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libreria di zurau

venerdì 31 dicembre 2021

31 DICEMBRE

Ultimo giorno del 2021: la giornata è luminosa, il cielo terso e un'aria gelida che sferza il viso e così mi affretto a rientrare nel mio bilocale. Non avverto differenze significative rispetto alla fine 2020, come allora sono solo e mi appresto a viverla in tono dimesso, e d'altra parte siamo tutti condizionati dalla pandemia da Coronavirus che ci farà compagnia non si sa per quanto tempo ancora.                            Cerco di applicarmi nella lettura e in qualche spettacolo televisivo; è una singolare circostanza che questa mattina abbia visto la storia di Madre Teresa di Calcutta, dopo avere visto ieri il Gesù di Nazareth di Zeffirelli, e la Messa natalizia celebrata dal Pontefice.                                                              Non nascondo la delusione e la mia indifferenza per la cerimonia religiosa, mentre invece apprezzo la storia di Madre Teresa, e non c'é contraddizione: infatti queste proposte spettacolari dimostrano che la fede produttrice di fatti concreti è più credibile rispetto a quella "predicata" e non praticata.                      Le immagini di Madre Teresa fra i più poveri, i malati e i lebbrosi sono più che eloquenti : nella sua opera ha dimostrato di praticare la sua fede in grado eroico, e a tal punto da emozionare scettici e agnostici. Penso che il suo operato sia la riprova che l'azione più meritoria che noi uomini possiamo compiere sia l'aiuto al nostro prossimo, in altre parole di mostrare e praticare pietas e solidarietà.            In realtà non è questione di fede, ma piuttosto di un principio che riguarda ogni religione, filosofia e ideologia in modo trasversale, insomma l'umanità e il suo destino.                                                        Non siamo onnipotenti anche se  spesso lo crediamo e siamo perciò preda del delirio di onnipotenza che ci induce all'arbitrio e alla violenza verso il prossimo : tutto ciò perché dimentichiamo da dove veniamo (la foresta) e che il grumo di istinti primitivi ribolle ancora dentro di noi come magma nelle viscere del vulcano. 

A.Ferrin                                                                                                                                                          modena, 31/12/2021                  

domenica 26 dicembre 2021

25 DICEMBRE 2021

Anche quest'anno, con grande mia sorpresa, è arrivato Natale: a Febbraio scorso non pensavo che "avrei mangiato il panettone a Natale". Invece sono ancora qui, ho ricuperato dal ripostiglio la mangiatoia con il bambino paffutello, il bue e l'asino, i genitori del neonato, e infine l'unica pecorella sopravvissuta alla decimazione provocata da traslochi e rotture varie.                                                                                Ora mi sorprendo davanti alla mangiatoia per accendere un lumino, cosa mai fatta prima, se non in anni lontani quando questa festività aveva più solennità e trasmetteva emozione, ma troppa acqua è passata  sotto i ponti: siamo assuefatti alla perdita di atmosfere che la vita moderna ha diradate o inaridite.      Ieri sera ne ho avuto riprova: mi sono imbattuto nella Messa di Natale celebrata dal Pontefice in S.Pietro e ho rivisto la mia vita di ragazzo entusiasta e fiducioso proiettato in una realtà ideale, troppo ideale per essere verosimile e raggiungibile.                                                                                                La religiosità di queste feste è ormai superata dalla laicità sempre più diffusa, e la stessa cerimonia ora trasmessa è una recita stanca, le parole inadeguate e ripetitive: il tutto mostra l'istituzione della Chiesa sulla difensiva, impegnata in una lotta di retroguardia.                                                                    Capisco peraltro come il messaggio cristiano di oltre 2000 anni orsono potesse allora apparire nuovo e rivoluzionario; ora invece restano gli aspetti più esteriori, gli orpelli della tradizione, del costume e della cultura, tuttavia non nego che ancora oggi la narrazione del bimbo ignudo nella stalla tra il bue e l'asinello, creatura fragile accudita da genitori ansiosi, possa colpire l'immaginario collettivo che ben conosce la povertà e la lotta per la sopravvivenza, esperienza che da sempre accomuna donne e uomini. 

A.Ferrin                                                                                                                                                          modena, 25/12/2021

venerdì 24 dicembre 2021

UNA VITA NORMALE


Enea Spada fermò la vettura in via delle Ginestre, proprio davanti al portone, uno dei rari casi in cui trovò lo spazio per parcheggiare agevolmente.
Era stanco, quasi distrutto dal lungo viaggio: terse il sudore che imperlava la fronte e si apprestò a
scendere dalla macchina, pregustando una lunga doccia e l'accoglienza gioiosa di Flora, sua moglie.
Raccolse gli effetti personali sparsi sui sedili, li stipò nella borsa e dal baule posteriore prese la piccola confezione di carta dorata che aveva acquistato a Lugano.
Finalmente si staccò dalla macchina, si diresse al portone di ingresso e allora gli parve che la fatica scemasse, che il peso che gravava sulle spalle fosse quasi impercettibile grazie all'euforia che lo dominava, così come non pensava ormai alle estenuanti trattative che aveva condotto a Zurigo e Lugano e alla tensione accumulata nell'interminabile viaggio in autostrada fino a Firenze.
Cercò di liberare la mente dalle scorie del lavoro e aprì il massiccio portone di ingresso nel palazzotto anni 30 di Oltrarno, il portone era sormontato da un tabernacolo votivo con una Madonnina policroma, imitazione delle maioliche Della Robbia.
La costruzione, solida e dalle linee semplici, aveva una base di leggero bugnato e si elevava di 4 piani fuori terra, limitati alla sommità da un'elegante loggia; in origine sprovvisto di ascensore, questo era stato aggiunto da pochi anni dopo liti e scontri fra i condomini.
Entrò nell'androne, si avviò alla porta dell'ascensore che le luci indicavano al piano, e la porta automatica si aprì.
Enea Spada si fermò e non si mosse, quasi statua di marmo, come di alabastro traslucido era la pelle
del viso per il suo pallore, e tale era la sua fissità che non una vibrazione, né un tremito della pelle segnalava che sangue fluisse nel suo corpo.
In seguito non seppe precisare il tempo che restò immobile e terrorizzato alla visione che gli era
apparsa allo schiudersi della porta dell'ascensore: le due ante si erano aperte lentamente come
due lembi di un sipario sontuoso sulla scena pronta per animarsi.
Ma la scena rappresentava solamente morte e sangue: la donna, bella e bionda, lorda  del sangue schizzato sulle pareti a specchio dell'ascensore, era distesa sul fondo in una posa scomposta e grottesca, adagiata sulla schiena e le gambe divaricate poggiate sulla parete opposta a quella d'ingresso, la gonna leggera era scesa per gravità fino all'inguine, e il tutto era una macchia di sangue,
non resse quella visione e distolse lo sguardo.
Enea, professionista di successo della Brandimarte , sicuro di sé e dotato di grande capacità lavorativa nel lavoro e nella vita privata, avvertì la fragilità del suo essere e precipitò in uno stato di totale estraneità e alienazione.
Ma subito si riebbe dallo stordimento e cercò di riordinare le idee: avrebbe voluto fare una bella doccia e abbracciare Flora, e invece era alle prese con un cadavere di donna, e che donna, offesa e sfregiata; barcollando si diresse alle scale per raggiungere l'appartamento al terzo piano: l'ascesa fu faticosa, era svuotato di energie e a ogni passo pensava, ma è tutto vero? Accade qui, in via delle Ginestre? L'ultima cosa cui pensò, fu di precipitarsi al telefono e chiamare tutte le polizie disponibili.
Giunse infine alla porta blindata, suonò ripetutamente, ma Flora non si mosse, e si decise a usare la propria chiave.
Entrando riconobbe subito l'atmosfera familiare, il profumo inconfondibile di Flora e gli aromi delle
essenze da lei diffuse negli ambienti.
Ma Flora non c'era. sulla lavagnetta in cucina aveva vergato un messaggio con il gesso: ciao amore,
torno presto.


