NATALE IN CASA CUPIELLO
Ieri sera ho rivisto la commedia di Eduardo De Filippo nella versione recitata da Castellitto e altri attori napoletani. La vicenda della commedia gravita sul Presepe e l'antica tradizione di allestirlo nelle case ispirandosi alla tradizione francescana, ma molta acqua è passata sotto i ponti, e questa usanza ha perso vigore parallelamente alla diffusa perdita di religiosità. I bambini aspettano Babbo Natale e non più Gesù Bambino: solo quelli della mia generazione ricordano e possono rivivere l'atmosfera legata al Presepe. Solo poche immagini sono sufficienti per sollevare il sipario sulla memoria di bambino e rivivere i ricordi ineffabili che regalavano il progetto e la sua realizzazione; che io sappia non esistevano componenti prefabbricati in commercio, e allora ci si industriava a modellare le statuine con la creta e costruire gli elementi architettonici necessari per l'allestimento del paesaggio. Mio fratello più grande, il povero Ermanno, era il direttore dei lavori e io collaboravo per la riuscita dell'impresa. Si iniziava con la raccolta del materiale: la creta nei calanchi delle colline circostanti, carta e cartone con cui fare cartapesta, ritagli di legno, sughero e la ferramenta che forniva nostro padre. Era un lavoro impegnativo iniziato a Ottobre: la base era costituita dal tavolone che Leone utilizzava per i piccoli lavori di fabbro e preparare le cartucce per la caccia, anche Dora, il nostro magnifico Setter, era attenta, quasi sapesse di essere protagonista. Particolare applicazione era riservata alla costruzione di case, ponti e ovili disseminati su pianure e alture e infine alla grotta della natività. Non era la religiosità la molla del nostro attivismo, ma piuttosto la memoria diffusa fatta di ricordi e sogni fanciulli, allora patrimonio di tutti e, con il senno di poi, penso si trattasse di una attività pedagogica che, oltre a essere edificante, era funzionale a perpetuare la cultura e i costumi del tempo. Il tocco finale al Presepe era la raccolta di muschio alle pendici delle colline, da cui si staccavano piccole zolle muschiate e si riportavano su prati e colline. Compiuta l'opera, la si offriva alla vista della comunità di vicini e parenti che partecipavano alla gara con spirito di emulazione: non c'era competizione, ma il piacere di stupire di bellezza e abilità diffuse, nonché di godere degli inviti a degustare i dolci tipici e i liquori fatti in casa. Ciò che resta nel mezzo della pandemia di questo "annus horribilis", è la struggente nostalgia per altre stagioni in cui il Natale era vissuto con innocenti aspettative, premio a se stesse. Nostalgia nonostante la vita di quegli anni consistesse nel percorso di guerra tra fame e stenti, guerra e sfollamento dalla città sotto i bombardamenti. modena, 24/12/2020
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