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libreria di zurau

mercoledì 6 settembre 2023

BURRACO

Una mia vicina di casa, afflitta da vari malanni, si è spenta; ieri sera il figlio, con la ferale notizia mi ha informato che il funerale si sarebbe celebrato questa mattina in San Faustino. Non mi piace  partecipare a funerali, matrimoni e cerimonie in genere, e non per cattiveria: molti riti hanno ragion d'essere storiche e socio culturali che tuttavia, per quanto consolidati, sono ormai svuotati di senso. Ciò è dovuto ai cambiamenti intervenuti nella nostra società basata su valori plurimillenari, ma che ora sono messi in discussione da una vera e propria "rivoluzione antropologica" che si riflette in profondi cambiamenti di costume e morale comune. Dal mio modesto punto di osservazione, grazie all'età, noto che morte e vita, con tutto ciò che significano, stanno perdendo, o hanno già smarrito, la loro "sacralità"; in soldoni, ricordo i funerali e i matrimoni di 60/70 anni prima. Molti di questi riti si trascinano ormai stancamente, i convenuti fanno del loro meglio per creare l'atmosfera adeguata, ma non sempre riescono nel proposito, e se poi aggiungiamo la componente velocità/produttività cui tutti (anche i defunti) sono soggetti, non possiamo meravigliarci della sbrigatività con cui pompe funebri e gli addetti a ogni altra mansione nella vita quotidiana svolgono la loro attività. Mi ha colpito l'attività frenetica dei necrofori che hanno "apparecchiato" il banchetto con il registro dei visitatori, poi hanno posto la bara su un carrello spingendolo davanti all'Altare (adesso la bara non è portata a spalla), poi, alla presenza dei pochi presenti, il Diacono ha officiato un rito frettoloso per una cosa che "si ha da fare".  La velocità è la variabile che nell'economia moderna trasforma tutto in prodotto di consumo, da consumare appunto o sostituire. Anche vita e morte sono parte del meccanismo con cui la natura ordina e regola la terra e l'Universo ma, nel merito, è più corretto precisare che noi umani siamo responsabili di questa deriva. Dunque, anche i Cittadini, ammalandosi, debbono guarire in fretta o, morendo, devono "fare presto" a raggiungere il loro sito per dare quiete a chi resta. Mio padre, raccontando la sua infanzia, parlava di tradizioni a noi ignote. Nella campagna della Bassa padovana viveva in una famiglia numerosa, con nonni zii e cugini, e alla morte di uno di essi, la famiglia era unita nella veglia funebre, poi si riuniva attorno alla grande tavola di cucina dove consumava un pasto della festa e, mangiando, parlava del morto, della sua vita, dei ricordi, non negandosi le risate liberatorie mentre il morto era disteso nella stanza accanto. Così il defunto era ancora in famiglia, e la morte per i vivi meno scandalosa. Ora sono nella Chiesa S. Faustino desolatamente vuota, davanti alla cassa di legno chiaro con le spoglie di Marilena (la mia vicina defunta), e ricordo una mia mancanza: sono alcuni anni quando, già costretta in casa dalla sua infermità, mi telefonò, e molto gentilmente chiese se volevo giocare a Burraco con lei: risposi che non conoscevo il gioco, ma oggi penso che avrei potuto, e dovuto, essere più disponibile. La circostanza induce a pormi le domande di sempre: il perché di ciò che ci sfugge del nostro destino, la mancanza di senso di ciò che facciamo, della recita in cui perseveriamo perché siamo sospinti da una forza che ci trascende. E' un tema ricorrente nel mio diario, e sono consapevole del fatto che non avrò risposte al riguardo. 

A. Ferrin                                                                                                                                              modena, 6/9/2023 

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