Era disorientato, l'appartamento deserto, Flora assente, e lo spettacolo nell'ascensore che scorreva ancora davanti agli occhi; sperò di avere sognato, di aver vissuto un incubo, che fosse impazzito, si
toccò per accertarsi di essere presente a se stesso, tentoni frugò le varie stanze e, quasi non sapesse orientarsi nel suo spazio, ne sfiorava anche gli arredi.
Si abbandonò nella sua poltrona e sperò che un sonno provvidenziale lo allontanasse dalla realtà, ma Morfeo non lo aiutò, e invece dai piani della casa giunse il suono ripetuto e molesto di un allarme, quello dell'ascensore, nonché il trillare dei campanelli delle abitazioni.
Dalle scale proveniva il concitato tramestio di passi e voci confuse, eccitate, anzi allarmate, e così
Enea decise di partecipare alla rappresentazione: ficcò la testa sotto un getto di acqua fredda, si asciugò sommariamente, uscì nel vano scale e ne discese alcune rampe, dirigendo al punto da cui
veniva il clamore.
L'ampio ingresso del palazzo era affollato di condomini curiosi, la Scientifica era già al lavoro, ma niente si riusciva a vedere della scena in prossimità dell'ascensore, peraltro isolato da una transenna:
si notava solo l'andirivieni di carabinieri in tuta e guanti bianchi, con valigette metalliche, che procedevano a misurazioni e fotografavano, quindi disponevano cartelli segnaletici numerati, il tutto alla presenza del Procuratore e di alcuni ufficiali dell'Arma, tutti assediati da alcuni cronisti di giornali locali.              
Ora i condomini presenti erano in spasmodica attesa e, spinti dalla morbosa curiosità di "guardare", indagare i dettagli più truculenti della scena del delitto, volevano vedere, essere testimoni di un fatto di cronaca nera di quella gravità: non capita tutti i giorni di essere così vicini, quasi precipitati in una realtà criminosa e perciò provare la tensione e l'emozione di sentirsi anche protagonisti.
Così parlottavano a bassa voce, forse nessuno aveva visto, ma tutti sussurravano una loro versione:
chi aveva visto un cadavere, chi un uomo, chi una donna, chi due cadaveri, uomo o donna non sapeva. E in ogni caso, il cadavere o i cadaveri erano per tutti degli sconosciuti.
Enea Spada, tra i presenti era stato il solo, primo fra tutti, a scoprire il crimine, ma se ne stava in disparte, molto discretamente annuiva alla verbosità degli altri e intanto pensava a Flora sua moglie:
dove si era cacciata? Gli Ufficiali dell'Arma identificarono i presenti controllandone i documenti e
alcuni di essi, pur non richiesti, pensarono di dovere giustificare la loro presenza, poi gli inquirenti vollero che i condomini osservassero la scena del delitto e chiesero loro se conoscevano la morta, ma tutti negarono, anche sdegnati; in ogni caso furono invitati a tenersi a disposizione.
Spada mostrò i propri documenti, risalì le scale per rientrare nel suo alloggio, ma l'operazione gli
costò molta fatica, si aggrappò al corrimano sul quale faceva leva per ottenere la spinta necessaria.
Enea, assopito sul divano, impiegò alcuni minuti prima di avvertire il suono ripetuto del telefono, infine rispose e la voce di Flora, la sua bella voce, lo investì: ma perché non rispondi? Egli farfugliò poche parole confuse, ma quando realizzò che sua moglie era all'altro capo del filo, si scosse e rispose: Flora, torna subito a casa, non posso spiegarti ora, guarda che l'ascensore è fuori uso e dovrai
usare le scale, ciao ti aspetto.
Nel frattempo il medico legale aveva constatato la morte e proceduto a una prima, sommaria esplorazione del corpo, sostenne che non era completato il processo di "rigor mortis", e si lasciò sfuggire che la donna poteva avere 35/40 anni.
Pertanto la Procura autorizzò la rimozione del cadavere, ne fu disposta l'autopsia per individuare causa e modalità della morte e DNA, e dispose per i presenti e gli assenti del palazzo, la raccolta  dei reperti utili per accertarne il DNA. L'inventario degli oggetti rinvenuti sulla scena del delitto e sul corpo della donna era meticoloso e stilato dai funzionari della Giudiziaria: c'era la borsetta della
donna, non dozzinale né particolarmente elegante ( secondo il tecnico avvezzo a manipolare reperti, era una buona eco-pelle), al suo interno, una busta dello stesso materiale con il solito armamentario
che ogni donna utilizza per ritoccarsi il trucco, "per incipriarsi il naso", infine  un portachiavi in pelle e una boccetta di profumo molto noto.
Nessuna traccia di documenti personali, né di telefoni portatili.


L'uomo si distese ancora sul divano, attese che Flora rientrasse e ripensò alla giornata ormai trascorsa
che gli aveva riservato grandi sorprese e forti emozioni: aveva sempre evitato la frequentazione di
Camere Mortuarie, anche per rivedere parenti o amici deceduti, e questo da quando, durante il servizio di Leva svolto a Vicenza nella Caserma Ederle presso la Base Americana di quella città,
era stato suo malgrado protagonista di un  episodio macabro: nella città vivevano due suoi zii anziani, Amalia e Giuseppe, e quest'ultimo era così malato che la sua dipartita non sorprese più di tanto.
La zia Amalia e i figli gli chiesero di partecipare alla veglia funebre nella camera mortuaria, egli si
prestò a iniziare la veglia, ma riteneva, forse ingenuamente, che il suo turno sarebbe stato breve, e che
presto sarebbero subentrati i figli del morto e invece Enea attese invano per ore.
Si ritrovò solo, in una camera esagonale angusta rivestita di marmi pregiati in cui, dall'alto, finestrelle con vetri istoriati filtravano una luce giallognola e al centro, sulla pesante lastra di porfido, era deposto il corpo dello zio Giuseppe.
Nessuno dei suoi cugini, né le zie lo raggiunsero nella camera della veglia e così un certo turbamento si insinuò nell'animo di Spada; sulle prime non pensò fosse paura, ma la visione continua e obbligata
del morto alimentava timori sempre più incontrollabili.
Il soldato Enea vestiva la divisa invernale, ma l'ambiente, che lo conteneva come un loculo di marmo,
il viso eburneo di Giuseppe, già rigido che pareva scolpito, tutto aumentava il gelo che penetrava nelle ossa.
L'uomo era abbattuto, ma accettò il fatto quasi fosse comandato a una guardia d'onore, e d'altra parte
non volle lasciare lo zio da solo, disteso sul marmo: da quel momento, a lungo gli parve di fiutare l'odore pungente della formalina diffusa nell'ambiente.
Il giorno seguente fu chiarito l'equivoco: nessuno aveva chiesto la veglia notturna al defunto.


