PORTA NUOVA
Luglio 1967
Il treno entra nello scalo della stazione di Porta Nuova a Torino, arrestando la corsa ai blocchi che delimitano la piattaforma passeggeri.
Porta Nuova, il suo nome è altamente simbolico: forse significa che all'uomo si apre una porta per condurlo a esperienze nuove e significative? E' ciò che spera ogni uomo iniziando un nuovo
percorso della vita senza sapere dove lo condurrà: il mistero è parte dell'ignoto e dell'avventura. Durante il lento e lungo viaggio, Brenno ha soppesato il pro e il contro della situazione in cui si trova: ha 24 anni, senza arte né parte, è consapevole di dovere compiere ancora molta strada per colmare il vuoto che avverte dentro e intorno a se.
Cerca di scuotersi dal torpore che l'afa e il battito cadenzato del treno sotto il sole di luglio hanno provocato: è in viaggio con il futuro collega di lavoro Frontali, il belloccio della compagnia, che non
si stanca di parlare dell'Armida, la ragazza di cui è innamorato ed è riamato.
Il treno ha seguito la direttrice da Ferrara a Torino attraversando la Pianura Padana nella calura estiva, tra campi gialli di stoppie, terre assolate e paesaggi più verdi all'apparire delle prime colline piemontesi, alture non elevate, dai dolci pendii decorati da filari di vigneti.
Nella città Sabauda frequenteranno un corso di addestramento alle vendite organizzato da Oreal Italia; il corso avrà la durata di 40 giorni, e saranno ospitati dalla multinazionale francese in un albergo adiacente Piazza Statuto dove ha sede la società.
E' una nuova avventura che affronta con ottimismo dopo l'esperienza lavorativa in Montecatini, il
Servizio di Leva, il lavoro presso le Assicurazioni Generali e Reale Mutua, nonché il lavoro svolto a Basilea e a Monaco di Baviera in una breve e non esaltante esperienza di migrante, e quindi di girovago in Europa.
D'altra parte, il "movimentismo"di questi ultimi anni è stato reso possibile dalla favorevole situazione economica in cui è l'Italia, grazie al famoso "miracolo economico" del quale si notano ancora gli effetti: il consumismo, il benessere diffuso, il lavoro che non manca, e questo fa sì che, volendolo, non si resti disoccupati a lungo.
Brenno ripensava con piacere a queste esperienze: evidentemente doveva (e poteva) dare sfogo al suo forte desiderio di esplorazione ed evasione da una realtà che avvertiva limitata e ormai asfittica, e tutto coincideva con la fortunata circostanza della conoscenza di Selma, la ragazza olandese notata e avvicinata sulla spiaggia della costa ferrarese, il suo primo piccolo amore che a lui sembrò grande a
fronte delle infatuazioni giovanili degli anni precedenti.
Selma era ebrea, i suoi nonni provenivano dalla Germania che avevano abbandonato per sfuggire
alla persecuzione razziale, ma fu tutto inutile poiché, con l'occupazione nazista dell'Olanda, alcuni
membri della sua famiglia furono rinchiusi nei Lager tedeschi e vi perirono.
La madre Henriette e il padre si salvarono perché erano in Indonesia, allora dominio olandese, e infatti Selma era nata a Giacarta; Henriette aveva lasciato l'ebraismo perché, diceva, le religioni sono
causa di molte tragedie dell'umanità, e lo sono state anche della Shoah.
Sul treno diretto a Torino, Brenno ricordava anche le prime esperienze negli squallidi lupanari dei quartieri spagnoli a Napoli, città in cui svolgeva il Servizio di Leva; quelli erano i quartieri più poveri e caratteristici della città, rivedeva le acerbe prostitute, anche con figli, che erano le più innocenti tra
papponi, profittatori e faccendieri di ogni genere: scorrazzava con i commilitoni nell'intrico dei vicoli sudici e impervi che si inerpicano da via Toledo verso Montecalvario.
Le così dette "case chiuse", i Casini dello Stato, erano stati aboliti sul finire degli anni '50, e pertanto era subentrata una effettiva liberalizzazione della prostituzione; i quartieri più degradati, già noti come centri del malaffare, erano diventati postriboli diffusi a cielo aperto, dove si susseguivano i "bassi" sempre aperti alla curiosità e ai desideri dei visitatori. E ricordava anche via Speranzella che si incrociava nella risalita al Montecalvario e, in prossimità di una scalinata stretta e ripida che lambiva la Chiesa della Concezione, c'era un vico angusto, rischiarato da una piccola luce proveniente da un basso; una stoffa dozzinale all'ingresso lasciava intravedere il suo interno costituito da una sola stanza e sul grande letto era distesa una giovane che non faceva mistero della sua disponibilità.
