LA MELODIE
Film francese del regista franco-algerino Rachid Hami ambientato nella banlieu parigina, in una Classe multietnica di bambini impegnati nello studio del violino, con l'impegno di prendere parte a un'importante manifestazione musicale .
Un professore di violino, privo di ingaggi, è in crisi, ma accetta di prendersi cura del gruppo, e fra molte difficoltà legate alla condizione sociale e culturale dei ragazzi, e conseguentemente alla loro
problematica integrazione nella società, riesce infine motivarli e unirli in un'insieme solidale.
E' una storia semplice e delicata, una esperienza riuscita di integrazione e promozione sociale; devo
ripetere che in questo genere di film, i francesi sono molto bravi, direi che girano film "naturalisti" in cui gli attori non "recitano".
Un critico laureato(!), a questo proposito si pone la domanda, evidentemente retorica: la banalità del
bene?
Può darsi, ma io preferisco questo genere di film a quelli (per fare un esempio), di Sorrentino che
vuole essere grande replicando se stesso, e saccheggiando a piene mani grandi film di altri registi.
Sono molto belle alcune scene in cui Arnold, il bambino del Centro Africa, si rifugia sulla sommità
del grande casermone in cui abita con la madre per esercitarsi con lo strumento, e quella in cui si
ritrova con i suoi amici, questa volta di sera, per provare insieme, e tutti sono incantati dalla visione
della Parigi notturna, con la Tour Eiffel che spicca in lontananza.
A proposito, nel saggio finale i ragazzi eseguono il brano Sherazade di Rimskji Korsakov.
A.Ferrin
modena, 29/04/2018
SCRIBERE

libreria di zurau
lunedì 30 aprile 2018
giovedì 26 aprile 2018
SULLA STRADA
SULLA STRADA
Esplorare le strade di una qualsiasi città dei nostri giorni, le vie anguste e irregolari che replicano
quelle di insediamenti della protostoria, dei Borghi medioevali e rinascimentali, procura, credo, emozioni e sensazioni simili a quelle di sempre, perché il paesaggio umano è inalterato sotto molti aspetti.
L'uomo è un essere mutante, cambia pelle una, mille volte ma intrinsecamente, la sua natura è
immutabile, forse soggetta a variazioni impercettibili, ma sulla quale solamente Ere geologiche potranno o potrebbero incidere.
E tuttavia è come il bambino che all'alba della sua vita scopre con stupore, passo dopo passo, la sua
esistenza; è entusiasta e crede di essere scopritore, il primo e l'unico, di un mondo meraviglioso tutto
suo.
In realtà i suoi passi ricalcano quelli innumerevoli di altri esseri umani, le pietre sono sedimenti sovrapposti a sedimenti, senza soluzione di continuità, ma è giusto che l'uomo proceda sicuro di se,
sorretto dal senso di onnipotenza, unica condizione, peraltro, per potere adempiere al progetto stabilito dalla natura.
Quindi, consapevole di questa realtà, gironzolo fra le vecchie case a scrutare l'attività quotidiana di
uomini e donne, esseri che animano vie e piazze, apparentemente affaccendati e diretti a una meta.
Ma la meta non è necessaria. E' indispensabile il movimento, l'agire, poiché l'immobilismo evoca
l'immagine della morte di cui nessuno parla, ma tutti temono.
Dunque è il 25 aprile, anniversario della Liberazione e fine della guerra '40/45, ma dopo 73 anni, gli
anniversari propongono rituali di maniera, nell'indifferenza dei più e l'ignoranza dei giovani più assorti in cellulari, I phone e Smart Phone.
Ora risalgo via Carteria, la via delle piccole attività artigianali e alternative: è aperto il Circolo degli "antagonisti" di sinistra, ( forse del Guernica); seduti sul lastricato al sole, ci sono ragazzi e alcuni adulti che bevono birra e ascoltano rock ad alto volume: sono uomini stanchi e disillusi, reduci da lotte velleitarie che non possono scalfire un potere troppo radicato, noto alcune bandiere rosse con
falce e martello, ma sopratutto una grande bandiera Palestinese.
E' un'immagine che mi piace.
A.Ferrin
modena, 25/04/2018
Esplorare le strade di una qualsiasi città dei nostri giorni, le vie anguste e irregolari che replicano
quelle di insediamenti della protostoria, dei Borghi medioevali e rinascimentali, procura, credo, emozioni e sensazioni simili a quelle di sempre, perché il paesaggio umano è inalterato sotto molti aspetti.
L'uomo è un essere mutante, cambia pelle una, mille volte ma intrinsecamente, la sua natura è
immutabile, forse soggetta a variazioni impercettibili, ma sulla quale solamente Ere geologiche potranno o potrebbero incidere.
E tuttavia è come il bambino che all'alba della sua vita scopre con stupore, passo dopo passo, la sua
esistenza; è entusiasta e crede di essere scopritore, il primo e l'unico, di un mondo meraviglioso tutto
suo.
