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libreria di zurau

giovedì 30 maggio 2019

E' FINITA!


Con le elezioni europee del 26 maggio è finito il tormentone rappresentato dall'infinito dibattito elettorale, ma non credo che i partiti riescano a instaurare rapporti più civili tra di essi e al loro interno: il teatro in cui  agiscono è della massima importanza ( Italia-Europa), ma gli attori sono quello che sono e la posta in gioco è la conquista del potere fine a se stesso.
Si dirà che non c'è niente di nuovo sotto il sole, ed è vero: l'uomo rappresenta se stesso, con vizi e
virtù di sempre, ma gli idealisti o, se si preferisce, gli ingenui come il sottoscritto, cercano qualche cosa che riscaldi il cuore e alimenti la speranza.
La politica è un'attività necessaria, utile e nobile, e pertanto non resta che prendere atto della realtà, poiché fuggire dalla realtà della vita è una delle caratteristiche della fede, la quale rifiuta di tenere conto dei fatti che accadono e che si affermano contro le leggi morali, imprimendo al mondo ferree leggi al di sopra di ogni ideale, indipendentemente dalle nostre aspettative.
A.Ferrin
modena, 30/5/2019

venerdì 24 maggio 2019

IL DISCORSO DELL'AMORE

" Questo è il discorso( definito anche discorso dell'amore) di Paolo Borsellino pronunciato il 23  giugno,  in memoria di Giovanni Falcone a un mese del suo assassinio, e 30 giorni prima che lo stesso Borsellino fosse assassinato nell'attentato di via D'Amelio" 
   

“Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte.
Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che egli correva perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene.
Qui Falcone cominciò a lavorare in modo nuovo. E non solo nelle tecniche di indagine. Ma anche consapevole che il lavoro dei magistrati e degli inquirenti doveva entrare nella stessa lunghezza d’onda del sentire di ognuno. La lotta alla mafia (primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. Ricordo la felicità di Falcone, quando in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta [il pentito Tommaso Buscetta, ] egli mi disse: «La gente fa il tifo per noi». E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice. Significava soprattutto che il nostro lavoro, il suo lavoro stava anche smuovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la vera forza di essa.
Questa stagione del «tifo per noi» sembrò durare poco perché ben presto sopravvennero il fastidio e l’insofferenza al prezzo che alla lotta alla mafia, alla lotta al male, doveva essere pagato dalla cittadinanza. Insofferenza alle scorte, insofferenza alle sirene, insofferenza alle indagini, insofferenza a una lotta d’amore che costava però a ciascuno, non certo i terribili sacrifici di Falcone, ma la rinuncia a tanti piccoli o grossi vantaggi, a tante piccole o grandi comode abitudini, a tante minime o consistenti situazioni fondate sull’indifferenza, sull’omertà o sulla complicità. Insofferenza che finì per invocare e ottenere, purtroppo, provvedimenti legislativi che, fondati su una ubriacatura di garantismo, ostacolarono gravemente la repressione di Cosa nostra e fornirono un alibi a chi, dolosamente o colposamente, di lotta alla mafia non ha mai voluto occuparsene. In questa situazione Falcone andò via da Palermo. Non fuggì. Cercò di ricreare altrove, da più vasta prospettiva, le ottimali condizioni del suo lavoro. Per poter continuare a «dare». Per poter continuare ad «amare». Venne accusato di essersi troppo avvicinato al potere politico. Menzogna!


Qualche mese di lavoro in un ministero non può far dimenticare il suo lavoro di dieci anni. E come lo fece! Lavorò incessantemente per rientrare in magistratura. Per fare il magistrato, indipendente come sempre lo era stato, mentre si parlava male di lui, con vergogna di quelli che hanno malignato sulla sua buona condotta. Muore e tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita. Anche coloro che per averlo denigrato, ostacolato, talora odiato e perseguitato, hanno perso il diritto di parlare! Nessuno tuttavia ha perso il diritto, anzi il dovere sacrosanto, di continuare questa lotta. Se egli è morto nella carne ma è vivo nello spirito, come la fede ci insegna, le nostre coscienze se non si sono svegliate debbono svegliarsi.


