IL CORTILE
Dopo ore di esposizione ai raggi solari, lei e i bambini ripresero la strada diretta allo scalo Ferroviario dove era la loro casa: la pelle dei bambini era quasi ustionata e Laura, la mamma, ne aveva già spalmato con chiara d'uovo il petto e le spalle.
Avevano chiuso la baracca di legno posta sull'arenile, vicina alla battigia presso lo stabilimento sorto su palafitte: era minuscola ma ben disposta, con una piccola stanza adibita a cucina, e fuori il patio
dove ci si ritrovava per pranzare, conversare o giocare; riordinarono le suppellettili sparse, e si
assicurarono che paratie e serramenti fossero sigillati.
Così il piccolo corteo risalì lentamente la prima balza di creta che porta al terrazzamento, giardino di ginestre, viole e margherite, sorgenti o nascoste fra le erbe di campo, crochi e papaveri rossi: un vero quadro impressionista sotto il cielo nitido, il sole reclinante all'orizzonte e stormi di rondini che garrivano.
Giunsero infine molto stanchi al portone di ingresso che immette nel cortile della casa, salirono le scale che conducono all'appartamento, pronti a disputarsi l'ordine di precedenza nel bagno, con il corollario di scherzi e dispetti tra piccoli e grandi.
L' ampio cortile già risuonava del clamore prodotto nelle famiglie rientrate dalla spiaggia, del vociare
e strepiti fuoruscire dalle finestre spalancate alla curiosità dei vicini, a loro volta incuranti della propria intimità.
Ad un tratto si udì una voce stentorea e acuta di donna salire dall'androne: i bambini, assorti nei loro giochi, si irrigidirono e sgranarono gli occhi sulla donna che si sbracciava e inveiva contro chi non si capiva.
Allora alcune madri allarmate da tanto trambusto si precipitarono per le scale, e in cortile si misero a
difesa dei figli, pronte a sostenere l'assalto da ogni pericolo.
Ma la donna che sbraitava proferì un nome di donna abitante nel palazzo, un nome condito con offese
per lo più irripetibili e tra gli strepiti che non accennavano a calare di tono e intensità; allora le mamme, con i bambini stretti a se, si disposero a cerchio certe, o sperando, di potere assistere a una tragedia familiare, ma tra i protagonisti erano assenti gli uomini al lavoro e sopratutto la donna
destinataria del florilegio di insulti urlati dalla donna, ora più scarmigliata.
Finalmente, quasi obbedendo al desiderio più o meno recondito degli spettatori, si spalancarono le imposte di una finestra del primo piano e apparve (anzi prima si udì il suo urlo) la donna invocata che, additando quella che stava in basso la minacciò: disgraziata, adesso vengo giù e ti faccio vedere io!
E la rivale, poiché ormai si era capito trattarsi di disputa d'amore, o più prosaicamente di sesso, l'aspettava a piè fermo senza rinunciare alle invettive; la tensione era al culmine anche perché i muri
del cortile rimandavano, amplificate, grida esclamazioni e commenti dei presenti, ai quali si erano uniti i guaiti di alcuni cani randagi richiamati dal frastuono.
Le due donne si trovarono faccia a faccia: un silenzio irreale calò nell'arena per i pochi secondi che
sembrarono un'eternità. Poi le due si avvinghiarono pigliandosi per i capelli, cadendo e rotolando in
terra, si strapparono i vestiti mentre alcune donne cercavano invano di dividerle, e intanto spuntavano timidi sorrisi fra gli adulti, forse per un malcelato sadico compiacimento, spettacolo inaspettato per i
bambini sempre più preda di stupore e meraviglia, e i cani, credendo fosse festa, saltellavano eccitati.
bambini sempre più preda di stupore e meraviglia, e i cani, credendo fosse festa, saltellavano eccitati.
Tutto finì senza che ci scappasse il morto, rimasero sul lastricato solamente brandelli di stoffa con ciocche di capelli neri e biondi, e la vita riprese il suo corso allo stesso modo per fedifraghi, vittime e spettatori.
A.Ferrin
modena, 13/02/2018A.Ferrin
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