In realtà i suoi passi ricalcano quelli innumerevoli di altri esseri umani, le pietre sono sedimenti sovrapposti a sedimenti, senza soluzione di continuità, ma è giusto che l'uomo proceda sicuro di se,
sorretto dal senso di onnipotenza, unica condizione, peraltro, per potere adempiere al progetto stabilito dalla natura.
Quindi, consapevole di questa realtà, gironzolo fra le vecchie case a scrutare l'attività quotidiana di
uomini e donne, esseri che animano vie e piazze, apparentemente affaccendati e diretti a una meta.
Ma la meta non è necessaria. E' indispensabile il movimento, l'agire, poiché l'immobilismo evoca
l'immagine della morte di cui nessuno parla, ma tutti temono.
Dunque è il 25 aprile, anniversario della Liberazione e fine della guerra '40/45, ma dopo 73 anni, gli
anniversari propongono rituali di maniera, nell'indifferenza dei più e l'ignoranza dei giovani più assorti in cellulari, I phone e Smart Phone.
Ora risalgo via Carteria, la via delle piccole attività artigianali e alternative: è aperto il Circolo degli "antagonisti" di sinistra, ( forse del Guernica); seduti sul lastricato al sole, ci sono ragazzi e alcuni adulti che bevono birra e ascoltano rock ad alto volume: sono uomini stanchi e disillusi, reduci da lotte velleitarie che non possono scalfire un potere troppo radicato, noto alcune bandiere rosse con
falce e martello, ma sopratutto una grande bandiera Palestinese.
E' un'immagine che mi piace.
A.Ferrin
modena, 25/04/2018
mercoledì 25 aprile 2018
ALFIE
ALFIE
Tiene banco nei mezzi di comunicazione la vita del piccolo ALFIE, la sua precarietà e la lotta per la
sopravvivenza.
Io ho fiducia nei medici che lo curano in Inglilterra, e non ho motivo di pensare che siano disumani,
e peraltro capisco che i genitori siano, e debbano essere, gli ultimi ad arrendersi all'esito fatale della patologia che ha colpito il loro bambino.
Ma come è risaputo, l'Italia è piena di persone buone e caritatevoli pronte ad accorrere a ogni emergenza umanitaria, e allora 2 Ministri concedono, "motu proprio", la Cittadinanza italiana al bimbo inglese perché possa essere trasferito al Bambin Gesù di Roma, dove potrà ricevere le cure che i sanitari inglesi gli rifiutano.
Evidentemente, ai Ministri italiani buoni samaritani, all'umanitarismo stucchevole e invadente dell'ospedale della Chiesa, sfuggono gli aspetti grotteschi e ridicoli di un comportamento che pecca
di ingenuità e provincialismo.
In Italia vive un milione circa di minori, cinquecentomila dei quali nati in italia, figli di immigrati, che attendono la nostra Cittadinanza, e nella nostra società esistono sacche di povertà e malessere
diffusi, e carenze sanitarie e assistenziali in molte regioni.
Pertanto, senza nulla togliere al piccolo Alfie, vorrei che le persone buone non ostentassero le loro
attività caritatevoli che spesso appaiono strumentali, o si traducono in semplice esibizionismo.
A.Ferrin
modena, 25/aprile/2018
Tiene banco nei mezzi di comunicazione la vita del piccolo ALFIE, la sua precarietà e la lotta per la
sopravvivenza.
Io ho fiducia nei medici che lo curano in Inglilterra, e non ho motivo di pensare che siano disumani,
e peraltro capisco che i genitori siano, e debbano essere, gli ultimi ad arrendersi all'esito fatale della patologia che ha colpito il loro bambino.
Ma come è risaputo, l'Italia è piena di persone buone e caritatevoli pronte ad accorrere a ogni emergenza umanitaria, e allora 2 Ministri concedono, "motu proprio", la Cittadinanza italiana al bimbo inglese perché possa essere trasferito al Bambin Gesù di Roma, dove potrà ricevere le cure che i sanitari inglesi gli rifiutano.
Evidentemente, ai Ministri italiani buoni samaritani, all'umanitarismo stucchevole e invadente dell'ospedale della Chiesa, sfuggono gli aspetti grotteschi e ridicoli di un comportamento che pecca
di ingenuità e provincialismo.
In Italia vive un milione circa di minori, cinquecentomila dei quali nati in italia, figli di immigrati, che attendono la nostra Cittadinanza, e nella nostra società esistono sacche di povertà e malessere
diffusi, e carenze sanitarie e assistenziali in molte regioni.
Pertanto, senza nulla togliere al piccolo Alfie, vorrei che le persone buone non ostentassero le loro
attività caritatevoli che spesso appaiono strumentali, o si traducono in semplice esibizionismo.
A.Ferrin
modena, 25/aprile/2018
martedì 17 aprile 2018
ARANCIA MECCANICA
ARANCIA MECCANICA
Ho rivisto questo film, tratto dal romanzo di Antony Burgess del '62, e diretto da Stanley Kubrik nel
1971.