Il rumore dello scrocco alla porta lo distolse da pensieri molesti, e vide Flora precipitarsi sul divano
e abbracciarlo.
Ma cosa è successo? l'ascensore è posto sotto sequestro dalla Procura! Era trafelata e affannata per i tre piani fatti a piedi, Enea raccontami tutto; Spada attese che Flora respirasse, e quindi, cercando di controllare le emozioni, le parlò dell'accaduto, e sul viso della moglie notò espressioni di incredulità
mista a terrore, di stupore e quello sguardo tutto particolare di chi non capisce, o non riesce a realizzare che l'orrore sia stato e sia così vicino alla loro vita: pensava, come tutti i comuni mortali, che la cronaca nera toccasse sempre gli altri, gli sconosciuti sempre più lontani, comunque fuori
dal proprio orticello, e ciò, mentre aumentava la percezione di sicurezza personale, nello stesso tempo consentiva di osservare la vita dei propri simili con il distacco necessario per dare sfogo alla
curiosità più morbosa.
Enea Spada disse tutto a Flora: che sarebbero stati convocati in Procura come tutti i condomini per
deporre, e qui la moglie: anche io? Ho detto tutti i condomini, tu non ne sei parte? E Flora di rimando: allora dobbiamo prepararci, rivolgerci a un'avvocato, magari al tuo amico Marco del
Galluzzo, sì, mi riferisco a Innocenti.
Il marito non voleva essere precipitoso, e cercò di placare l'ansia della moglie: ma cosa abbiamo da temere? Questo è il normale iter, e noi saremo ascoltati solo perché abitiamo nel palazzo del misfatto,
e qui Enea non disse, non volle dire alla moglie di essere stato, forse, il primo a vedere la scena del
delitto, cosa che aveva taciuto anche agli inquirenti, e per il buon motivo che spesso i testimoni sono, per deformazione professionale degli stessi Carabinieri e Poliziotti, i primi, o tra i primi, a essere messi sotto torchio, e cronaca e letteratura erano zeppe di casi esemplari: egli voleva solamente non essere invischiato in situazioni kafkiane.


Infine l'uomo propose a Flora di cenare nel loro solito locale, l'osteria il Milione sulla via di Giogoli: pensava così di attenuarne la tensione, di farle vivere una serata come le molte che in passato avevano trascorso sui colli sopra il Galluzzo.
L' Osteria era posta in posizione felice perché dall'alto offriva la visione della Firenze notturna in cui spiccava la Cupola del Brunelleschi e i Lungarni illuminati disegnavano il corso del fiume;
imboccarono dunque dalla Porta Romana la via di Giogoli, e anche quella sera, come di consueto, Flora accennò ai fatti di sangue attribuiti al cosiddetto "mostro di Firenze", una catena di efferati delitti compiuti da una o più persone in luoghi appartati di quelle colline, ma secondo Enea non era il momento opportuno per rievocare quei fatti, anche perché ora, nel loro palazzotto piccolo borghese pulito e ordinato, c'era un ascensore trasformato in mattatoio.
La cena era al lume di candela, sotto il pergolato protetto da un castagno sul pendio della collina incorniciata da un filare di cipressi; Enea aveva chiesto espressamente di potere trascorrere una serata speciale con la moglie, e tutto sembrò rispondere alle aspettative: il menu ricercato, il vino raro, la leggera brezza che da vigneti e uliveti recava aromi di terra e sfalcio d'erbe, fece sì che Enea e Flora si guardarono a lungo, in silenzio negli occhi, poi lui l'accarezzò, lei pose il capo sulla sua mano, si baciarono, e l'uomo riuscì a porgerle il piccolo incarto dorato: lei lo aprì delicatamente e scoprì un
prezioso cammeo blu con le Tre Grazie, sorrise e lo baciò ancora.


Con un cenno di intesa, andarono alla cassa e risalirono in macchina dirigendo verso casa; in via delle
Ginestre parcheggiarono e si diressero all'ingresso. Si era creata fra i due una tensione tangibile, ma positiva, una carica elettrica fatta di emozioni e aspettative alimentate da un desiderio indomabile, e promessa di estasi come di giovani amanti.
Le ripetute assenze dell'uomo, dovute alla professione che lo portava nel Nord Italia , unite all'apatia e nostalgia della donna per i figli non nati, erano causa dei rapporti sessuali sempre più rarefatti, e nella notte si amarono come non accadeva da tempo.
Il mattino seguente i condomini furono convocati alla spicciolata presso la Procura, a disposizione del
Magistrato, furono ascoltati i 16 coniugi abitanti del palazzo con un ordine stabilito: iniziarono coi Pacini, poi i Baldi, i Martelli, Ciampi, Biondi, Fabbri, Barbieri, Baroni, Ferrari, Pratesi, Rossi, Gori,
Mancini, Cappelli e infine Spada con la moglie Cioni.
La procedura fu la medesima per tutti: alcuni si sbrigarono in fretta, altri, che ritenevano si trattasse
di una semplice formalità, furono intrattenuti più a lungo, e coloro che non si erano ancora sottoposti al test DNA, lo fecero, come Flora Cioni, assente nel momento del rinvenimento del cadavere.
A tutti il Magistrato mostrò più istantanee del cadavere, ripulito e composto, riprese nel reparto
refrigerato della camera mortuaria.
Donne e uomini uscirono dall'ufficio: alcuni stralunati e lo sguardo assente, altri erano forzatamente
disinvolti, ma non riuscivano a controllare del tutto l'emozione, e altri ancora erano più capaci di
darsi un contegno; infine Enea e Flora, mano nella mano, lasciarono l'ufficio degli inquirenti: Flora era evidentemente turbata e il marito la teneva stretta a se.
La vicenda della donna sconosciuta assassinata nell'ascensore della città fece scalpore ed ebbe una risonanza clamorosa in tutta Italia, e nel palazzo d'Oltrarno turbò la quiete dei suoi abitanti i quali, avvezzi alla vita di piccoli borghesi, si videro precipitati in una realtà sconosciuta, quasi spinti sul proscenio e, loro malgrado, mettere a nudo le parti più segrete della loro vita.
E tuttavia tutto ciò ebbe l'effetto di accentuare la "socialità fra i condomini" che, vuoi per l'insicurezza dei più e il conseguente bisogno di fare gruppo, si frequentarono e approfondirono la conoscenza reciproca.
Era un continuo invitarsi e ospitarsi tra i vari piani, il palazzo si trasformò in un piccolo alveare.
Nel frattempo le indagini seguirono il loro corso: i Carabinieri fecero ulteriori sopra luoghi negli appartamenti, chiesero delucidazioni e dettagli apparentemente insignificanti, ma era chiaro che lo
facevano in base a precise ipotesi investigative, e con metodo scientifico frutto di una lunga esperienza.
E nel condominio fioccavano le ipotesi e le ricostruzioni più inverosimili ; chi più chi meno, molti si scoprirono, e improvvisarono, novelli Maigret, mostrando un'inventiva e creatività senza fine.
Tutto sembrava rientrato nella normalità, ma le indagini segnavano il passo: non un sospetto fermato,
non un avviso di garanzia, e già serpeggiavano tra la gente, che voleva il mostro in prima pagina, malumore e delusione per l'operato della Magistratura.
Enea Spada, per alcuni giorni volle stare vicino a Flora. La donna era stata a dir poco scossa dal delitto di via Ginestre, ma poiché mostrava di aver superato lo shock, (e infatti se ne parlava molto meno), il Funzionario della Brandimarte ricominciò le sue peregrinazioni nel Nord Italia, la moglie invece riprese la vita di sempre, la cura della casa, gli aperitivi con le amiche e occasionalmente la ricerca di gratificazione in qualche negozio di moda femminile.
Così ogni cosa sembrò ritornare nell'alveo della normalità in via delle Ginestre, dove normalità significava vivere la quotidianità come fatica di vivere, giorno dopo giorno, nell'illusione e desiderio di potere un giorno essere felici, ma alcuni rimpiangevano la bolla fittizia di una realtà virtuale creata dal delitto, realtà grazie alla quale avevano avuto la visione fugace della verità sulla natura umana, la sua ferocia e la morte.


