NATALE?
L'interrogativo è d'obbligo; forse è sempre stato così, ma in ogni caso l'atmosfera che si avverte
in questi giorni non è quella dell'attesa di una festa, o di una sentita commemorazione religiosa.
Il frastuono diffuso, la pubblicità, l'invito incessante all'acquisto e al consumo offuscano la mente,
stordiscono, e invano cerchi di estraniarti per recuperare un poco di spazio tutto tuo: infatti incombe
la necessità, quasi l'urgenza dell'acquisto con una corsa all'accaparramento delle "cose" che sono ritenute vitali per la festa.
Le vie più commerciali e frequentate sono presidiate da questuanti che stazionano in postazioni
strategiche, sperano con un augurio di meritarsi l'obolo, ma noto che il clima natalizio non incentiva
le elemosine.
Nella speranza di non ritrovarsi soli in una società già frantumata, fatta di solitudini, nasce il bisogno
di socializzare, e così donne e uomini cercano di colmare il vuoto che avvertono anche tra la folla, rischiando di disperdere le energie residue inseguendo chimere e stelle lontane lontane.
Il fatto è che non solo io, ma anche alcuni amici e interlocutori occasionali avvertono questa sorta di nostalgia; questo fenomeno non riguarda i bambini che fortunatamente vivono con naturalezza, con
libertà e gratuità anche le gioie più piccole e vivono con pienezza il momento felice.
Noi adulti invece abbiamo perso la "leggerezza" di un tempo, appesantiti dagli anni che, come
zavorra, ci trascinano sul fondo o alla deriva.
Cerco di individuare le cause di tutto ciò, che sono molte: etiche, perché la società è priva di una scala di valori riconosciuta e condivisa, perché domina il relativismo nella morale privata e pubblica, e il sistema poggia le fondamenta sulla precarietà di un'economia basata sui consumi e sulla selezione in cui pesa più il potere reale( economico) rispetto al merito, un'economia dalla quale, peraltro, grandi masse sono escluse, e nella quale la competitività è funzionale al perpetuarsi del potere nelle mani di pochi, ovvero dei soliti più forti.
Pertanto è comprensibile che noi rimuoviamo questi pensieri molesti e che ci confondiamo nella folla partecipando alla rappresentazione di una realtà fittizia, recita alla quale siamo indotti da meccanismi
il cui controllo non è nella nostra disponibilità, e sorridiamo, come e con gli altri, celando la nostra intima disperazione.
Quindi accade di indulgere nei ricordi legati all'infanzia, un'età inconsapevole della realtà, l'età della fantasia e del sogno, un'età nella quale non sapevamo di consumi voluttuari, i bisogni erano semplici come il loro soddisfacimento con le poche prelibatezze prodotte dalle donne di casa, piccole cose per noi preziose e il tutto aveva sapori inconfondibili.
Nei cortili e sulle scale persistevano aromi di pietanze rare, c'era aria di festa e i bambini, complici i
genitori, credevano veramente all'evento eccezionale che entrava a fare parte del loro immaginario.
Chiedere se fossimo più felici non ha senso: eravamo certamente più "ricchi", poiché i sogni non
hanno prezzo.
A. Ferrin
modena, 23/12/2017
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