Era sul sentiero bianco e polveroso tracciato sull'argine, e con lo sguardo seguiva la corrente fluire alla foce recando rami e cespugli che ne increspavano la quiete.
Pescatori solitari e pazienti erano seduti sulla sponda che lambiva la superficie dell'acqua: uno armeggiava con la lenza, l'altro con il retino, e lui, senza arnesi da pesca, si distese sul pendio, in uno spiazzo in terra battuta, protetto da erbe incolte e mostrava il viso al sole che rifletteva nell'acqua verdolina fiochi baluginii di smeraldi e zaffiri, allora coprì il viso con un vecchio panama, sembrò volersi assopire, e infatti unico suo segno di vita era il gesto della mano con cui allontanava insetti molesti.
Un refolo di vento giunse con fruscìo di fronde dal saliceto della marcita a raffrescare l'aria già opprimente, e il sibilo d'aria recava anche la voce di una giovane donna chiamare, Brando, Brando.
Brando riconobbe la voce di Amira: dalla cascina, in bicicletta, si era diretta all'argine dove il sentiero era piuttosto un tratturo, raggiunse Brando che era già in piedi e l'aspettava, le diede un bacio
sulla guancia e la strinse forte a se, e lei: fai piano, non siamo soli, ma egli, complice la primavera,
trovava lei irresistibile quando indossava quegli abitini leggeri che ne esaltavano le linee morbide del corpo, ed era chiaro che l'apparente ritrosia di lei era invece carica di promesse e richiami.
Come mai, le chiese, stavo riposando, e lei, lo so, mi dispiace ma ha telefonato il Professore per dire
che l'appuntamento è anticipato a domani mattina: ci sono novità importanti e urgenti, e vuole
comunicarcele personalmente.
E non ti ha anticipato niente? No, vuole che siamo insieme noi due nel suo Studio, e così non ho insistito, mah, concluse Brando, sempre per complicare...poi, mano nella mano, si diressero verso casa.
Durante il tragitto Amira e Brando si tennero per mano, lo sguardo rivolto al fiume: una nutria si tuffò nell'acqua e si nascose tra la cannella palustre; discesero dall'argine al piano, attraversarono
la marcita dei salici e il bosco ceduo di pioppi bianchi da cui già si udiva guaire Dora, la loro cagna.
Era l'ora del sole che declinava, con i raggi più clementi, e gli uomini come gli animali si scuotevano dal torpore mentre stormi di rondini volteggiavano sull'acqua prima di fare ritorno ai nidi.
L'uomo e la donna, sereni, pieni di aspettative, non parlavano, la loro intesa era profonda, il muto dialogo alimentava la loro pienezza, le parole non erano necessarie, e tuttavia Amira scrutava il viso
di Brando e notò che era assorto, forse pensieroso: cosa c'è? Gli chiese, niente di importante, rispose
l'uomo, ma subito decise di raccontare il sogno improvviso e inquietante che aveva occupato la sua mente nel breve sonno che lo aveva ghermito sull'argine del fiume.
Amira lo prese per il braccio, si fermarono e lei lo fissò negli occhi con un'espressione che mostrava apprensione e forza nello stesso tempo, quasi volesse dire: io sono qui, con te.
E Brando, volendo sdrammatizzare sorrise: ma no ti ripeto, niente di importante, ecco ascolta: mi sono appisolato per pochi minuti, e subito ho percepito che il mio corpo, per la forza di gravità
scivolava dal pendio dell'argine nel fiume, e in quel momento ho notato che l'acqua, diventata impetuosa e limacciosa, trasportava un groviglio di ramaglia che ricopriva in parte un grosso tronco sfrondato e nodoso, e in quel groviglio giocavano branchi di nutrie e, forse, castori: un corteo diretto al mare, un corteo scortato da stormi di folaghe chiassose.
Guardavo il "corteo", proseguì, che procedeva sempre più ingigantito da nuovi relitti catturati dall'ammasso che rischiava di arenarsi in una lanca o in una secca, e invece il corteo era sempre più veloce, mentre la torma di nutrie, terrorizzate e inferocite, fuggivano dal corteo rifugiandosi sugli argini e in me erano sempre il dubbio e il timore che quel tronco fosse il mio corpo in balia dei flutti, e vedevo in quella scena una metafora della vita, della nostra vita, della sua parabola fatale.
Poi la tua voce, la voce mi ha tratto dall'incubo, ho mostrato il viso al sole e ti ho vista avanzare verso di me, e qui Brando abbracciò ancora Amira e le impresse un bacio sulla fronte.
Infine, rientrati in casa, si ristorarono sotto la doccia, si ritrovarono tra le lenzuola dove desiderio e passione non li distolsero del tutto dal pensiero dell'indomani: fecero molte ipotesi e congetture, e così si diedero la buona notte.
Si risvegliarono che il sole già inondava la camera: indugiarono ancora un poco al tepore dei corpi,
ma poi si affrettarono per essere puntuali all'appuntamento.
Furono introdotti nello studio del Professore, esperto genetista e ricercatore, che li invitò a sedere con
modi rassicuranti, e cominciò a parlare.
Ai due parve che partisse da lontano, troppo lontano, con preamboli e precisazioni per loro superflui, per cui mostrarono una certa irrequietezza che non sfuggì al professionista che allora sciorinò
davanti a Brando e Amira i documenti sanitari che li riguardavano.
Marito e moglie erano sereni e preparati ma quando il dottore sentenziò per Brando una sterilità
irreversibile, per la moglie invece la piena capacità alla maternità, erano emozionati e impietriti, ma si imposero un contegno dignitoso, pur non riuscendo a guardarsi negli occhi, né dove mettere le mani, mentre il dottore consultava, o fingeva di consultare, la sua Agenda.
Il professionista fece la sua esposizione con la sensibilità e il tatto richiesti nella circostanza, ma fu questione di attimi: marito e moglie si congedarono assicurando che avrebbero riflettuto e deciso il da farsi, e lasciarono lo studio non prima di staccare un assegno di 500 Euro.
Risaliti in macchina, l'uomo si abbandonò sullo schienale e chiuse gli occhi, Amira si accoccolò
al suo fianco e non parlò: sperava in cuor suo che il silenzio, la tenerezza e il respiro lieve con cui comunicavano facesse decantare i sentimenti confusi dei quali erano in balìa.
Passarono alcuni giorni in cui marito e moglie dialogavano cercando di elaborare e dipanare il grumo
di sentimenti e frustrazioni che li accomunavano: Brando faceva i conti con la sua infertilità e con le
relative implicazioni culturali e sociali, Amira doveva accettare il fatto di non potere coltivare in se un figlio concepito con il marito.
Infine fu Amira ad affrontare il marito.
Prima lo baciò, subito ricambiata con uguale trasporto, e gli si rivolse con affetto: ascolta Brando, dimmi se interpreto bene i tuoi sentimenti e desideri, noi vogliamo un figlio, essere genitori; cosa ci
importa di infertilità, di maternità biologica o eterologa, e men che meno di maternità surrogata, di due padri o due madri, e di tutte le manipolazioni biogenetiche escogitate dalla scienza?
Chiediamo di adottare un bimbo o una bimba adottabili, e amarli per la loro e nostra felicità.
A.Ferrin
modena, 05/04/2018
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