PROMESSE
...questo il mio sogno:
una modesta casetta in campagna
con un piccolo orto vicino a una fonte...
(Orazio)
Ricordare Respiro
Sono tornato
Un prato verde nella stanza
una pietra bianca vuota
Vorrei dimenticare dove muri bianchi
Voglio ricordare rimandano
Non voglio dimenticare. il respiro
come rantolo
estremo.
Antonio Ferrin
Modena Antonio Ferrin
Modena
da PROMESSE
SULLA RENA
Sulla rena di fuoco
riposa
attende
che l'ultimo sole
declini
Vince il torpore
la brezza di mare
e lei sorge
con occhi assenti
che vuol sognare
ancora.
Antonio Ferrin
Modena 1992
da "Promesse" 1992
NEVE
Una coltre
la notte
ha disteso.
Ombre vaghe
nella via
limacciosa.
Fanciulli muti
nel biancore
che sfugge.
1992
VENTO CALDO
Vento caldo
d'autunno
scuote le fronde
e tremolano
Come maestose
vanesse si librano
le foglie ingiallite
che poi stremate
cadono
crepitano
nel turbine di vento.
da Promesse 1992
HO PORTATO
Ho portato
fiori di campo
perché era triste
Non voglio
nei suoi occhi
cielo grigio
ombra
sul volto
stupito
Ho portato
fiori di campo
per un suo sorriso.
Modena 1992
PAROLE
Ti penso
Invano
cerco parole
per te
per noi
Ho soltanto
parole semplici
per questo
tardo autunno
Con foglie morte
gelide brume
dona felicità.
da PROMESSE
1992
SE AMORE
Se amore
è questa pena
ineffabile
nostalgia
del tuo sguardo
dolore
per la tua assenza
Se amore
è sconforto
perché taci
tenerezza
e felicità
se ti penso
Se questo è amore.
da PROMESSE
1992
Una lampada cristallina e accesa nella via stretta, ma la luce tenue
non dipana le ombre della sera caduta inattesa.
Questo silenzio senza pace è un gendarme che sorveglia
ombre furtive, paure sospese.
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Perché fuggire? Da chi e da dove? Per andare dove?
In ogni dove non potresti che essere te stesso, con te stesso.
L'unica realtà possibile e vera ha te come protagonista, e dunque
perché non vuoi riconoscerla, riconoscerti e accettarti senza riserve?
Cosa ha commesso questo "te stesso" per essere respinto così
tenacemente?
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Come tarda l'autunno!
Ancora giornate di sole e cielo terso, nebbie rare e poco freddo nelle
prime ore del mattino e a sera.
L'uomo delle caldarroste è all'angolo della strada, ma pare fuori luogo:
al profumo delle castagne manca il sapore delle nebbie, il fornello non
appare come focolare amico nella caligine densa.
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Lei mi fissava e rideva del mio stupore.
Era seduta al tavolo di cucina, le gambe divaricate, mostrava il biancore
dello slip.
Mi fissava e sventagliava le banconote nelle mani come carte da gioco.
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Ho sognato un bacio, sì un bacio.
Ricordo, mi pare di ricordare, che inizialmente ci sia in lei una certa
ritrosia, che non voglia baciarmi, o che voglia concedermi solo un bacio
sulla guancia.
Poi, gradatamente, mi porge le labbra, e il bacio diventa sempre più
appassionato, dolce e profondo.
Il risveglio è improvviso, con felicità e tristezza nello stesso tempo.
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Il treno è quasi vuoto. Percorro le carrozze avvicinandomi al locomotore.
Finalmente mi sistemo dove è una ragazza sola, impegnata a scrivere;
sembra un diario, pagine quasi vergini con frasi brevi alternate a piccoli
disegni colorati.
Al centro di una pagina bianca spicca con caratteri vistosi la scritta:
ho due occhi stupendi!
E mentre il treno va, la osservo con discrezione e ciò mi infonde grande
serenità.
Fuori, scorre la campagna coperta di neve, dentro la giovane ha gli occhi
stupendi e sognanti.
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Una piccola trattoria, ricavata da un'antica mescita di vini.
Il cibo è buono, genuino, e quel che più sorprende è la musica classica
diffusa nell'ambiente, e l'ostessa che conversa con i clienti del Correggio, dei Carracci, o del Futurismo.
E infine non ti sollecitano a mangiare, e infatti dopo il primo ti chiedono:
mangia ancora? Con l'aria di dire, non ne hai abbastanza?
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Il molo del porto, il suo punto estremo nel mare ai piedi del faro.