La speranza è stata vivificata dal suo sacrificio. Dal sacrificio della sua donna. Dal sacrificio della sua scorta.
Molti cittadini, ed è la prima volta, collaborano con la giustizia. Il potere politico trova il coraggio di ammettere i suoi sbagli e cerca di correggerli, almeno in parte, restituendo ai magistrati gli strumenti loro tolti con stupide scuse accademiche.
Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera. Facendo il nostro dovere; rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia.
Troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli; accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito; dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo”.

giovedì 23 maggio 2019

LE MAESTA'

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alcune immagini di edicole votive



Sono innumerevoli le edicole votive disseminate ovunque in Italia, sono semplici e ingenue, ma
testimoniano quanto fosse diffusa la pietà popolare: erano quasi pietre miliari che presidiavano i sentieri insicuri del tempo frequentati dai viandanti più poveri che non lesinavano la giaculatoria
a Cristo, alla Madonna e a qualsiasi altro santo, per essere protetti.
La massa non disponeva di comodi mezzi di trasporto, pochi disponevano di un calesse, un cavallo
o di un carretto e, per quanto a noi sembri oggi inverosimile, uomini, donne e bambini dovevano camminare a lungo per raggiungere i mercati.
D'altra parte erano anche tempi di banditismo, o di sbandati e malintenzionati per i quali i simboli
religiosi non rappresentavano un deterrente, e la densità della popolazione era molto inferiore a quella attuale (nel 1861 l'Italia aveva 22 milioni di abitanti, oggi siamo in 60 milioni): in poche parole, la densità per Km2 era un terzo di quella odierna, e pertanto si può dire che i viandanti andassero "alla
ventura", in territori sconosciuti e infidi.
Ora queste edicole, definite anche "Maestà", "Madonnelle" "Santelle" o "tabernacoli", sono trascurate, ma sopravvivono anche se non rispettate come in passato: le icone in esse contenute sono segnate dal tempo, ma si notano ancora resti di lumini e mozziconi di candele che qualcuno avrà acceso, e a volte qualche ex-voto.
Anche i centri urbani mostrano molti segni della pietà popolare: le Calle e i Campi di Venezia, il centro Rinascimentale di Firenze, e in generale tutti i centri storici italiani, per non parlare di quelli
popolari di Roma e Napoli.
E' vivo il ricordo di quando, sono molti anni, e avendo ancora una buona gamba, potevo andare per
colline e montagne; nel corso di escursioni anche prolungate scorgevo questi angoli devozionali
che apparivano come oasi provvidenziali dove fontanelle di acque fresche ristoravano placando l'arsura.
Ora sentieri e tratturi sono meno frequentati da viandanti e pellegrini, e invece sono percorsi, quasi
aggrediti, da Fuoristrada e mezzi vari che hanno in comune distrazione e velocità, e così anche gli antichi camminamenti sono cancellati dall'incuria e dal sottobosco che si espande.
A.Ferrin
modena, 7/6/2019