Era molto bella e sorridente, ma il soldato, una volta vicino al suo letto aveva notato che nell'angolo più nascosto c'era una culla con un bambino biondo e paffuto che si afferrava alle sbarre di
protezione, sgranava grandi occhi rivolti al nuovo venuto, e si apprestava a piangere quando Brenno decise di rinunciare all'avventura; uscì dal basso frettolosamente, non senza porgere il compenso pattuito alla ragazza.
Ma qualche suo commilitone, forse meno ingenuo, azzardava l'ipotesi che egli avesse fatto la comparsa nella sceneggiata organizzata dalla stessa prostituta per non dovere "pagare dazio".
E che dire delle Pensioni compiacenti dislocate sulle spiagge dei Lidi ferraresi della costa adriatica? Queste, a loro volta, erano partecipi della stagione delle vacanze estive perché ospitavano le signore e i clienti che in inverno avrebbero "ricevuto" nelle loro case di città. Era un'avventura individuare queste Pensioni: nessuno sapeva e diceva, e faticosamente, con un accenno, un nome, un cenno d'intesa, si giungeva alla meta.
E il dialogo con i tenutari era delicato, si recitava a soggetto con dialoghi grotteschi, fatti di allusioni, parole cifrate, o di amici che avevano segnalato e fornito un nome rassicurante; infine, Sesamo si apriva e l'uomo poteva accedere al bordello ricavato nello spazio di fortuna celato da un pannello
di faesite.
Insomma, in quegli anni i riti della seduzione erano estenuanti e perciò molti ragazzi erano "anime in pena", in attesa dell'occasione fortunata di potere accedere a una vera esperienza sessuale; i giovani erano davanti a un bivio: praticare per libera scelta la virtù della castità, o rassegnarsi all'auto gestione della tempesta ormonale da cui erano investiti, sballottati fra i sensi di colpa e il timore della cecità minacciata dai preti.
Frontali, detto Piron nella compagnia, era il tipo scanzonato, andatura dinoccolata, sorrideva di tutto e tutti, era figlio unico educato nella libertà da convenzioni e pregiudizi: si faceva più serio, ma non troppo, quando parlava dell'Armida, la sua ancora, diceva, e allora riferiva di emozioni ineffabili e momenti dolcissimi che custodivano nella loro intimità.
E in compagnia eravamo ammirati di tanta fortuna e forse anche gelosi.
Insomma erano passati gli anni della prima gioventù e Brenno si era concesso più di un anno sabbatico in uno stato di grazia e pienezza, ma era giunto il momento di mostrare più senso di responsabilità.
Con Frontali aveva superato le prove di selezione Oreal, e fantasticavano sul nuovo lavoro nei negozi delle parrucchiere, e così conoscere molte donne che un luogo comune affermava fossero molto disinibite, e che perciò costituivano un promettente terreno di caccia.
La società e i suoi costumi subivano cambiamenti rapidi e profondi, ma questo accadeva meno nei rapporti uomo donna per il persistere nella società italiana della cultura cattolica ancora dominante, e infatti Brenno pensava a Selma che , sedicenne, si abbandonava con felicità e naturalezza alle effusioni amorose, e confidava di fare uso, come le sue coetanee, di contraccettivi.
L'uomo ne avrebbe avuta la riprova ad Amsterdam, per l'atmosfera di libertà che si respirava nella vita dei suoi cittadini, per il modo in cui erano regolamentati prostituzione e consumo di droghe, e pertanto non gli parve di essere capitato in un società dissoluta, ma piuttosto in un Paese ordinato, civile e tollerante.
E già nostalgico era il ricordo di Selma, che scriveva lettere tenerissime con una grafia minuta e aggraziata.
Gli uomini vagheggiano e vaneggiano, ma è la vita a riportarli sul terreno della realtà sfrondata da speranze e illusioni, pur offrendo nuove prospettive; in altri termini, l'uomo pensa e crede di avere progetti e di essere determinato a realizzarli, mentre i fatti, il caso e la necessità lo prendono per mano e lo conducono altrove.
Brenno e Frontali sono ormai nel grande atrio passeggeri di Porta Nuova e si apprestano a raggiungere in taxi l'albergo di Piazza Statuto.
Fuori dalla stazione, in Corso Vittorio, c'è il frastuono del traffico cittadino e lo sferragliare dei tram: è la prima volta che i due uomini vedono Torino, la sua architettura affascina e richiama alla
memoria la Parigi dalle vie ampie e alberate, le facciate liberty e barocche con tetti spioventi e abbaini.
Il Corso in Oreal sarà breve per Brenno, il tempo sufficiente per conoscere Mario Silvano, un importante consulente di Milano che intrattiene sulle nuove tecniche di vendita mirate al settore in cui opera la società, e un grande personaggio delle vendite franco-algerino, Beggiani (ha scelto di essere francese dopo l'indipendenza ottenuta dall'Algeria nei primi anni '60 con la rivolta contro il dominio francese).