Il fenomeno del disagio e violenza giovanile non era un tema nuovo, e infatti Gioventù Bruciata i
Teddy Boys erano già parte del costume e della cultura degli anni '50 cui seguiranno la Rivoluzione
sessuale, il movimento del '68 e anni successivi.
Ma, nonostante ciò, il libro e il film sono profetici: prefigurano una società futura da molti attesa, e
da molti altri temuta; d'altra parte nella società sono già presenti tutti gli elementi e fattori economici e sociali che attendono solo gli inneschi opportuni per fare deflagrare la "rivoluzione" culturale, o meglio, l'illusione di questa rivoluzione e meglio ancora l'attesa della "la fantasia al potere".
Ma le dure repliche della storia, ossia il potere, i "poteri forti" controlleranno e canalizzeranno le spinte e le speranze delle masse, verso nuove razionalizzazioni e pratiche del controllo sociale.
In fondo, penso che il Sistema consideri la trasgressione e la marginalità sociale come inevitabile
e funzionale, e sotto questo aspetto anche in passato il fenomeno è sempre stato presente.
In ogni caso il film è molto bello, un classico e cult nella storia del cinema che si aggiunge agli altri
di Kubrik.
Anche qui Kubrik utilizza la colonna sonora (in massima parte musica classica) come parte integrante della sceneggiatura e sviluppo della vicenda.
A.Ferrin
modena, 17/04/2018
Ho rivisto questo film, tratto dal romanzo di Antony Burgess del '62, e diretto da Stanley Kubrik nel
1971.
Il fenomeno del disagio e violenza giovanile non era un tema nuovo, e infatti Gioventù Bruciata i
Teddy Boys erano già parte del costume e della cultura degli anni '50 cui seguiranno la Rivoluzione
sessuale, il movimento del '68 e anni successivi.
Ma, nonostante ciò, il libro e il film sono profetici: prefigurano una società futura da molti attesa, e
da molti altri temuta; d'altra parte nella società sono già presenti tutti gli elementi e fattori economici e sociali che attendono solo gli inneschi opportuni per fare deflagrare la "rivoluzione" culturale, o meglio, l'illusione di questa rivoluzione e meglio ancora l'attesa della "la fantasia al potere".
Ma le dure repliche della storia, ossia il potere, i "poteri forti" controlleranno e canalizzeranno le spinte e le speranze delle masse, verso nuove razionalizzazioni e pratiche del controllo sociale.
In fondo, penso che il Sistema consideri la trasgressione e la marginalità sociale come inevitabile
e funzionale, e sotto questo aspetto anche in passato il fenomeno è sempre stato presente.
In ogni caso il film è molto bello, un classico e cult nella storia del cinema che si aggiunge agli altri
di Kubrik.
Anche qui Kubrik utilizza la colonna sonora (in massima parte musica classica) come parte integrante della sceneggiatura e sviluppo della vicenda.
A.Ferrin
modena, 17/04/2018
giovedì 12 aprile 2018
BATAK
BATAK
""...c'erano testoline ricciolute in quella massa in putrefazione, schiacciate da pietre pesanti, piedini
non più grandi del dito di una mano, sui quali la carne era stata seccata dal caldo ardente prima
che avesse il tempo di decomporsi; manine tese come a chiedere aiuto; neonati che erano morti sorpresi dall'intenso luccichio delle sciabole e degli occhi rossi degli uomini dallo sguardo feroce che le brandivano..."".
Questo è un estratto dal servizio che l'inviato del Daly News, Januarius Macgahan, inviò da Batak
in Bulgaria il 22 agosto 1876 al proprio giornale in Inghilterra...in quel tempo la Bulgaria e i Balcani erano assoggettati all'impero Ottomano, e riuscirono a conquistare l'indipendenza dalla turchia
a prezzo di guerre e ribellioni, e il massacro di Batak fu una delle cause scatenanti che indusse gli
Ottomani a concedere l'indipendenza a quei Paesi.
Oggi leggo del massacro di donne e bambini in Siria per mano dell'esercito siriano che ha usato
ordigni chimici letali.
Vogliamo ricordare i massacri della seconda guerra mondiale, per non parlare della prima?
E dei Gulag sovietici, delle fosse di katjn, dei Konzentrationlager, della distruzione del Ghetto di
Varsavia, di Dresda e Koventry, delle atrocità italiane in Etiopia e Libia.
E l'eccidio di Mylai e le bombe Napalm lanciate sui villaggi Vietnamiti e dell'eccidio dei profughi palestinesi nei campi di Sabra e Chatila, e quello che accade oggi sotto i nostri occhi: il popolo Rohyngya in Myanmarr che subisce pulizia etnica e massacri, e ciò avviene con la corresponsabilità di Aung San Suu kyi premio Nobel per la Pace?
Tutti questi eventi hanno un denominatore comune: la capacità dell'uomo di produrre odio profondo
e bene totale, ma sempre instabile; è una costante nella storia: che le vittime diventino carnefici e, a loro volta, si trasformino in vittime, come il caso e la necessità possono disporre.
