Ieri sera, relegato in casa, ho visto un bel film della regista indiana Deepa Mehta. "WATER il coraggio di amare", è la storia vera di una sposa-bambina di 8 anni che in India, alla morte del "marito" molto più anziano, è rinchiusa in una comunità di vedove dove, tra privazioni varie, dovrà attendere la fine dei suoi giorni. Nella religione INDU, la donna rimasta vedova è in parte ancora legata al defunto del quale può seguire il destino immolandosi sulla sua pira, oppure può sposarne il fratello minore, e infine può ritirarsi in un rifugio per vedove e condurre la vita tra preghiera, elemosina e privazioni varie; non può risposarsi pena la vergogna per se e la famiglia del marito. Si valuta che in India, attualmente, vi siano 30 milioni di donne vedove emarginate dalla società. Visionando il film, peraltro molto bello, ho pensato alle donne dell'Occidente ricco e "progredito" che, non paghe dei diritti acquisiti, ne rivendicano sempre di nuovi; è vero che tutto va contestualizzato per evitare facili e ingiuste semplificazioni, ma per me è istintivo suggerire alle donne fortunate di volgere lo sguardo ai problemi delle donne del terzo e quarto mondo. Ma, infine, perché meravigliarsi: noi siamo parte del mondo del benessere, del consumismo, della società affluente, e quindi del "consumo" di diritti e libertà delle quali non siamo mai sazi. Tuttavia nel film non manca la nota di speranza: l'esito positivo di un rapporto affettivo tra l'uomo e la donna di caste diverse, inizio promettente un cambiamento sociale lento, ma inevitabile.
modena, 26/6/2022