Il cane fedele amico dell'uomo: fiumi di inchiostro trasmettono questa immagine edificante e commovente, immagine confermata ogni qualvolta incontriamo il cane e il suo proprietario. Il cane rivela subito l'indole gregaria con la totale sottomissione al suo padrone, e l'uomo spesso non si fa scrupolo di ricambiarlo con l'esercizio del suo potere: è sufficiente frequentare marciapiedi e spazi verdi per constatarlo; vedo cani in adorazione dei padroni dai quali vorrebbero attenzione, e che invece li strattonano vietando loro i sentieri odorosi. Ma esistono anche proprietari virtuosi che passeggiano col cane, lo assecondano e lo liberano dal guinzaglio, non tralasciando di raccoglierne le deiezioni. E poi quelli capaci di interloquire con essi, e allora si coglie la meraviglia di questo animale che mostra intelligenza e sensibilità esprimendo affettività e devozione. Esiste anche un aspetto più deteriore del rapporto uomo cane: qui si distinguono le donne che umanizzano troppo l'animale figurando rapporti materni e di figliolanza, con il rischio di snaturare e rendere grottesco lo stesso rapporto. E' superfluo ricordare le teorie di psicologi che, riguardo all'investimento affettivo degli umani negli animali da compagnia, parlano di animali come proiezione e protesi della personalità, di animali come oggetti o status symbol: può essere vero ma scandaloso no. Vi sono mille altri conforti-placebo di cui siamo alla ricerca per soddisfare la nostra sete di consolazione, e molti di questi sono meno commendevoli dell'affetto nutrito per gli animali che peraltro sono spesso oggetto anche del sadismo e dell'ingratitudine umana. Nella famiglia abbiamo avuto più di un cane: mio padre era un cacciatore esperto, e in quel tempo, dopo il secondo conflitto mondiale la caccia era provvidenziale per riuscire a sfamare una famiglia numerosa come la nostra; dunque il primo cane che ricordo è Dora, una Setter irlandese dal pelo fulvo e setoso, poi fu la volta di Diana, maculata bianca e nera, e infine Tommy, un Bracco marrone e il muso nero, ma di Dora ho il ricordo più vivo perché legato all'infanzia. Mio padre sosteneva che il cane, in particolare i cani da caccia, devono riconoscere il loro padrone come capobranco per potergli obbedire, e infatti impartiva ordini perentori, in altri termini non usava Dora come pet-therapy, ma come strumento di caccia. E tuttavia Dora era molto intelligente, più di molti uomini; mio fratello Gelindo, primogenito della nostra famiglia, raccontava un aneddoto esilarante, se non grottesco. Una mattina d'autunno nostro padre Leone lo tirò giù dal letto e lo portò in bicicletta nella piana presso la foce del Neto, era vestito come si conviene: stivali fino all'inguine, giubbotto e giberna, tascapane e cartuccera, l'inseparabile doppietta, e Dora li seguiva docilmente. Giunti sulla sponda del Neto proseguirono a piedi e mio padre già scrutava le acque del fiume e il terreno circostante: la battuta di caccia prometteva un buon carniere perché abbondavano beccacce, folaghe, gallinelle e anatre, e infatti alcune prede erano già appese alla bicicletta. A un tratto Leone intravide una bella anatra screziata posata sull'acqua: imbracciò e prese la mira, mentre Dora osservava, nostro padre premette il grilletto e intimò a Dora, vai! Dora non si mosse e solo allora Leone realizzò di avere colpito un richiamo da caccia. In seguito fummo ingrati con Dora: Leone dovette trasferirsi a Ferrara con la famiglia e giocoforza, ma con grande nostro dispiacere, lasciò il cane in custodia a un suo amico cacciatore .
Ferrin modena,16/2/2023