Siamo alle solite; nel periodo ferragostano si parla di chi parte e chi viene, di chi può o non può, delle Città vuote e di quelle festaiole piene, del caldo insopportabile e dei costi esplosi: le solite cose ma che catturano sempre l'attenzione. Sono gli argomenti più diffusi sotto gli ombrelloni, o nelle vetture in coda sulle strade. C'é anche chi decanta la lontananza da tutto ciò come scelta virtuosa e benefica non dovuta a cause di forza maggiore. Non mi riferisco a fughe dalla realtà degli umani per approdare in eremi sperduti, scelte peraltro più ardue in una Terra antropizzata e complessa come mai prima d'ora. Si allude piuttosto a scelte urgenti di ricerca e riappropriazione del nostro mondo interiore già trascurato; in altri termini, a una lontananza utile al recupero della parte migliore di noi stessi: meno parole, meno luci, meno commedia e barbe finte. Allora, superando paure e reticenze, si riscopre il passato, con le emozioni più grandi e vere, perdonandosi e perdonando, e riconoscendo anche ciò che di buono abbiamo vissuto. Ma è importante che le migliori intenzioni non abbiano a che fare con le necessità fatte virtù, che cioè non ci troviamo nella condizione "della volpe e l'uva". Ma ora si avvicina la notte, e viene spontaneo il ricordo di Eduardo "addà passà a nuttata", sì, perché afa e umidità fanno del giaciglio un letto di Procuste. Mi giro e rigiro nel letto cercando invano la posizione che faciliti il sonno e allora l'insonnia diventa terreno di coltura di nuove ombre. Gli scienziati della psiche dicono che gli uomini non avvertono (non possono) la morte vicina, morte che viene quando e come vuole: insomma non siamo padroni in casa nostra!
Modena, 13/8/2025
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