Pertanto nessun moralismo: gli uomini hanno compreso che la vita è regolata dai rapporti di forza,
ovvero dalla lotta per la sopravvivenza, e solo giuste regole di coesistenza possono fare sì che l'uomo e l'umanità possano sopravvivere.
E' impossibile elencare tutti i delitti contro l'umanità commessi da "tutta l'umanità" e non giochiamo
con il rimpallo delle responsabilità, poiché non c'è un popolo che incarni, o abbia incarnato "il male assoluto": la ricerca del capro espiatorio è comodo e funzionale per quelli che sono innocenti per
definizione e, guarda caso, gli innocenti sono sempre i più forti e i vincitori.
A.Ferrin
modena, 12/04/2018
""...c'erano testoline ricciolute in quella massa in putrefazione, schiacciate da pietre pesanti, piedini
non più grandi del dito di una mano, sui quali la carne era stata seccata dal caldo ardente prima
che avesse il tempo di decomporsi; manine tese come a chiedere aiuto; neonati che erano morti sorpresi dall'intenso luccichio delle sciabole e degli occhi rossi degli uomini dallo sguardo feroce che le brandivano..."".
Questo è un estratto dal servizio che l'inviato del Daly News, Januarius Macgahan, inviò da Batak
in Bulgaria il 22 agosto 1876 al proprio giornale in Inghilterra...in quel tempo la Bulgaria e i Balcani erano assoggettati all'impero Ottomano, e riuscirono a conquistare l'indipendenza dalla turchia
a prezzo di guerre e ribellioni, e il massacro di Batak fu una delle cause scatenanti che indusse gli
Ottomani a concedere l'indipendenza a quei Paesi.
Oggi leggo del massacro di donne e bambini in Siria per mano dell'esercito siriano che ha usato
ordigni chimici letali.
Vogliamo ricordare i massacri della seconda guerra mondiale, per non parlare della prima?
E dei Gulag sovietici, delle fosse di katjn, dei Konzentrationlager, della distruzione del Ghetto di
Varsavia, di Dresda e Koventry, delle atrocità italiane in Etiopia e Libia.
E l'eccidio di Mylai e le bombe Napalm lanciate sui villaggi Vietnamiti e dell'eccidio dei profughi palestinesi nei campi di Sabra e Chatila, e quello che accade oggi sotto i nostri occhi: il popolo Rohyngya in Myanmarr che subisce pulizia etnica e massacri, e ciò avviene con la corresponsabilità di Aung San Suu kyi premio Nobel per la Pace?
Tutti questi eventi hanno un denominatore comune: la capacità dell'uomo di produrre odio profondo
e bene totale, ma sempre instabile; è una costante nella storia: che le vittime diventino carnefici e, a loro volta, si trasformino in vittime, come il caso e la necessità possono disporre.
Pertanto nessun moralismo: gli uomini hanno compreso che la vita è regolata dai rapporti di forza,
ovvero dalla lotta per la sopravvivenza, e solo giuste regole di coesistenza possono fare sì che l'uomo e l'umanità possano sopravvivere.
E' impossibile elencare tutti i delitti contro l'umanità commessi da "tutta l'umanità" e non giochiamo
con il rimpallo delle responsabilità, poiché non c'è un popolo che incarni, o abbia incarnato "il male assoluto": la ricerca del capro espiatorio è comodo e funzionale per quelli che sono innocenti per
definizione e, guarda caso, gli innocenti sono sempre i più forti e i vincitori.
A.Ferrin
modena, 12/04/2018
mercoledì 11 aprile 2018
San Barnaba
San Barnaba
Quando vado al Cinema nella Sala Truffaut, percorro via Carteria con i suoi portici secenteschi e, più che altro per curiosità e ingannare l'attesa, entro nella chiesa di San Barnaba, posta all'incrocio con le
vie degli Adelardi e San Giacomo, proprio in prossimità del Circolo Truffaut.
E' una piccola chiesa Barocca del '600, ricca di affreschi e finte prospettive, di stucchi e dipinti d'epoca; quasi sempre deserta, è immersa nel silenzio e isolata dal frastuono del quartiere.
L'insieme è un contenitore prezioso prodotto dagli architetti Fontanesi e Vigarani, i pittori Pier Paolo dell'Abate, Sigismondo Caula, Francesco Vellani, l'organo del Traeri sulla contro facciata, sulla facciata invece le sculture del Cignaroli, e infine un antichissimo fonte battesimale in marmo e
confessionali intarsiati del '700, insomma uno spazio speciale che ristora; io non prego, mi limito
a osservare la bellezza che mi circonda, bellezza che richiede solo contemplazione e, a volte, a facilitare questo stato d'animo sono la musica d'organo e il canto gregoriano diffusi nella chiesa.
Domenica scorsa ho voluto assistere al film "L'ultimo viaggio" e come sempre mi sono trovato all'ingresso di San Barnaba da cui fuoriusciva un canto corale; incuriosito, ho sostato e sbirciato la
navata gremita di fedeli filippini: sono gli immigrati che si ritrovano la domenica.