Infine il lavoro oscuro ma tenace degli inquirenti ebbe risultati clamorosi: fu individuata la vittima
dell'ascensore, tale Esmeralda Crucetti; abitava in un vecchio Fondo in Santa Croce, donna bella e di
condizione agiata, ma perché fosse stata  massacrata nell'ascensore di un palazzotto borghese d'Oltrarno, parve subito un garbuglio inestricabile, ma le tracce biologiche raccolte erano numerose,
furono ripetuti controlli e riscontri sui reperti disponibili, riconvocati in Tribunale alcuni inquilini, e di fronte al magistrato si ritrovarono anche i coniugi Spada.
Questa volta però, Enea pensò bene di farsi assistere dall'amico avvocato Marco Innocenti, così
Flora sembrò rasserenata, e insieme si recarono in Tribunale a Novoli, il nuovo tribunale di Firenze,
modernissimo e imponente che incuteva timore, un'immagine della Giustizia come potere granitico e incombente; nel labirintico edificio furono introdotti alla presenza del Sostituto Procuratore incaricato.
Il dott. Cutolo chiarì i termini della procedura quindi, mostrando le fotografie della donna, peraltro
già apparse sui giornali e in televisione, chiese ai coniugi se la conoscessero. 
Enea Spada scrollò il capo per negare, come fece sua moglie Flora, ma subito il Magistrato si rivolse
ancora alla donna: ma signora Cioni, sugli effetti personali e sul corpo della Crucetti sono state
individuate tracce che sono perfettamente compatibili con il suo DNA signora Flora, così come sono
state rinvenute nell'appartamento della Esmeralda...lei conosceva la Cioni Esmeralda?
Flora non disse nulla, guardò il marito e impallidì. Gli occhi si gonfiarono di lacrime e disperazione,
fissò ancora Enea, l'amico Marco e il Procuratore, quindi, quasi sussurrando, con calma glaciale confessò: minacciava di dire tutto a mio marito, di distruggere il mio matrimonio, e io non potevo permetterlo. 

A.Ferrin 

giovedì 23 dicembre 2021

CONSUMISMO

Ho fatto i miei buoni propositi in prossimità delle festività di fine anno, propositi che si riducono all'intenzione di ridurre all'osso gli acquisti di cibarie e regalie varie. E' un proposito lodevole che penso sia di molti consumatori, ma non so quanti di essi riescano a essere coerenti quando sono catturati nel  vortice del consumismo. Questo vortice si alimenta e cresce indipendentemente dalla nostra volontà: è il meccanismo della produzione di beni per il mercato in cui siamo immersi e in cui interagiamo con la  nostra umanità; siamo macchine da alimentare, spesso dobbiamo combattere per avere il necessario e,  una volta raggiunto, scopriamo nuovi bisogni, quelli voluttuari.                                                               E' il ciclo produzione-consumo alimentato dalla necessità e dal profitto, utilizzando gli strumenti che la società moderna, ovvero il Sistema, richiede.                                                                                          Ma sorge il problema della sostenibilità del Sistema: la nostra Specie (quella che noi riteniamo la più progredita) è insaziabile, drena risorse immense sottraendole ai meno fortunati, o alle altre Specie, e così modifica l'ecosistema con il  rischio di pregiudicarne la vivibilità.                                                  Ma tornando al Consumismo, ho negli occhi le immagini delle mie ultime visite in un Supermercato; nonostante la pandemia di Coronavirus e sue varianti, le folle assediano i mercati che nulla hanno a spartire con le antiche Provvide Alimentari, dove il popolo si recava per pane, pasta e farina, alimenti base di sussistenza in ogni stagione e ora quasi dimenticati.                                                                        Torme di cittadini, obbedendo all'istinto ancestrale insopprimibile della ricerca di cibo, accentuata da paura e insicurezza, assediano questi mercati come marosi violenti, aggrediscono le scaffalature che lasciano vuote quando si ritirano come risacca stremata.

A.Ferrin                                                                                                                                                          modena, 23/12/2021 

martedì 21 dicembre 2021

NOTTURNO

 



Un sogno complesso e confuso mi ha risvegliato alle due della notte: ero preda di uno stato di ansia e timore; accesa la luce, ho riguardato la stanza e gli oggetti: tutto in ordine e il silenzio della notte violato solo da alcune auto dirette in Piazza Risorgimento.
Perché dunque questo risveglio causato da paure indefinite, e perciò anche più inquietanti?
Non voglio lambiccarmi il cervello oltre misura, cerco di rilassarmi, mi alzo per bere sperando che questo rituale funzioni e che possa riprendere il sonno interrotto.
Niente da fare, mi giro e rigiro nel letto ma sono sveglio come un grillo.
Allora mi alzo, mi infilo pantaloni e giacca sul pigiama, indosso scarpe da tennis. esco sul ballatoio e scendo le scale diretto al portone della casa.
Non sono abituato a queste uscite estemporanee, e infatti affronto il cortile e la via deserta guardingo
e attento a ogni ombra e fruscio, ma anche intorpidito dal freddo di dicembre inoltrato.
All'altezza del 51, nell'androne di un vecchio palazzo, c'è il fagotto informe di un barbone, e accovacciato al suo fianco un cane pastore che solleva la testa senza fiatare; pochi passi ancora e mi
addentro nel Vicolo Scuro dove luminarie festive ammiccano ancora e un gazebo in legno è deserto,
sembra deserto ma non lo è: alcune sedie di plastica sono impilate e assicurate con una catenella alla paratia, poco discosti una sedia e un tavolino dove siede una giovane donna.
Lei indossa un cappello rosso a larghe falde, un pellicciotto bianco e aspira nervosamente da una sigaretta, il mio passo è subito meno rapido e mi fermo a guardarla, forse troppo ostentatamente, mi rivolgo a lei con ironia e un sorriso che vuole essere amichevole: non ha freddo? Lo sa che fumare a
quest'ora fa più male? La butto lì per provocare o per disperazione, e lei risponde sorridendo: perché
non dici che fa male stare da soli, che la solitudine fa male?
E con uno scatto getta la sigaretta ancora a metà, ne sfila un'altra dal pacchetto e mi indica la sedia vicina; stordito dal "tu" inatteso, mi avvicino al tavolino e siedo al suo fianco.
E' molto bella, per usare un'espressione abusata, ma è la verità: sotto le falde del cappello e dal pellicciotto spunta un viso aggraziato, sulla fronte cadono ciocche di capelli biondi, gli occhi
sono d'ambra, bocca e labbra un disegno perfetto, e le gote di rosa che sembra una bambola biscuit.
Cerco di riprendermi per realizzare che la donna, proprio quella che ho di fronte, mi ha invitato
al suo tavolo, e dopo alcuni convenevoli, mi parla ancora con disinvoltura quasi mi conoscesse da
sempre e ci fosse fra noi intimità; la osservo mentre i colori ritmati delle luminarie fanno il suo viso
cangiante e luminescente.
E con lo sguardo sognante mi dice: sai cosa vorrei questa notte? Non lo so, dimmi, e lei: vorrei distendermi sul letto e riposare mentre tu, per me, vai a cercare due dozzine di ostriche, una magnum di spumante e una rosa rossa.
Io, sulle prime, non penso alla singolarità della richiesta e alle difficoltà per esaudirla, ma piuttosto all'idea fantastica e fantasiosa promessa di evasione gratuita e felice dal grigiore quotidiano.
A.Ferrin