mercoledì 22 maggio 2019

BELLEZZA




Nella tarda serata di Venerdì scorso una potente vettura percorre a velocità temeraria il tratto di
autostrada tra Reggio e Bologna: piove a dirotto e la vettura perde aderenza finendo contro le
barriere divisorie; i due occupanti, di 39 e 35 anni, scesi dalla macchina increduli e sotto shok, sono
travolti e uccisi da un'altra vettura che sopraggiungeva.
Un banale incidente tra i molti che giornalmente falciano vite sulle strade italiane? Certo ma, oltre a
manifestare pietà, non si può tacere che i due "giovani" trasmettevano in video e voce la cronaca della folle corsa, le emozioni vissute per la velocità raggiunta (220 km.), e già esaltati per l'imminente evasione serale, promessa di svago, e anche di sballo.
Questa è una delle molte sfaccettature di bellezza e pienezza della giovinezza e della vita, almeno fino a quando siamo giovani e l'energia vitale appare inesauribile, quasi infinita, inducendo in noi un senso di onnipotenza e l'illusione dell'eternità, ma accade purtroppo che l'istinto vitale porti in se anche l'istinto di morte.
Siamo stolti. Ingannevole è l'illusione di eternità: barlumi di eternità possiamo coglierli solo nella
intrinseca natura della bellezza, nella sublimazione con cui possiamo nutrire e arricchire la vita, altrimenti arida e povera.
Non c'è dubbio circa la bellezza dell'amore e della giovinezza, bellezza ineffabile quanto effimera e ignara della sua caducità: infatti non riusciamo a "pensare" la  nostra morte, possiamo immaginare quella degli altri, non la nostra, che istinto e ragione rifiutano.
Pertanto affrontiamo nuove sfide con esperienze estreme, in un'impari lotta con la morte in agguato, e con la quale giochiamo a rimpiattino, quasi volessimo guardarla in faccia, intravederne le sembianze grottesche e respirarne l'afrore di corruzione.
A.Ferrin
modena, 22/5/2019

mercoledì 15 maggio 2019

CHIARA e i "GIARDINI PRIVATI"

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La Galleria ROPE ha inaugurato la mostra fotografica di Chiara Ferrin: esposizione dedicata ai "Giardini Privati", pretesto per una ricerca di piccoli spazi verdi, poveri, boscaglie incolte, ramaglie abbandonate e macchie spontanee, di cortili sassosi presidiati da arbusti solitari, dell'esile rampicante tenace sul muro inospitale, della palma scarnita nel giardino antico, di campi violati da lavoro umano.
Con i suoi scatti, Chiara non ricerca l'ovvio di una bellezza convenzionale, già illustrata
e frequentata ampiamente, ma piuttosto quella dell'angolo riposto, quasi negletto, ma fonte di poesia e memoria.                                                                         
A.Ferrin
modena, 15/5/2019

domenica 12 maggio 2019

48693


Questo è il numero di matricola impressa dai nazisti sulle braccia di Halina Birenbaum quando fu rinchiusa nel Konzentrationslager di Auschwitz, Lager del quale è tra i pochi superstiti ancora in vita.
Halina è una ebrea polacca novantenne che dopo la guerra, scampata alla morte, si è trasferita in Israele, il nuovo Stato creato in Medio Oriente che ha accolto la massa della Diaspora ebraica.
Ieri era a Torino per l'apertura del Salone del Libro, fra accese polemiche per la presenza nella
manifestazione di una Casa Editrice che pubblica la biografia di Matteo Salvini.
Al culmine della tensione, gli organizzatori e le autorità istituzionali hanno negato lo spazio
espositivo all'editore di estrema destra, che il giorno precedente, provocatoriamente, aveva
rilasciato dichiarazioni filofasciste; di pari passo la stessa Birembaum, aveva  minacciato di non presenziare alla manifestazione.
Pertanto l'antifascismo ha trionfato: dopo 74 anni dalla sconfitta, il fascismo è ancora uno spettro che
inquieta i "democratici", ma io penso che in realtà abbia vinto la censura preventiva e la negazione
della libertà di espressione.
Anche Halina Birenbaum ha avuto la sua vittoria, questa, venata di spirito di vendetta, ha ricondotto tutti al conformismo di un pensiero unico antistorico e illiberale.
Non mi sorprende più di tanto l'atteggiamento di Halina: è un'ebrea che ha sofferto, e nella religione
ebraica è contemplato il perdono per il male ricevuto personalmente, non quello che ha colpito gli altri e. d'altra parte, l'Antico Testamento è il libro di un Dio che punisce, quasi vendicativo, il libro
"dell'occhio per occhio, dente per dente", non del perdono e della carità.
Questa, forse è una delle ragioni per le quali gli Ebrei dei Ghetti e dei Pogrom assistevano passivi  ai primi rastrellamenti e alle violenze dirette ai loro vicini e correligionari.
Negli anni '60 mi ha colpito la vicenda dell'SS Adolf Eichmann, il criminale nazista che, rapito in Argentina, fu tradotto in Israele, processato e condannato a morte.
Israele non si accontentò: cremato il corpo di Eichmann, ne dispersero le ceneri in mare, oltre il limite delle acque territoriali.
La signora Birembaum, gira il mondo a testimoniare la persecuzione patita a opera dei nazisti, ma il rito rischia di essere controproducente, cioè di strumentalizzare il dolore e seminare nuovo odio.
Perché invece non si adopera per le nuove emergenze umanitarie? Dei milioni di profughi e diseredati
sulla terra, tra i quali sono i 5 milioni di Palestinesi ancora "ospiti" nei vari Paesi del Medio Oriente,
oltre a quelli che sono ancora sotto il giogo israeliano?
A.Ferrin
modena, 12/5/2018
           