Le opere poste a difesa dalle mareggiate sono corrose e degradate
formando bassi fondali, quasi banchi corallini affioranti, dove l'onda più lunga,
ritirandosi, spumeggia e gorgoglia.
Mi piace il suono dello sciabordio provocato dai piedi mentre seguo il
movimento dei granchi.
Ne sollevo uno evitando la presa delle chele e lo mostro a lei come trofeo.
Lei, seduta sulla bitta, mi guarda e sorride.
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E' lontano il frastuono della città.
Ciajkovskij mi tiene compagnia, e questa atmosfera discreta, domestica,
ristora più del cibo che prendo.
Due uomini sono a un tavolo, una coppia è in un altro, e due tavoli sono
occupati da me e da una ragazza.
Vorrei alzarmi dal mio e sedere al tavolo della ragazza.
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Calavamo a frotte, silenziosi e guardinghi, dai calanchi che aprivano ferite
profonde nel pendio della collina muscosa.
Giunti al piano, le spade di legno sguainate, muovevamo strepitando contro
gli Sciangaisi, la banda rivale.
Placatosi il clamore di legni incrociati, di urli nei furiosi e incruenti corpo a corpo, vincitori e vinti esausti, raggiungevamo l'ovile di Totonno.
Il pastore ci rifocillava con latte appena munto e ricotta fresca servita
su larghe foglie di fico.
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Dal treno la terra scorre velocemente, ma si colgono ugualmente scorci
di paesaggio molto suggestivi.
I campi sfalciati di colore verde chiaro e ocra, un gregge in un campo di
stoppie, un altro campo di fieno in ricrescita, e ancora di stoppie di granoturco, i primi solchi di una nuova aratura in uno, e un'altro sconvolto
dalla raccolta di barbabietole.
Una strada lontana, un campanile solitario, case sparse, il verde cupo dei
sempreverdi e grandi alberi maculati di giallo.
La periferia che si avvicina, la selva di case in cui si addentra il treno.
La campagna che muore in spicchi, fettucce e fazzoletti tra le case già alte.-----------------------------------
L'arenile è deserto, solo gli addetti alle pulizie, in silenzio, rastrellano i detriti
lasciati dalla risacca, ma non disturbano i saccopelisti che, allineati sulla battigia, dormono nei loro sacchi.
In lontananza sembrano mummie rivolte al mare: un'immagine surreale di
sarcofaghi immersi in un silenzio religioso, quasi un richiamo ancestrale a
visioni antiche.
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Come pianta rampicante il suo corpo minuto aderisce e si avvinghia all'uomo che cede al viluppo insinuante e tenero.
Lei poggia il capo sul suo petto, e l'uomo le fa mille carezze: nel silenzio solo
il sibilo del loro respiro.
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Che pensieri cupi! Eppure sono inevitabili al cospetto di questo cielo limpido sul mare azzurro quando si rimane inerti spettatori di pietra.
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Breve sosta in un bar sulla via del ritorno verso casa.
Assaporo in questa pausa l'atmosfera rara creata dalla nebbia che grava sulla zona; un'atmosfera inconfondibile: i rumori attutiti, il frastuono delle macchine che si annichilisce rapidamente nella cortina uniforme, dalla quale
uomini e cose appaiono magicamente per dissolversi subito, catturati da una realtà ignota.
Nel bar c'è un'aria sonnolenta, nelle persone un'espressione assente, lontana, come di chi non aspetta niente e nessuno.
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E' un dolore lancinante osservare da quinte e loggioni, sempre in disparte, in una condizione di voyeurismo mortificante.
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Arcidio Baldani è un vecchio professore a riposo.
Poeta, filosofo e scrittore prolifico, porta i suoi libri sotto il braccio e li
offre in vendita ai passanti rivolgendosi loro, anche in modo provocatorio, con dissertazioni erudite, declamazioni, indignato con tutti e di tutto.Ovviamente è un genio incompreso, controcorrente, che rifiuta i circuiti ufficiali della cultura.
Ma come è bello, così dignitoso nella vecchia grisaglia, i capelli candidi ribelli, e libero.
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E' notte, e il silenzio, il silenzio prezioso, è interrotto qua e la da rumori discreti, ovattati, provenienti dall'esterno.
Il silenzio d'altra parte non può, non deve essere totale.
Come potrebbero essere apprezzate le sensazioni profonde e indicibili che esso può dare, se non si avvertisse anche l'eco di un
lontano frastuono dal quale si è riparati e protetti?
Da "PROMESSE" Modena 1992...................................................................................
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