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libreria di zurau

venerdì 25 ottobre 2019

ELIZA


Prese la via che conduce alla marina, e poi immette sul lungomare verso il Camposanto già annunciato dalla cortina di alti cipressi che lo celano alla vista, quasi a non volere turbare i bagnanti
che gremiscono l'arenile.
I raggi del sole di mezzogiorno infierivano sulla sabbia e sull'acqua della stanca risacca, dove la costa bassa lascia intravedere il fondo di alghe, e il luccichio diffuso scintilla a perdita d'occhio.
Annibale tolse le scarpe per bagnarsi i piedi, fece un breve tratto sul bagnasciuga camminando nello sciabordio che l'onda produce fra le barche tirate a secco, ma subito preferì ritornare sulla strada
perché era ormai prossimo l'ingresso del Camposanto.
Oltrepassò il pesante cancello e la cinta muraria; il bagliore della spiaggia infuocata si tramutò in una
frescura imprevista: il Campo, molto esteso, si inoltrava nella folta vegetazione verso le colline dove, fra siepi di bosso e cespugli di rose selvatiche, spiccavano i marmi candidi e grigi delle sepolture; prati erbosi ben curati dividevano le tombe monumentali da quelle dei comuni mortali, e il loro isolamento ne accentuava l'importanza ma anche la solitudine.
L'uomo si addentrò tra filari di sepolture di tutte le fogge, dal marmo pregiato e screziato alla pietra di graniglia più comune, dove le iscrizioni sono laconiche e aliene da ogni sentimentalismo: qui i morti non parlano come si figuravano gli antichi romani nelle loro iscrizioni funerarie, o come quelli di Lee Masters nella sua "Spoon River".
Annibale giunse infine a un tumulo di marmo rosa, la lastra era senza fotografia: a un'estremità era inciso il nome "ELIZA", e in basso la dicitura: "Sempre con Te", il tutto protetto da un cespuglio di mirto; sedette su una pietra e posò lo sguardo sul nome della sua donna e, come era suo solito, le parlò: "ciao Eliza, sono venuto a piedi dalla marina, il sole cocente riscalda l'acqua di mare e la
spiaggia è affollata, ho notato che i nostro ex capanno è occupato da una famigliola intenta a frugare
nel paniere, trarne il cibo e il necessario per apparecchiare il tavolino pieghevole.
Ti ricordi le nostre giornate alla marina che non ci stancavano mai? La tua pasta al forno, e le tue
parmigiane? E le faticose vogate con la barca a strisce verde azzurre, con cui si approdava alla diga
foranea da dove scrutavamo l'orizzonte più lontano? Ricordi? Eravamo sdraiati sui massi frangiflutti a farci cullare dal venticello di ponente: sembravi felice, ti sorridevano gli occhi, e non mi sfiorava l'idea che, più del male fisico, fosse l'infelicità a tormentarti.
Ti ho chiesto mille volte perdono, e la tua comprensione ha acuito il mio senso di colpa: a volte penso
che la tua assenza sia la giusta pena per la mia colpa."
All'uomo parve, o fantasticò, di udire la voce di Eliza che lo rassicurava dicendo: "tu lo sai, io ho perdonato e sono incapace di serbare rancore, ma devo confessare che anche io ti ho tradito: ero in
grande solitudine, e tu eri assente in anima e corpo; ma tutto ciò è passato, e non vedo l'ora che tu mi raggiunga".
L'uomo si sollevò sulle gambe malferme, rivolse un ultimo sguardo alla pietra tombale della moglie e si staccò dal tumulo che il sole rosseggiava all'orizzonte: si affrettò all'uscita prima che il custode chiudesse il cancello.
Annibale riprese la strada di casa: attraversò piazza Pitagora per risalire il Colle sulla cui sommità la casa fronteggiava le vecchie scuole elementari.
Non era sereno, ma piuttosto turbato e combattuto tra opposti sentimenti: lo stupore e l'amarezza per
la rivelazione di Eliza, da cui ricavava peraltro una sorta di sollievo.
Senza riuscire darsi pace, come un automa, aprì l'uscio di casa.

modena, 25/8/2020



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