Hanno i loro preti, la loro liturgia,(una variante della Latina-Romana), la loro lingua. il Tagalog:
infatti lo Spagnolo è ormai nettamente minoritario, e per di più anche l'Inglese è lingua ufficiale.
Inutile precisare che questo Tagalog è frutto di parlate autoctone, e per noi incomprensibile.
Osservo lo sciamare dei fedeli al termine del rito, e subito subentra nella chiesa un piccolo gruppo
di fedeli italiani, io mi siedo a riposare vicino all'ingresso.
Il nuovo gruppo si posiziona nei primi banchi, sembra siano in attesa di non so che, quando un
"grande vecchio"( ha oltre novant'anni), a piccoli passi e con l'aiuto di un bastone, si siede con
fatica di fronte all'uditorio e dando le spalle all'Altare maggiore.
L'uomo è un religioso che una volta al mese viene dalle Marche e tiene un'omelia mariana, è una
figura carismatica e sembra possieda poteri taumaturgici: fa distribuire fogli dattiloscritti, poi tutti
in fila, si avvicinano per salutare e ricevono una bottiglietta di acqua benedetta.
Quindi il religioso parla della Madonna, la individua in ogni angolo della Bibbia, quasi la Deifica e
la pone al vertice della cristianità.
E' imbarazzante ascoltare il religioso che si esprime anche con molta difficoltà, è confuso, ripetitivo
e pieno di affermazioni che vogliono essere apodittiche senza esserlo.
Anche un non cattolico percepisce il pressapochismo di questa omelia, le superstizioni di cui è intrisa
e ricorda quando la chiesa non esitava a mettere al rogo anche i sospetti di eresia, mentre ora è molto
più tollerante, accoglie tutti per "fare numero" in omaggio al "relativismo etico" profetizzato da
Ratzinger, ma non per buonismo: è una scelta politica dettata anche dalla necessità.
A.Ferrin
modena, 11/04/2018
Quando vado al Cinema nella Sala Truffaut, percorro via Carteria con i suoi portici secenteschi e, più che altro per curiosità e ingannare l'attesa, entro nella chiesa di San Barnaba, posta all'incrocio con le
vie degli Adelardi e San Giacomo, proprio in prossimità del Circolo Truffaut.
E' una piccola chiesa Barocca del '600, ricca di affreschi e finte prospettive, di stucchi e dipinti d'epoca; quasi sempre deserta, è immersa nel silenzio e isolata dal frastuono del quartiere.
L'insieme è un contenitore prezioso prodotto dagli architetti Fontanesi e Vigarani, i pittori Pier Paolo dell'Abate, Sigismondo Caula, Francesco Vellani, l'organo del Traeri sulla contro facciata, sulla facciata invece le sculture del Cignaroli, e infine un antichissimo fonte battesimale in marmo e
confessionali intarsiati del '700, insomma uno spazio speciale che ristora; io non prego, mi limito
a osservare la bellezza che mi circonda, bellezza che richiede solo contemplazione e, a volte, a facilitare questo stato d'animo sono la musica d'organo e il canto gregoriano diffusi nella chiesa.
Domenica scorsa ho voluto assistere al film "L'ultimo viaggio" e come sempre mi sono trovato all'ingresso di San Barnaba da cui fuoriusciva un canto corale; incuriosito, ho sostato e sbirciato la
navata gremita di fedeli filippini: sono gli immigrati che si ritrovano la domenica.
Hanno i loro preti, la loro liturgia,(una variante della Latina-Romana), la loro lingua. il Tagalog:
infatti lo Spagnolo è ormai nettamente minoritario, e per di più anche l'Inglese è lingua ufficiale.
Inutile precisare che questo Tagalog è frutto di parlate autoctone, e per noi incomprensibile.
Osservo lo sciamare dei fedeli al termine del rito, e subito subentra nella chiesa un piccolo gruppo
di fedeli italiani, io mi siedo a riposare vicino all'ingresso.
Il nuovo gruppo si posiziona nei primi banchi, sembra siano in attesa di non so che, quando un
"grande vecchio"( ha oltre novant'anni), a piccoli passi e con l'aiuto di un bastone, si siede con
fatica di fronte all'uditorio e dando le spalle all'Altare maggiore.
L'uomo è un religioso che una volta al mese viene dalle Marche e tiene un'omelia mariana, è una
figura carismatica e sembra possieda poteri taumaturgici: fa distribuire fogli dattiloscritti, poi tutti
in fila, si avvicinano per salutare e ricevono una bottiglietta di acqua benedetta.
Quindi il religioso parla della Madonna, la individua in ogni angolo della Bibbia, quasi la Deifica e
la pone al vertice della cristianità.
E' imbarazzante ascoltare il religioso che si esprime anche con molta difficoltà, è confuso, ripetitivo
e pieno di affermazioni che vogliono essere apodittiche senza esserlo.
