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libreria di zurau

domenica 17 aprile 2016

LA COMUNE



                                                                     LA COMUNE

Alla Sala Truffaut ho visto "La Comune", Film danese del 2016, un vero tuffo nel passato, anni '60/'70 quando esplose il fenomeno delle "Comuni": la convivenza sotto lo stesso tetto di più
coppie e nuclei famigliari, anche eterogenei, e in cui tutto era condiviso con una suddivisione di
compiti, strutture e servizi propri di una vera società "comunista".
Era l'ideale dei giovani che parlavano di "fantasia al potere", di "superamento dei  ruoli" propri della vecchia società patriarcale, della scoperta dei diritti e nuovi bisogni indotti dalla società dei consumi,
nonché della rivoluzione sessuale e "libero amore", il tutto da conseguire con un'attività di contestazione e rivendicazione permanente.
Il regista ambienta la vicenda in Danimarca, Paese sempre all'avanguardia nell'evoluzione del costume, dove si vede bene la parabola del fenomeno, dall'affermazione iniziale ottimistica del   movimento fino al declino dell'ideale nella delusione, in un finale sospeso, direi volutamente sospeso, quasi per lasciare allo spettatore la libertà di esprimersi.
Ma cosa mostra e dimostra il film? Che l'uomo, al pari di ogni animale, è territoriale, possessivo e
competitivo, e che soprattutto non può governare i propri istinti e le emozioni che, infatti, dipendono dalla biologia che determina e regola l' esistenza degli esseri viventi.
Infine, una mia piccola esperienza in una Comune in Toscana mi fece capire che mai avrei fatto parte di una Comunità libera, libertaria e autogestita come quella.
Mi ci recai in auto con la mia prima moglie: lei era al corrente che un suo conoscente di Domodossola si era trasferito in Toscana presso una Comune.
Anche io ero molto curioso del fenomeno, e così raggiungemmo il casale dove viveva la comunità.
L'impatto fu molto positivo, l'accoglienza semplice e priva di formalità, in un'atmosfera serena, con una conversazione libera e disinibita.
Tutto sembrò procedere nel migliore dei modi, quando lui, il nostro ospite, si alzò dal tavolo e andò in un piccolo locale adiacente privo di porta, e solo in quel momento vidi che era la stanza da bagno,
si sedette sulla tazza e cominciò a espletare il compito fisiologico.
Il tutto con disinvoltura e naturalezza a noi sconosciute e, tra i rumori che egli produceva incurante di tutto, noi continuammo a conversare del più e del meno con la sua compagna; non so, e non ricordo, se noi fossimo più imbarazzati o paralizzati nella circostanza.


Antonio Ferrin
Modena, 17/Aprile/2016

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