RITORNO A MUTINA

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

La via Emilia è inagibile per i ponti crollati e le strade sconvolte, così come la linea ferroviaria Bologna-Milano è fuori uso perché manca l'energia elettrica e i treni, bloccati sulla massicciata, sono
ormai preda di disperati in fuga dalla città e in cerca di rifugio.
Mancano notizie di prima mano, ci si deve accontentare di "sentito dire" con tutto quanto ciò può
significare: i fatti certi sono pochi, ma sufficienti per descrivere una realtà ancora inimmaginabile  nei primi anni '80 del secolo scorso.
Dopo anni di degrado pubblico e privato, di ondate di immigrati provenienti da Africa, Medio-Estremo Oriente e addirittura Centro America, in presenza di una denatalità inarrestabile, la condizione geopolitica e umana del Continente è cambiata radicalmente: gli Stati nordeuropei sono riusciti a creare un "cordone sanitario" che li separa da quelli meridionali, con il risultato che l'Italia
con i suoi venticinque milioni di immigrati è ormai in mani extracomunitarie, la Francia ha lasciato la sua Provenza agli arabi e al Terzo mondo, e la Spagna, che infine era riuscita ad annettersi Gibilterra, ha fatto di questa un'eccellente porta di ingresso in Europa per le  popolazioni affamate provenienti dal centro e nord Africa, il Belgio è praticamente estinto: francofoni e fiamminghi sono tacitamente
controllati e amministrati da francesi e tedeschi.
La Germania, che già controllava i Fiamminghi, si è annessa  l'Austria, realizzando così il vecchio progetto Hitleriano, e ora presidia in forze il confine con l'Alto Adige.
La Svizzera, infine, dal marasma economico e sociale in cui è piombata l'Europa, ha tratto nuova linfa per la sua sopravvivenza, potenziando così il suo ruolo di storica cassaforte rifugio per i capitali di equivoca e dubbia provenienza, e per le immense risorse occulte vaganti nel mondo.
Le cause di tutto ciò sono ovviamente molto complesse e non univoche; prendiamo l'Italia, sempre priva di un vero potere pubblico accettato e rispettato dai cittadini, ma piuttosto in balia di fazioni
economico-politiche impegnate in lotte fratricide per spartirsi il "malloppo", è precipitata in un clima di corruzione diffusa e resistente a ogni azione moralizzatrice, azioni peraltro velleitarie e di pura facciata.
Determinante è stato anche il fallimento dell'Unione Europea, dove l'ideale forte e nobile di una Europa unita è stato sconfitto dagli egoismi di tutte le parti in gioco, dei forti contro i deboli.
Pertanto un'Italia allo sbando, con una classe politica incapace di reagire e organizzare una qualsiasi
autodifesa, e invece propensa a ricorrere a ogni mezzo lecito e illecito per trovare salvezza in qualche
isola felice, in anguste valli dimenticate da Dio e dagli uomini, o a rifugiarsi su palafitte sorte su acque incontrollate che si sono riappropriate dei loro antichi terreni.
Questi transfughi hanno allestito proprie milizie armate che compiono scorrerie in Modena e dintorni
in spregio di ogni legge di giustizia e umanità.
Dunque sono rientrato in città da nord, presso la Cittadella, e sono subito sgomento per le rovine
che intralciano il cammino, e penso subito con gioia alle mie figlie che con la madre sono al sicuro nell'alta Val d'ossola, con Maurizio e la sua famiglia.
Sono stremato dalla fatica e dagli stenti patiti, ma sono preso dal desiderio e curiosità di rivedere Modena, l'antica Mutina dei Romani.
Ho saputo che la più folta comunità di immigrati, di origine nordafricana, si è insediata nei quartieri medioevali, e che si appresterebbe a ripristinare una parte delle mura cittadine utili per la sua difesa;
in molti palazzi storici vive asserragliata ciò che resta della borghesia modenese protetta da soldati di ventura.
Molti facoltosi modenesi, sognando un'impossibile ritorno alle origini, hanno ripreso possesso delle loro Ville fortificate nel forese, e altri ancora hanno occupato le vecchie caserme dell'esercito italiano dismesse da moltissimi anni, e alle cui garitte di vedetta appaiono come fantasmi volontari armati che guardano strade deserte e mute: ma chi oserebbe avventurarsi in questa città, di notte, fuori dai rifugi e lontano da mura amiche?
In città sono numerose le moschee ricavate da chiese i cui campanili sono ora minareti che svettano sui borghi medioevali. Mi aggiro nei pressi dell' antico mercato coperto che, ampliato con l'annessione di molti negozi vicini, è ora un vero suk orientale pervaso dagli inconfondibili aromi e sentori di spezie e nel quale donne, uomini e bambini si muovono freneticamente in un vociare confuso e suoni inconsueti: sono i "barbari" che abbiamo tanto temuto e temiamo ancora, ci stupiamo della loro presenza fra noi, della naturalezza che mostrano nel disbrigare le nostre stesse occupazioni, e benché siamo ancora timorosi di tutto, sospettiamo ormai di essere tutti, autoctoni e nuovi venuti, barbari,
Vagando nelle strade strette a ridosso di Piazza Grande, ho constatato che il Duomo è intatto, come lo è l'Abbazia di San Pietro con le sculture del Begarelli, gli affreschi della sacrestia e il bellissimo chiostro delle colonne.
Altri cittadini si sono rinchiusi nel bunker mostruoso edificato dal Banco San Geminiano al tempo lontano e felice della dissipazione e della grandeur dei banchieri; questi cittadini si sono isolati in questa ridotta militare decisi a resistere a ogni costo, in attesa di un nemico sconosciuto del quale non si notano segnali.
I preti non sono scomparsi, ma si mimetizzano: indossano povere tuniche di sacco e chiedono
l'elemosina nelle case; nulla si sa del vescovo, cosa fa e dove si trova, mentre tutti sanno che il vecchio Papa Francesco, dimessosi nel 2019, si era trasferito nella Terra del Fuoco in Argentina, lasciando in Vaticano le sue vecchie scarpe ortopediche e il crocifisso pettorale di argento.
Sede papale vacante, nulla risulta dell'elezione di un nuovo Pontefice, ma si è al corrente di scontri durissimi nel Collegio Cardinalizio, e di fastosi balli sulla terrazza dell'attico del defunto Cardinale Bertone, balli ai quali si dice partecipino anche le donne ammesse al sacerdozio e dispensate dal nubilato, come i preti dal celibato.
Ma infine non risulta che in Italia e nel mondo vi siano richieste pressanti di una elezione papale "Hic et nunc", in altri termini non si correrebbe il rischio di una nuova "Viterbo".
Ma tornando a Modena, noto anche il degrado in cui versa il vecchio Direzionale 70, con le sue "vele" ridotte in ruderi tra i quali bivaccano nomadi e razziatori.
Ma ciò che offende di più e ferisce, è l'abbandono in cui versa la città: la rete fognaria non raccoglie le acque reflue e quelle nere, le caditoie sono ostruite da detriti e non possono scaricare nelle grandi cloache sotterranee, ma più di ogni altra cosa, è insopportabile il lezzo della immondizia che, non raccolta, si accumula senza sosta nelle strade divenute discariche a cielo aperto; d'altra parte, l'inceneritore di via Cavazza è fuori uso per le ragioni dette prima, e non può quindi smaltire la collina di rifiuti che diventa sempre più montagna.
Insomma, è saltata la rete di istituzioni e servizi indispensabili perché la città possa vivere civilmente, ma temo che nessuno, oggi, si ponga questo problema, poiché tutti vorrebbero almeno sopravvivere, nonostante tutto e  tutti.