Anche un non cattolico percepisce il pressapochismo di questa omelia, le superstizioni di cui è intrisa
e ricorda quando la chiesa non esitava a mettere al rogo anche i sospetti di eresia, mentre ora è molto
più tollerante, accoglie tutti per "fare numero" in omaggio al "relativismo etico" profetizzato da
Ratzinger, ma non per buonismo: è una scelta politica dettata anche dalla necessità.
A.Ferrin
modena, 11/04/2018
giovedì 5 aprile 2018
IL FIUME
IL FIUME
Era sul sentiero bianco e polveroso tracciato sull'argine, e con lo sguardo seguiva la corrente fluire alla foce recando rami e cespugli che ne increspavano la quiete.
Pescatori solitari e pazienti erano seduti sulla sponda che lambiva la superficie dell'acqua: uno armeggiava con la lenza, l'altro con il retino, e lui, senza arnesi da pesca, si distese sul pendio, in uno spiazzo in terra battuta, protetto da erbe incolte e mostrava il viso al sole che rifletteva nell'acqua verdolina fiochi baluginii di smeraldi e zaffiri, allora coprì il viso con un vecchio panama, sembrò volersi assopire, e infatti unico suo segno di vita era il gesto della mano con cui allontanava insetti molesti.
Un refolo di vento giunse con fruscìo di fronde dal saliceto della marcita a raffrescare l'aria già opprimente, e il sibilo d'aria recava anche la voce di una giovane donna chiamare, Brando, Brando.
Brando riconobbe la voce di Amira: dalla cascina, in bicicletta, si era diretta all'argine dove il sentiero era piuttosto un tratturo, raggiunse Brando che era già in piedi e l'aspettava, le diede un bacio
sulla guancia e la strinse forte a se, e lei: fai piano, non siamo soli, ma egli, complice la primavera,
trovava lei irresistibile quando indossava quegli abitini leggeri che ne esaltavano le linee morbide del corpo, ed era chiaro che l'apparente ritrosia di lei era invece carica di promesse e richiami.
Come mai, le chiese, stavo riposando, e lei, lo so, mi dispiace ma ha telefonato il Professore per dire
che l'appuntamento è anticipato a domani mattina: ci sono novità importanti e urgenti, e vuole
comunicarcele personalmente.
E non ti ha anticipato niente? No, vuole che siamo insieme noi due nel suo Studio, e così non ho insistito, mah, concluse Brando, sempre per complicare...poi, mano nella mano, si diressero verso casa.
Durante il tragitto Amira e Brando si tennero per mano, lo sguardo rivolto al fiume: una nutria si tuffò nell'acqua e si nascose tra la cannella palustre; discesero dall'argine al piano, attraversarono
la marcita dei salici e il bosco ceduo di pioppi bianchi da cui già si udiva guaire Dora, la loro cagna.
Era l'ora del sole che declinava, con i raggi più clementi, e gli uomini come gli animali si scuotevano dal torpore mentre stormi di rondini volteggiavano sull'acqua prima di fare ritorno ai nidi.
L'uomo e la donna, sereni, pieni di aspettative, non parlavano, la loro intesa era profonda, il muto dialogo alimentava la loro pienezza, le parole non erano necessarie, e tuttavia Amira scrutava il viso
di Brando e notò che era assorto, forse pensieroso: cosa c'è? Gli chiese, niente di importante, rispose
l'uomo, ma subito decise di raccontare il sogno improvviso e inquietante che aveva occupato la sua mente nel breve sonno che lo aveva ghermito sull'argine del fiume.
Amira lo prese per il braccio, si fermarono e lei lo fissò negli occhi con un'espressione che mostrava apprensione e forza nello stesso tempo, quasi volesse dire: io sono qui, con te.
E Brando, volendo sdrammatizzare sorrise: ma no ti ripeto, niente di importante, ecco ascolta: mi sono appisolato per pochi minuti, e subito ho percepito che il mio corpo, per la forza di gravità
scivolava dal pendio dell'argine nel fiume, e in quel momento ho notato che l'acqua, diventata impetuosa e limacciosa, trasportava un groviglio di ramaglia che ricopriva in parte un grosso tronco sfrondato e nodoso, e in quel groviglio giocavano branchi di nutrie e, forse, castori: un corteo diretto al mare, un corteo scortato da stormi di folaghe chiassose.
Guardavo il "corteo", proseguì, che procedeva sempre più ingigantito da nuovi relitti catturati dall'ammasso che rischiava di arenarsi in una lanca o in una secca, e invece il corteo era sempre più veloce, mentre la torma di nutrie, terrorizzate e inferocite, fuggivano dal corteo rifugiandosi sugli argini e in me erano sempre il dubbio e il timore che quel tronco fosse il mio corpo in balia dei flutti, e vedevo in quella scena una metafora della vita, della nostra vita, della sua parabola fatale.
Poi la tua voce, la voce mi ha tratto dall'incubo, ho mostrato il viso al sole e ti ho vista avanzare verso di me, e qui Brando abbracciò ancora Amira e le impresse un bacio sulla fronte.