Il Corso sarà di breve durata perché a Torino si materializzano gli zii Laino e cugini che sono immigrati a Torino da Crotone; dalla città calabrese e da tutto il Meridione è ancora in atto una vera transumanza di molti meridionali verso il Nord-Italia dove è in atto un vorticoso sviluppo industriale.
Lo zio Attilio, con la zia Stella e i figli Rina, Luigi, Flora, Arturo e Pino si sono stabiliti nella cintura industriale di Torino, a Collegno.
Rivedere i cugini ha propiziato la conoscenza della sua prima moglie Renata: è collega di lavoro
di Rina in un importante negozio di moda femminile situato in Piazza Statuto, adiacente la sede della Oreal.
Per farla breve, Rina e suo marito invitano Brenno a cena nella loro casa, dove incontra Renata, a sua volta ospite della cugina.
Lui, ragazzo timido, è colpito dalla presenza della ragazza: è bella, i capelli lunghi biondo/cenere
e gli occhi castano chiari, la pelle diafana, e sulle guance alcune lentiggini.
E tuttavia, superata la sorpresa, aveva partecipato alla conversazione con quella ragazza che voleva "darsi un tono", e infatti si toccavano temi impegnativi storico/politici italiani, e ci fu un piccolo incidente dialettico quando si parlò della seconda guerra mondiale, e lei a dire con enfasi che durante la guerra era stata rinchiusa con la sua famiglia in un campo di concentramento in Svizzera, o quando enfatizzò, sopravvalutandola, l'importanza della "Repubblica dell'Ossola".
La cosa in verità, a lui sembrò inverosimile e lo disse anche sorridendo: si sapeva tutto dei Lager nazisti e dei Gulag sovietici, ma non di quelli svizzeri; lei si adombrò e cercò di essere persuasiva, ma infine riuscirono a non litigare, e convennero che lei non era stata in un campo di concentramento, ma piuttosto internata con la famiglia nella Svizzera neutrale che aveva aperto le porte ai civili in fuga dalla valle per sottrarsi alla rappresaglia dei tedeschi occupanti, dopo la caduta dell'effimera Repubblica dell'Ossola,
Brenno, da quella sera cominciò a corteggiare Renata; la incontrava "casualmente" all'uscita dal lavoro, poi si offriva di accompagnarla a casa quando a sera doveva rientrare nell'abitazione di Piazza Bernini, dove alloggiava presso una anziana vedova: erano ormai sere autunnali, nebbiose e umide.
Infine le propose un incontro domenicale cui ne seguirono altri durante i quali esploravano la città con lunghe camminate, instancabili e curiosi di tutto.
E' facile percorrere le strade di Torino perché la sua viabilità è razionale e ordinata, è uno scacchiere dove vie, piazze e monumenti, sono agevolmente raggiungibili e così, di buona lena, camminavano per ore senza apparente fatica; ciò era dovuto al piacere di essere insieme, di vivere sentimenti
condivisi: avvertivano le sensazioni ineffabili di una conoscenza che recava nuove emozioni e
aspettative per il futuro, il tutto con i piccoli gesti e le parole misurate di chi pensa e scruta l'altro nel
magico rituale del corteggiamento.
Brenno, al fianco di Renata capiva che tutto era diverso rispetto alla conoscenza di Selma: questa era una ragazza giovanissima, dolce e di un certo candore, mentre Renata era già donna, aveva fatto
scelte coraggiose di autonomia e indipendenza, lasciando la sua Domodossola per trasferirsi a Torino.
Pertanto l'incontro con Renata era la causa prima della sua nuova vita: l'immagine di Selma era sempre più lontana e confusa. Decise di abbandonare l'Oreal, e di non fare ritorno a Ferrara.
Così in poche domeniche esplorarono Torino, o almeno i monumenti e gli scorci più interessanti della città e i suoi dintorni; la Città è anche un libro aperto sulla storia d'Italia: vie e piazze raccontano i Savoia, i Moti Carbonari e Risorgimentali, le Guerre di Indipendenza che portarono all'Unità d'Italia.
Si recarono anche a Volpiano, dove vivevano la nonna paterna Cristina , (il nonno era già scomparso) i figli Elia e Achille, e le figlie Anna e Maria: tutti avevano lasciato Arzergrande, nel Veneto, per trasferirsi in Piemonte, sempre per motivi di lavoro; nonna Cristina era la stessa di sempre, amorevole con tutti, Elia e Achille erano sposati a due venete, Beppina e Antonia, e infine le zie Anna e Maria erano nubili, mentre le zie Ada, Brigida e lo zio Luigi erano sposati e lontani, e tutti erano di stretta osservanza cattolica.