modena, 22/dicembre/2021

AMARELA

 Amarela, annoiata e distratta, sfogliava una vecchia rivista abbandonata sullo scaffale del ripostiglio; era decisa a riordinare quell'angolo buio della casa, ormai ricettacolo di cose inutili: leggiucchiava e curiosava qua e la, ma la mente vagava altrove, i pensieri correvano come nuvole alte sospinte dal vento.Voleva fare ordine senza sapere da dove iniziare, quasi avesse tra le mani un groviglio di fili di cui non scorgeva capo e coda, e allora si fermava cercando di fare mente locale.                              Quale era il pensiero, o i pensieri che la turbavano?  Era una donna nel pieno della maturità, bella e desiderabile, anzi desiderata, e non solo dal suo uomo e, come  le donne veramente belle, era apparentemente ignara della sua bellezza, la mostrava senza ostentarla, e la naturalezza ne accresceva il fascino.                                                                                                                                                          Dalle finestre spalancate sul retro della casa giungeva l'eco di voci allegre di bimbi che solcavano il pendio quasi sospinti dal ponentino che carezzava il grano maturo in cui tracciavano rovinosi sentieri fra gli urli del contadino. Oltre il poggio erano le crete con anfratti aridi e impervi che si inoltravano in terre desolate, quasi terra di misteri che a grandi e piccoli incuteva rispetto.                                        Aria cielo e terra erano in uno stato di grazia, momenti che si vorrebbero sospesi e immutati nel tempo, ma questo procede incurante di noi che dobbiamo vivere le stagioni della vita come debito da pagare. Amarela era forse presa da pensieri che raramente la sfioravano, quando udì una voce stridula e acuta salire dal cortile del caseggiato, unita al vociare confuso del crocchio di donne che si era aggrumato intorno alla donna che strepitava,  e nel clamore credette di percepire il suo nome gridato a tutto fiato. Amarela, signora Amarela, e qui dava più forza e tensione alle corde vocali: Amarela! Perché non ti affacci alla finestra? I tuoi vicini devono sapere che sei una femmina ruba mariti, che sei senza vergogna e fai schifo! Vergognati! E faceva il gesto di sputare in faccia. Amarela aveva già socchiuso gli scuri, e solo una sottile lama di luce filtrava a rischiarare la camera;  dalla fessura scrutava il cortile dove la donna tradita, circondata dai curiosi, inveiva con offese, parolacce, nonché minacce dirette all'amante, e non si capiva se tutto fosse frutto dell'orgoglio ferito o dell'invidia per la riconosciuta avvenenza di Amarela che, scioccata e turbata dall'irruzione di quella che osava violare e mettere in piazza la sua vita privata, decise di reagire e rompere l'assedio.                                                           Prese la calibro 12 che il marito  custodita nel cassettone, armò la doppietta e si appostò alla finestra: era esasperata e determinata a farsi giustizia. Prese la mira e indugiò alquanto per controllare la tensione e il tremore che la scuoteva; quando fu sicura di se e dell'obiettivo, le canne sputarono due rose di pallini che investirono leggermente un innocente cane randagio: il calibro delle cartucce era tarato per  passeri e tordi, e a causa della  eccessiva distanza, i pallini non fecero danni irreparabili.                       Si levarono urla isteriche e frasi indicibili rivolte alla finestra di Amarela, seguite dal caotico fuggi fuggi generale, e solo la donna tradita non si mosse: se ne stava ritta con gli occhi di fuoco in mezzo al cortile, continuando a sciorinare le offese che leggeva sul foglio che aveva nascosto nel reggiseno; Amarela invece si era rincantucciata nell'angolo opposto alla finestra da cui riusciva a percepire le litanie di offese senza fine che la donna le indirizzava dal cortile: cominciò a temere e pianse per se, per il marito, per la loro vita, mentre tutti i presenti, curiosi e parenti, in attesa dei Carabinieri, si dilungavano sulle responsabilità degli attori. Ma i Carabinieri non si fecero vedere, perché in realtà nessuno si era presa la briga di chiamarli, e fu un bene perché, non essendoci scappato il morto, tutto rientrò nel conto delle liti di cortile, nelle quali tutti hanno da perdere o guadagnare: era il tacito accordo a non stravolgere l'equilibrio precario in cui la comunità viveva. Infine la vicenda si ridusse a pettegolezzo dei "si dice", "hai sentito?", cioè in quel polverone del chiacchiericcio che annoia e sarà presto dimenticato.                Amarela invece dovette elaborare l'accaduto e ripararne i cocci anche con un travaglio interiore che, oltre a curare le ferite dell'anima e del corpo, fu necessario per salvare il salvabile del matrimonio. Abbandonò cieche speranze e illusioni, e infine venne il momento del chiarimento con il suo uomo.       I due ritrovarono una certa serenità e il desiderio di amarsi ancora, e un giorno egli le disse, tra il serio e il faceto: la prossima volta ricorda di usare cartucce caricate a pallettoni!