Infine, rientrati in casa, si ristorarono sotto la doccia, si ritrovarono tra le lenzuola dove desiderio e passione non li distolsero del tutto dal pensiero dell'indomani: fecero molte ipotesi e congetture, e così si diedero la buona notte.
Si risvegliarono che il sole già inondava la camera: indugiarono ancora un poco al tepore dei corpi,
ma poi si affrettarono per essere puntuali all'appuntamento.
Furono introdotti nello studio del Professore, esperto genetista e ricercatore, che li invitò a sedere con
modi rassicuranti, e cominciò a parlare.
Ai due parve che partisse da lontano, troppo lontano, con preamboli e precisazioni per loro superflui, per cui mostrarono una certa irrequietezza che non sfuggì al professionista che allora sciorinò
davanti a Brando e Amira i documenti sanitari che li riguardavano.
Marito e moglie erano sereni e preparati ma quando il dottore sentenziò per Brando una sterilità
irreversibile, per la moglie invece la piena capacità alla maternità, erano emozionati e impietriti, ma si imposero un contegno dignitoso, pur non riuscendo a guardarsi negli occhi, né dove mettere le mani, mentre il dottore consultava, o fingeva di consultare, la sua Agenda.
Il professionista fece la sua esposizione con la sensibilità e il tatto richiesti nella circostanza, ma fu questione di attimi: marito e moglie si congedarono assicurando che avrebbero riflettuto e deciso il da farsi, e lasciarono lo studio non prima di staccare un assegno di 500 Euro.
Risaliti in macchina, l'uomo si abbandonò sullo schienale e chiuse gli occhi, Amira si accoccolò
al suo fianco e non parlò: sperava in cuor suo che il silenzio, la tenerezza e il respiro lieve con cui comunicavano facesse decantare i sentimenti confusi dei quali erano in balìa.
Passarono alcuni giorni in cui marito e moglie dialogavano cercando di elaborare e dipanare il grumo
di sentimenti e frustrazioni che li accomunavano: Brando faceva i conti con la sua infertilità e con le
relative implicazioni culturali e sociali, Amira doveva accettare il fatto di non potere coltivare in se un figlio concepito con il marito.
Infine fu Amira ad affrontare il marito.
Prima lo baciò, subito ricambiata con uguale trasporto, e gli si rivolse con affetto: ascolta Brando, dimmi se interpreto bene i tuoi sentimenti e desideri, noi vogliamo un figlio, essere genitori; cosa ci
importa di infertilità, di maternità biologica o eterologa, e men che meno di maternità surrogata, di due padri o due madri, e di tutte le manipolazioni biogenetiche escogitate dalla scienza?
Chiediamo di adottare un bimbo o una bimba adottabili, e amarli per la loro e nostra felicità.
A.Ferrin
modena, 05/04/2018
Era sul sentiero bianco e polveroso tracciato sull'argine, e con lo sguardo seguiva la corrente fluire alla foce recando rami e cespugli che ne increspavano la quiete.
Pescatori solitari e pazienti erano seduti sulla sponda che lambiva la superficie dell'acqua: uno armeggiava con la lenza, l'altro con il retino, e lui, senza arnesi da pesca, si distese sul pendio, in uno spiazzo in terra battuta, protetto da erbe incolte e mostrava il viso al sole che rifletteva nell'acqua verdolina fiochi baluginii di smeraldi e zaffiri, allora coprì il viso con un vecchio panama, sembrò volersi assopire, e infatti unico suo segno di vita era il gesto della mano con cui allontanava insetti molesti.
Un refolo di vento giunse con fruscìo di fronde dal saliceto della marcita a raffrescare l'aria già opprimente, e il sibilo d'aria recava anche la voce di una giovane donna chiamare, Brando, Brando.
Brando riconobbe la voce di Amira: dalla cascina, in bicicletta, si era diretta all'argine dove il sentiero era piuttosto un tratturo, raggiunse Brando che era già in piedi e l'aspettava, le diede un bacio
sulla guancia e la strinse forte a se, e lei: fai piano, non siamo soli, ma egli, complice la primavera,
trovava lei irresistibile quando indossava quegli abitini leggeri che ne esaltavano le linee morbide del corpo, ed era chiaro che l'apparente ritrosia di lei era invece carica di promesse e richiami.
Come mai, le chiese, stavo riposando, e lei, lo so, mi dispiace ma ha telefonato il Professore per dire
che l'appuntamento è anticipato a domani mattina: ci sono novità importanti e urgenti, e vuole
comunicarcele personalmente.
E non ti ha anticipato niente? No, vuole che siamo insieme noi due nel suo Studio, e così non ho insistito, mah, concluse Brando, sempre per complicare...poi, mano nella mano, si diressero verso casa.
Durante il tragitto Amira e Brando si tennero per mano, lo sguardo rivolto al fiume: una nutria si tuffò nell'acqua e si nascose tra la cannella palustre; discesero dall'argine al piano, attraversarono
la marcita dei salici e il bosco ceduo di pioppi bianchi da cui già si udiva guaire Dora, la loro cagna.
