ALDINA
L'Aldina è una vecchia Trattoria in via Albinelli a Modena, fronteggia l'ingresso dell' omonimo mercato coperto: è posta al primo piano alla sommità di una scala ripida, inaccessibile ai portatori di Handicap, o "diversamente abili" come ora sono definiti.
Spesso, quando attraverso il quartiere del mercato, noto l'insegna della trattoria che richiama alla memoria un'altra Aldina, l'Aldina della mia fanciullezza.
Era la mamma di Maurizio, un compagno di giochi e abitavamo con le nostre famiglie a Ferrara nel quartiere dell'Arginone, attraversato e limitato dal Canal Bianco da un lato, da campi coltivati e dai
binari della Bologna Ferrara negli altri, e il tutto creava il Borgo di periferia con cortili e strade bianche, divenuto il mondo di noi bambini.
L'Aldina era la tipica donna emiliana, la rezdora, mamma di Maurizio, ma anche di tutti noi suoi compagni di gioco: era paziente e accogliente, sempre sorridente; impegnata con Checco suo marito nella conduzione del forno dove panificavano, nella salumeria e drogheria, nonché nell'allevamento
di polli e conigli, infine tenevano un piccolo allevamento di maiali per ricavarne i salumi.
Insomma era una piccola azienda integrata, si direbbe ora a ciclo completo, un piccolo precursore
dei futuri supermercati.
Ma ora, tralasciando i ricordi, si entra nella sala da pranzo e ci si trova subito immersi in un'atmosfera familiare, quasi un ritorno al passato, fra aromi e profumi d'altri tempi, di piatti spesso soppiantati dalle rivisitazioni culinarie di sedicenti grandi chef che si ispirano a cucine esotiche e a mille altre
definizioni di cucine sperimentali legate alle mode del momento.
Qui invece è un ritorno alle origini, a una cucina nella quale domina la peculiarità del territorio, le sue
tradizioni e la cultura di cui è permeato, e qui il profumo diffuso di ragù emiliano mi riporta in grandi
case di contadini, famiglie patriarcali che alla domenica si ritrovavano unite attorno al grande tavolo
sul quale, da capaci recipienti di terracotta o ceramica fumavano "montagne di tagliatelle gialle".
L'ambiente è informale, con tavoli e sedie semplici, tovaglie e tovaglioli bianchi in un insieme componibile secondo il numero degli avventori che vi affluiscono a frotte e, chissà perché, nella pausa di mezzogiorno.
L'oste è al banco di mescita da dove sovrintende al servizio, attento a dirottare i clienti solitari ai tavoli più piccoli, dove condividono lo spazio con altri commensali facendo di necessità virtù e, per incanto, questi sconosciuti conversano, parlano del proprio lavoro, dei piccoli fatti e aneddoti che hanno vissuto nel loro girovagare per strade affollate dal traffico convulso e fragoroso.
Ma infine ci si rilassa anche nel vociare confuso, fra il calpestio delle cameriere che come funamboli si destreggiano tra i tavoli, cameriere molto efficienti e anche di bell'aspetto, il che non guasta, e con grazia ti propongono lasagne o tagliatelle, tortellini o tortelloni (rigorosamente di loro produzione), il
bollito misto e lo stinco di maiale, con la parmigiana e la caponata, il tutto bagnato con un bicchiere di grasparossa o sangiovese.
In fondo, donne o uomini, abbiamo poche pretese: un poco di pace, il contatto umano con i nostri simili e un cibo possibilmente ancora genuino.
A. Ferrin
modena,18/10/2017
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