A.Ferrin

domenica 19 dicembre 2021

POLESINE


 

Da Porto Garibaldi, con la Romea sfiorarono l'Abbazia di Pomposa, Bosco Mesola e Valle Bertuzzi, poi per antichi terreni bonificati, raggiunta Goro e la Sacca omonima, seguendo la strada d'argine di questo ramo del Po, ecco Gorino, dove il corso del fiume si frastaglia in rami minori che lasciano acque in lanche e mortizze, tra lingue di terra e dune sabbiose. La batana era tirata a secco sull'estrema lingua di terra, e Berto, aiutato da Giulia, la spinse in acqua:  egli portava a spalla l'unico remo utilizzato per la voga alla veneziana, si staccò dalla riva e costeggiò la sacca fino al Faro di Goro.                  Giulia, silenziosa, sedeva a prua con la mano nell'acqua verdastra che spumeggiava nascondendo il fondo alla profondità di soli 60 cm: l'acqua ora era  limacciosa, ora cupa di alghe e cespugli.L'acqua salmastra, sorvolata da gabbiani felici, era increspata e tremolava per la brezza che dalla pineta svaniva sul mare.La donna fissava lo sciabordio prodotto dalla sua mano: Berto le disse che la mano in acqua faceva da timone, ma lei godeva di mani o piedi immersi.Giulia slacciò il pareo, mostrando il bikini turchese che esaltava le forme di splendida quarantenne; sembrava incurante della presenza di Berto che la osservava, ma senza darlo a vedere, che la sua bellezza lo stupiva ancora, e con piccoli tocchi del remo indirizzò la barca e penetrò nell'intrico di      cannella palustre dirigendo a Canneviè, la vecchia stazione di pesca trasformata in oasi di riposo per amanti del paesaggio vallivo e dell'osservazione della fauna.La batana procedeva lenta tra cannella, salicornia e giunchi: l'odore salmastro e di marcita divenne    pungente, e al crepitio delle erbe si levavano in volo garzette, qualche airone, e immobile, più oltre,era la visione rara di un Cavaliere d'Italia, ritto su una minuscola barena.Elegantissimo e guardingo affondava il becco nell'acqua, e Berto lo indicò a Giulia che posò lo sguardo sull'uccello e sorrise, e allora l'uomo ricordò che il Cavaliere d'Italia, (al pari di altri animali)corteggia la sua compagna con un rituale delicatissimo e romantico, comportamento esemplare per gli umani che spesso non usano gli stessi riguardi negli approcci amorosi.Approdarono all'isolotto di Canneviè, in passato stazione di lavorieri per la cattura e lavorazione delleanguille, e ora ristorante e albergo; l'orizzonte profondo, ormai sfumava in gradazioni di rosa che, da valli e lagune zittite stingeva sul mare senza luce.Nella nuova Canneviè non c'era traccia di lavorieri, ma era ancora isolata in una rete di barene erbose unite da passerelle rudimentali, a volte munite di pontili d'attracco, e l'insieme di questa fusione fraterre e acque era suggestiva, quasi una tela finemente ricamata: le passerelle e il perimetro del locale  erano segnate da torce anti zanzare che infestano da sempre queste lagune.L'uomo e la donna cenarono: l'atmosfera nel locale era propizia alla rimozione di ogni timore e sopiva tensioni e crucci della vita quotidiana a Ferrara.Avevano stabilito di dormire a Canneviè, e il mattino dopo fare a ritroso la vogata per Gorino.Alcuni turisti provarono ad animare la serata, ma non c'era un istrione degno di questo nome, e allora  le voci si affievolirono, e i pur generosi tentativi si ridussero a più miti pretese: un vecchio piano verticale era sulla pedana e si offriva a suonatori avventizi e coraggiosi.Uno dei presenti si avvicinò, timidamente e con circospezione, allo strumento, ma subito, uomini e donne, lo spronarono battendo le mani; l'uomo, ormai a suo agio di fronte alla tastiera, cercò il La.Il pianista, con condiscendenza e un pizzico di sussiego, strimpellò vecchie canzoni e brani classici, nei quali alcuni si cullavano e cedevano alla nostalgia, mentre altri abbandonarono la sala diretti alle camere.Anche Berto e Giulia dopo alcuni brani si alzarono e, rivolto un sorriso al pianista, si avvicinarono ai vetri, notando subito che le torce si stavano spegnendo, e la loro luce sempre più fioca allungava le ombre della notte.I due erano sereni e si tenevano per mano: da quanto non accadeva? Forse da quando frequentavano i Lidi nei lontani anni 60?Si erano invaghiti l'uno dell'altra nei giorni assolati di luglio, con i balli lenti e con il rito giocoso della seduzione che poi finiva sempre fra le dune del litorale Acciaioli. Adesso erano distesi sul letto, stremati dall'intensa giornata, ma non dimentichi di quel passato, e non resistettero al desiderio: si scambiarono effusioni dolcissime e si rividero giovani, lei nel pieno fulgore della giovinezza, i capelli biondo cenere, gli occhi grandi e stupiti, lui quando credeva ancora che tutto fosse senza fine: nutrivano fiducia nelle promesse di gioia e felicità.Chiusero gli occhi che lei era abbarbicata a lui come rampicante o, come diceva Berto, un ragnetto. Furono risvegliati al mattino dal clamore della natura e dal sole che entrava prepotente dai vetri; l'uomo scese dal letto e osservò Giulia che sembrava assopita, ma era solo civettuola e indolente, le si avvicinò sfiorandole bocca e palpebre con le labbra.

Erano in sala per la colazione: dalle finestre spalancate irrompeva il chiasso dei gabbiani e l'aria di erbe e salsedine; l'uomo e la donna, ristorati dal sonno e dalla colazione, uscirono da Canneviè, Berto con il suo remo in spalla, e raggiunsero il pontile a riprendere la batana.                                                                                                         Il cielo era terso, la brezza mattutina penetrava nelle strette vie d'acqua tra la vegetazione verde oro che ondeggiava e frusciava; i due erano catturati dalla serenità di una natura che pare immobile, ma che invece brulica di vita, dove le acque del grande Delta recano da lontano, senza fine, limo e sedimenti che fanno terra del mare. Giunsero stanchi nel porticciolo di Gorino, ormeggiarono la barca e Berto assicurò il remo sul tetto della vettura, quindi decisero di pranzare alla Uspa, il locale più schietto, e forse l'ultimo, nella lingua di terra, più a sud del Delta, che si distende nell'Adriatico. Camminarono sulla nuova terra di polesine sperando di avvicinarsi al vecchio faro, ma il percorso risultò impervio e infido; ritornarono sui loro passi e salirono in macchina per fare ritorno a Ferrara. Nel viaggio verso la città estense, Berto e Giulia furono di poche parole; era scemata la tensione positiva dell'aspettativa all'andata, nonché la lusinga delle ore trascorse insieme: erano oppressi da pensieri molesti legati alla realtà che li attendeva e che non amavano.

A.Ferrin

 

giovedì 16 dicembre 2021

GRAMELOT

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

 GRAMELOT                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

LoremTIM VISIONipsumAssorbentidolorYakultsitLisoformame  ABMWadipisciPrinkelitBergadersedAcetodoAzeiusmodTampaxntidol          inciduntColesteroloutVoiellolaboreLinesetAiaenimDiarrea    cumdoloreCiclomagnaFloraintestinalealiquaCafféUtMenopausa                            adD&GminimDAZNveniamAIAquisEsselunganostrumOceanaliqui  TerracieloexercitationemBetotallaboriosamDeCecconisiSeatutMiele  ullamcoMontvexTrucchieaSalamecommodiClioconsequaturNissa  estSusteniumDuisCremeauteFilmirureSuzukireprehenderitMutandine  involuptateFastwebvelitDeRicaesseLenzuolacillumIntestinolaborum  doloreVivincieuLandRoverfugiatOlioCarlinullaZibaldopariaturFalomo  ExcepteurGodfathersintFacileobcaecatSamsungcupiditatFlatulenza  nonShampooproidentLisoformsuntSorrisoinAntiageculpaCoopqum  ArgoofficiaFelicitàdeseruntColesterolactmollitAxceptaanimProstamol  EnterogerminaconsecteturFilosofiatemporAntiallergeniidSerenità.