Egli aveva fatto esperienza della vita bigotta che conducevano, trascorrendo una breve vacanza nel loro vecchio podere di Arzergrande, una casa patriarcale dove genitori e figli vivevano con frugalità giornate di continuo lavoro, tra preghiere, giaculatorie, messe e recite del rosario, giornate in cui i rari momenti di evasione erano costituiti dai pettegolezzi riguardanti i loro paesani e, occasionalmente
, anche i parenti vicini e lontani; indelebile nella sua memoria di ragazzo il ricordo di nonno Gelindo,
già vecchio e dipendente dai figli, che mostrava la povera bottega in cui aveva esercitato il mestiere
di fabbro e maniscalco, con la forgia, il mantice, l'incudine e gli utensili utilizzati, forse, anche da suo padre nella prima giovinezza.
E il ricordo delle sere in cui
la numerosa famiglia si riuniva intorno al grande tavolo della cucina, e sul tavoliere precipitava dal paiolo di rame
una colata di polenta densa e gialla che veniva distesa, al suo centro era versato il condimento di pomodoro, infine il più anziano degli zii ritagliava le porzioni con un filo per cucire e le distribuiva.
Leggenda vuole che, raramente, una saracca pendeva al centro della tavola e ciascuno dei presenti
strusciava il boccone sul pesce affumicato.
Dunque tra Brenno e Renata progrediva la conoscenza reciproca, lei si esprimeva su ogni argomento, la conversazione fluiva come acqua corrente, aumentava l'emozione per la vicinanza e la confidenza più intima; camminavano sempre più vicini, mano nella mano, il profumo di lei gli era ormai familiare, le carezzava i capelli e lei sorrideva.
Una sera, il cielo già imbrunito, erano in Piazza Carlo Felice, fronte Porta Nuova, ormai in Corso
Vittorio, e si dirigevano al Parco del Valentino, ma non l'avrebbero raggiunto perché lui possedeva le chiavi della mansarda che i cugini condividevano con amici per condurvi le "fidanzate", e anche il ragazzo sperava di salire a quella alcova, promessa di felicità.
Non si sa quale storiella le raccontò, né quanto la ragazza gli credesse, o volesse credere, il fatto è che lei lo seguì alla ricerca del numero 63 di Corso Vittorio.
Questo palazzo è della Torino "Umbertina", un portone grande e massiccio, occorre la chiave per
utilizzare l'ascensore, e allora si inizia la scalata, forse sei piani a piedi, piani alti con gradoni che
non finiscono mai, infine si arriva al piano delle mansarde, individuano la loro, Brenno apre la porta con un rumore di vecchie ferraglie e si ritrovano in un grande sottotetto rischiarato da un lucernario e dalla finestrella dell'abbaino dal quale lo sguardo spazia sui tetti di Torino immersa nella caligine autunnale.
Il luogo è disadorno: due sedie impagliate, su una c'è una bugia con un mozzicone di candela, in terra
è adagiato un materasso con alcune coperte; è spartano, ma la tenue luce lunare e il riflesso delle luci cittadine gli conferiscono l'aspetto di un rifugio segreto e romantico.
La tensione emotiva è palpabile e l'emozione indicibile.
Continuarono a frequentarsi esplorando, con i cugini e i loro amici, le colline torinesi, fra boschi e
ruscelli verso Superga, sostando sui prati per rifocillarsi.
A sera rientravano in città con le luci già velate dell'autunno incipiente; erano felici, ma la felicità può essere offuscata da fatti imprevisti che possono sconvolgere ogni equilibrio e precipitare animo e mente nel disorientamento totale.
Lei gli ha detto di essere incinta. Brenno è stordito perché lontanissimo dal pensiero di una possibile
paternità, e la sua istintiva, viscerale reazione è di rifiuto: è terrorizzato, pensa di non essere pronto a fronteggiare una simile realtà.
La risposta della donna è serena e decisa: vuole portare a termine la gravidanza, e già pensa di farsi accogliere in un istituto religioso per ragazze-madri. Lei, peraltro, ha già rifiutato la soluzione di un aborto clandestino suggerito dai cugini in quanto pratici della cosa. In Italia la pratica dell'aborto è vietata, e la sua legalizzazione sarà introdotta solo nel 1978.
Pochi giorni di tormento per l'uomo e la donna, poi Brenno le propone il matrimonio: le vuole bene e già ne vuole al figlio in arrivo; sulle prime lei è titubante, ma infine accetta, il matrimonio verrà celebrato a Collegno e, in seguito, altre due bambine, Annabella e Chiara, nate a Ferrara e Sassuolo, completeranno la famiglia.
Niente di nuovo sulla terra, se non fatti di ordinaria umanità: donne e uomini vivono infatti vicende
umane in cui maternità e paternità riscattano e giustificano l'esistenza.
A.Ferrin
Modena, 22/11/2016