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libreria di zurau
martedì 5 giugno 2018
LA GARDENIA CHE CREDEVO FOSSE UN'AZALEA
E' sofferente, visibilmente sofferente: è il terzo giorno che non la disseto, e il caldo di questi ultimi
giorni è deleterio anche per noi umani.
Oltretutto sono stato distratto dal dovere di curare la pianta da episodi che spiegano, almeno in
parte, la mia dimenticanza: domenica l'incontro fortuito(almeno per me) con Bongo, l'africano che
ha confezionato, sorridendo e con destrezza, un piccolo "pacco" ai miei danni; ho rimuginato a lungo sull'accaduto, diviso fra la naturale, istintiva indignazione e l'ammirazione per le sue doti di istrione
e fantasista.
E ieri, lunedì, ero impegnato nell'ormai ricorrente Day Hospital per la cura dei problemi della pelle ma, in questo caso, tra anestesie locali, punture, tagliuzzamenti vari, ricuciture e rammendi, ero accudito dal personale fatto di donne che, come sempre bravissime e sorridenti, attenuavano il dolore: bellissima l'immagine della giovane chirurga protesa sul mio viso che mi sorride con labbra di rosso ciliegia.
Ma ora sono qui a vegliare "l'azalea che credevo fosse una gardenia": è abbattuta e triste, sembra priva di linfa, e provo già nostalgia, come la nostalgia di Tommy, che morì cadendo dal nono piano, forse per desiderio di libertà, o per afferrare un passerotto, e per Nero, il bastardino minato dal male,
ma giocoso fino alla fine.
A.Ferrin
modena, 05/06/2018
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