Era l'ora del sole che declinava, con i raggi più clementi, e gli uomini come gli animali si scuotevano dal torpore mentre stormi di rondini volteggiavano sull'acqua prima di fare ritorno ai nidi.
L'uomo e la donna, sereni, pieni di aspettative, non parlavano, la loro intesa era profonda, il muto dialogo alimentava la loro pienezza, le parole non erano necessarie, e tuttavia Amira scrutava il viso
di Brando e notò che era assorto, forse pensieroso: cosa c'è? Gli chiese, niente di importante, rispose
l'uomo, ma subito decise di raccontare il sogno improvviso e inquietante che aveva occupato la sua mente nel breve sonno che lo aveva ghermito sull'argine del fiume.
Amira lo prese per il braccio, si fermarono e lei lo fissò negli occhi con un'espressione che mostrava apprensione e forza nello stesso tempo, quasi volesse dire: io sono qui, con te.
E Brando, volendo sdrammatizzare sorrise: ma no ti ripeto, niente di importante, ecco ascolta: mi sono appisolato per pochi minuti, e subito ho percepito che il mio corpo, per la forza di gravità
scivolava dal pendio dell'argine nel fiume, e in quel momento ho notato che l'acqua, diventata impetuosa e limacciosa, trasportava un groviglio di ramaglia che ricopriva in parte un grosso tronco sfrondato e nodoso, e in quel groviglio giocavano branchi di nutrie e, forse, castori: un corteo diretto al mare, un corteo scortato da stormi di folaghe chiassose.
Guardavo il "corteo", proseguì, che procedeva sempre più ingigantito da nuovi relitti catturati dall'ammasso che rischiava di arenarsi in una lanca o in una secca, e invece il corteo era sempre più veloce, mentre la torma di nutrie, terrorizzate e inferocite, fuggivano dal corteo rifugiandosi sugli argini e in me erano sempre il dubbio e il timore che quel tronco fosse il mio corpo in balia dei flutti, e vedevo in quella scena una metafora della vita, della nostra vita, della sua parabola fatale.
Poi la tua voce, la voce mi ha tratto dall'incubo, ho mostrato il viso al sole e ti ho vista avanzare verso di me, e qui Brando abbracciò ancora Amira e le impresse un bacio sulla fronte.
Infine, rientrati in casa, si ristorarono sotto la doccia, si ritrovarono tra le lenzuola dove desiderio e passione non li distolsero del tutto dal pensiero dell'indomani: fecero molte ipotesi e congetture, e così si diedero la buona notte.
Si risvegliarono che il sole già inondava la camera: indugiarono ancora un poco al tepore dei corpi,
ma poi si affrettarono per essere puntuali all'appuntamento.
Furono introdotti nello studio del Professore, esperto genetista e ricercatore, che li invitò a sedere con
modi rassicuranti, e cominciò a parlare.
Ai due parve che partisse da lontano, troppo lontano, con preamboli e precisazioni per loro superflui, per cui mostrarono una certa irrequietezza che non sfuggì al professionista che allora sciorinò
davanti a Brando e Amira i documenti sanitari che li riguardavano.
Marito e moglie erano sereni e preparati ma quando il dottore sentenziò per Brando una sterilità
irreversibile, per la moglie invece la piena capacità alla maternità, erano emozionati e impietriti, ma si imposero un contegno dignitoso, pur non riuscendo a guardarsi negli occhi, né dove mettere le mani, mentre il dottore consultava, o fingeva di consultare, la sua Agenda.
Il professionista fece la sua esposizione con la sensibilità e il tatto richiesti nella circostanza, ma fu questione di attimi: marito e moglie si congedarono assicurando che avrebbero riflettuto e deciso il da farsi, e lasciarono lo studio non prima di staccare un assegno di 500 Euro.
Risaliti in macchina, l'uomo si abbandonò sullo schienale e chiuse gli occhi, Amira si accoccolò
al suo fianco e non parlò: sperava in cuor suo che il silenzio, la tenerezza e il respiro lieve con cui comunicavano facesse decantare i sentimenti confusi dei quali erano in balìa.
Passarono alcuni giorni in cui marito e moglie dialogavano cercando di elaborare e dipanare il grumo
di sentimenti e frustrazioni che li accomunavano: Brando faceva i conti con la sua infertilità e con le
relative implicazioni culturali e sociali, Amira doveva accettare il fatto di non potere coltivare in se un figlio concepito con il marito.
Infine fu Amira ad affrontare il marito.
Prima lo baciò, subito ricambiata con uguale trasporto, e gli si rivolse con affetto: ascolta Brando, dimmi se interpreto bene i tuoi sentimenti e desideri, noi vogliamo un figlio, essere genitori; cosa ci
importa di infertilità, di maternità biologica o eterologa, e men che meno di maternità surrogata, di due padri o due madri, e di tutte le manipolazioni biogenetiche escogitate dalla scienza?
Chiediamo di adottare un bimbo o una bimba adottabili, e amarli per la loro e nostra felicità.
A.Ferrin
modena, 05/04/2018
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