mercoledì 8 maggio 2019

MANCUSO & ROVELLI



Dialogo colto tra lo scienziato Rovelli e il teologo Mancuso: il primo afferma di non essere credente,
il secondo di esserlo; è il confronto non nuovo fra trascendenza e immanenza in cui si dibatte l'uomo
da sempre, e in cui, inevitabilmente si avventura chiunque abbia voglia ed energie da impiegare.
Lo scienziato confida nella ragione e razionalità, quindi nella scientificità dell'esperienza e, in assenza di risposte, sospende il giudizio, ma persevera nella ricerca, mentre il teologo fa una scelta fideistica, ossia si rifugia nella fede.
Tutti, prima o poi, da sempre, siamo posti di fronte a temi dai quali rifuggiamo istintivamente, quali
la vita e la morte, dell'origine e del fine dell' esistenza.
Questi interrogativi sono immutati da migliaia di anni: siamo fermi alla filosofia dell'antica Grecia, e
a quella dei grandi pensatori d'Oriente.
Il nostro destino è quello di estinguerci sperando, o disperando, fino agli ultimi giorni.
A.Ferrin
modena,8/5/2019

sabato 4 maggio 2019

BROKER


Mi sono detto: è una bella giornata, è caldo, quasi quasi scendo nel giardinetto della "Fogliani" a
leggere, anzi a iniziare finalmente la lettura di un libro raccolto in una sala d'aspetto, luoghi in cui
altri lettori lasciano i libri letti, e che mettono a disposizione di altri visitatori.
Si tratta del "BROKER" di John Grisham, uno scrittore che non conosco, e non saprei dire se il suo
sia un un triller o un giallo, e in ogni caso è un genere che non amo; leggo le prime pagine e già vorrei sbadigliare: la prosa è pesante, il suo periodare involuto, e le descrizioni troppo minuziose, quasi espedienti per "allungare il brodo", forse il suo editore ha richiesto un libro di 300 pagine?
Qui si sta bene: c'è un'aria leggera e si avverte solo il fruscio prodotto dal volo delle tortore; scorro
le prime pagine senza emozione ma. giunto a pagina 21, sospendo la lettura perché, in corrispondenza
della rilegatura, e per tutta la sua altezza, noto un capello biondo.
E' molto sottile: non è un pelo di cane o gatto, né un crine sfuggito da un'imbottitura, e il colore è senz'altro biondo cenere; tralascio Grisham, prendo il capello fra indice e pollice per osservarlo
attentamente ma, per quanto lo rigiri, è un capello, un capello di donna adulta perché è improbabile
che una bambina legga un libro simile.
Perché leggere il libro la cui lettura non è intrigante quanto può esserlo questo capello caduto tra le pagine, o strappato dalla lettrice per lasciare una traccia di se? Certo, avrebbe potuto scrivere a matita il suo nome, un pensiero, e magari anche il numero di telefono!
Io posso solo fantasticare: lei ha una chioma folta che cade sulle spalle, i tratti del viso sono regolari, la pelle diafana con qualche lentiggine d'ambra, e gli occhi azzurrini.
Sorrido della mia ingenuità, ma sono grato alla donna che, per un attimo, ha eccitato la mia fantasia.
A.Ferrin
modena, 4/5/2019