumenti finissimi e manipolatori.
E la ragione di ciò è molto semplice: il "sistema" tutela se stesso, deve perpetuarsi per la tutela della
Specie(noi), perché l'istinto di sopravvivenza deve necessariamente prevalere sui limiti enormi della
natura, così come sono le brutture e le nefandezze dell'uomo.
Infatti sarebbe sufficiente un occhio attento alla povertà endemica di intere popolazioni, alla lotta
feroce che gli uomini sostengono per conquistare un tozzo di pane, alle guerre, alle ingiustizie cui
devono soggiacere nella lotta continua per prevalere gli uni sugli altri, e così partecipare alla
"selezione della specie" selezione che vede vincitori i più forti, ovviamente.
E pertanto, l'ottimismo cui mi riferisco è una necessità come l'istinto alla vita proprio della natura, l'istinto che ci induce all'illusione di essere eterni, che non moriremo, e tutto congiura contro di
noi e ci condanna a rivivere il ciclo infinito "vita-morte" come quello di una qualsiasi colonia di
insetti laboriosi.
Se poi si considera anche la sfera delle neuroscienze, quella parte del nostro organismo (la mente e il SNC) soggetto a mutazioni imprevedibili che possono limitare, se non pregiudicare la nostra capacità
di essere autonomi e liberi, allora la nostra condizione umana appare ancora meno invidiabile.
E' triste tutto questo? E' molto triste, ma fortunatamente  nell'uomo c'è il meccanismo della rimozione
che ne offusca spesso la consapevolezza, quella della tragedia di cui è attore e vittima nello stesso tempo.
Una delle tante esemplificazioni di quanto scritto qui sopra può essere il film visto ieri:
"Sole, Cuore, Amore", storia drammatica ed emblematica della condizione umana, di una donna tra
i miliardi di uomini e donne che percorrono la stessa strada di sofferenze e privazioni perché spinti
dall'imperativo di "dovere vivere", fra e con le illusioni.
Ma nelle storie raccontate o rappresentate sullo schermo o a Teatro, subentra il meccanismo fuorviante  della distanza dello spettatore rispetto alla vicenda cui assiste: meccanismo che gli consente di estraniarsi, e pensare di non essere parte in causa.
Pertanto, il pessimismo dei filosofi è ampiamente giustificato, e opportuno il loro consiglio di liberarsi dei condizionamenti insiti nella natura umana, di non partecipare al clamore e frastuono della competizione per recuperare così  un poco di libertà, appartati dalla folla e dal mondo, affrancandosi così anche dai "desideri", spesso richiami seducenti e irresistibili: in fondo sono i tratti
distintivi delle filosofie orientali.
A questo proposito mi sembra molto bella la poesia Zen di Eichu( 1340-1416)

I miei occhi stanno in ascolto tra le ciglia!
Ho chiuso con le solite cose!
Che senso ha la cavezza, la briglia
Per chi si è scosso di dosso ogni artificio?


Ma, nonostante la visione pessimistica del mondo in cui viviamo, c'è un aspetto consolatorio nella
vita: la possibilità di condividere le emozioni per le cose buone e belle, condividere tutto quanto può essere utile per elevarci al di sopra dei miasmi, insomma per "cadere in piedi"
E' un balsamo per le nostre tristezze e ferite, un mezzo per non restare soli con noi stessi, chiusi nei nostri limiti, ridotti in un soliloquio sterile.

A.Ferrin

modena,8 maggio 2017