A.Ferrin
modena, 16/12/2021

AMOR SACRO E AMOR PROFANO



Cantico dei Cantici di Re Salomone

Mi abbeveri di baci la tua bocca
Perché il tuo amore inebria più del vino
E' bello il tuo profumo respirare
Il tuo nome è un unguento penetrato
Dalle vergini sacre sei amato


Risultati immagini per estasi di santa teresa del Bernini  Estasi di santa Teresa d'Avila
                                                                       (G.Lorenzo Bernini)                                                                                
Trascinami con te nella tua corsa                                       
Nelle tue stanze fammi entrare o re
Dove godremo e avremo gioia insieme
Inebria il tuo amore più del vino
Le amanti desiderose
Come sei bella amica mia come sei bella
Hai per occhi colombe                                                                                            
Come sei bello e caro amico mio                                                                        


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Sono i primi versi del Cantico dei Cantici, tradotto da Guido Ceronetti
Gli esegeti discutono se questo testo biblico abbia carattere religioso o laico, io propendo per il testo laico, di umanità e bellezza ineguagliabili e in quanto tale,
di significato universale.
D'altra parte esprime molto bene anche l'esperienza ineffabile della relazione mistica con la Divinità.

                                                    

mercoledì 15 dicembre 2021

VITA COME DEBITO DA PAGARE

E' il filosofo presocratico Anassimandro che lo afferma nel VI secolo a.c. , i secoli d'oro in cui fioriscono i pensatori che con i Socratici anticiparono il pensiero delle scienze umane nei secoli successivi.                                                                                                                                                      Era forse già presente il concetto di "peccato originale" mutuato dalla tradizione Biblica, e trasmessa nel bacino del Mediterraneo con la trasmissione orale?                                                                                Anassimandro riteneva che ogni nascita fosse dovuta alla separazione traumatica da un Ente Universale da cui tutto origina, e a cui tutto vuole ritornare per ripristinarne l'unità.                                          Quindi la vita come debito da pagare e che l'uomo sconta "vivendo", e quale è il prezzo più gravoso per l'uomo se non quello di vivere una vita con sofferenza e morte?                                                             Poi subentra il cristianesimo consolatore che, come molte religioni, promette il premio della vita eterna con il Paradiso o la punizione assoluta, cioè "ordina e regala la legge".                                            Poveri uomini e povere donne, siamo condannati a vivere, a sottostare al giogo che non abbiamo scelto, a piangere nel parto, lasciando la sicurezza del ventre materno per l'avventura, disorientati e terrorizzati e che, se non fossimo accuditi da mani pietose, non potremmo sopravvivere; la natura è generosa, ma non disinteressata: infatti lei dialoga con l'infinito, ha già programmato la nostra vita con un percorso disseminato di ostacoli; l'orologio biologico scandisce le tappe, e in questa esperienza siamo soli, abbiamo inventato il "libero arbitrio" nel delirio di onnipotenza, illusi e preda dei sogni, ma infine disperati.                                                                                                                                                    La natura è indifferente al nostro destino: il suo interesse trascende quello dello spazio angusto in cui siamo confinati, spazio che noi mortali cerchiamo disperatamente di esplorare e vivere.                          Non ci resta che vivere la vita per gli attimi di pienezza che sappiamo cogliere al banchetto dei Grandi. 

A.Ferrin                                                                                                                                            modena, 15/12/2021

mercoledì 8 dicembre 2021

COVID

Covid, sempre Covid, fortissimamente Covid... A fronte di negazionismo e deliri vari, conviene familiarizzare con questa pandemia all'ombra della quale crescono paura e disorientamento; familiarizzare non vuole dire farsela amica, o desiderare  la sua compagnia, ma piuttosto conoscerla e nello stesso tempo utilizzare gli strumenti che la scienza ci offre; in altri termini dovremmo fare come i bambini che temono le ombre nel buio della loro cameretta fino a che i genitori accendono la lampadina e i piccoli scoprono che le ombre corrispondono all'armadio, al riflesso di un chiarore lunare, al comodino o ai giocattoli lasciati sul pavimento e allora, per incanto, scemano tutte le paure.                      Ieri sera mi sono recato all'ex Deposito dell'Aeronautica per sottopormi al richiamo del Vaccino, la terza somministrazione: il freddo è pungente e tutta l'area è immersa in una caligine che gronda umidità.                                                                                                                                                 Come temevo, l'affluenza dei cittadini è notevole, fra ritardatari delle prime dosi, e altri che come me si prestano alla terza di rafforzamento.                                                                                                          Si sono già formate code in doppia e tripla fila, e si sussurra che l'attesa stimata sia di due o tre ore: è meglio armarsi di pazienza e mettersi in ordine curiosando fra i compagni d'avventura; la coda procede lentamente, dobbiamo raggiungere le postazioni dove volontari e dipendenti della Sanità esplicano le formalità di rito prima che in altre postazioni siano praticate le iniezioni.                                                  Nell'attesa si familiarizza con i vicini, e lo si fa con una battuta più o meno felice, ma utile per rompere il ghiaccio: c'é quello che mugugna perché è diventato nonno e non ha potuto correre al capezzale della figlia e della neonata, e la giovane sposa che sbotta "se c'é d'aspettare tre ore, io mi sparo", un altro che scalpita e indaga quale vaccino hai fatto o devi fare, e un napoletano, felicemente estroverso, racconta la sua disavventura di proprietario "virtuale" di un appartamento in quel di Napoli.                                  Abita a Modena per lavorare, ha la residenza a Napoli, dove l'appartamento di proprietà è occupato da 15 anni(!), e non riesce a liberarlo perché, se è problematico lo sfratto in tutta Italia, a Napoli è quasi impossibile grazie alla "creatività" e fantasia napoletane.                                                                          Il suo appartamento è abitato da una famigliola con quattro figli: uno dei figli ha raggiunto i 18 anni ed è uscito dal computo dei figli a carico, ma restano gli altri dei quali bisognerà attendere la maggiore età e, in ogni caso, queste situazioni sono così ingarbugliate che è arduo districarsi fra i cavilli giuridici e quelli rappresentati da una umanità dolente che fatica a sopravvivere.                                                    Ma nonostante tutto, il napoletano non mostra acredine verso l'occupante, ne parla con dolorosa "leggerezza" e involontaria ironia stupito, e forse ammirato delle sue capacità di tutelare la propria famiglia, e allora continua a fare la spola fra Napoli e Modena per il lavoro, la causa in Tribunale, e le bizzarrie burocratiche.                                                                                                                       Ritorno alla mia coda, attento al percorso che devo completare per giungere alla meta e, fantasticando, noto che questi capannoni sono simili a mattatoi o mercati bestiame dove greggi e mandrie sono instradate mediante transenne al luogo della marchiatura o punzonatura, della compravendita o del loro  sacrificio.                                                                                                                                                    Si pensa che le bestie avvertano la mattanza vicina, ma anche noi siamo preda di inquietudine quando siamo costretti a obblighi imposti dall'autorità.                                                                                          A un tratto, dalla lunga fila esce un cittadino che affronta un vero percorso di guerra per raggiungere la toilette posta fuori al freddo, allora mi accorgo che, forse per emulazione, la mia prostata reclama attenzione; dirigo verso l'insegna sfavillante che segnala la toilette e la raggiungo: i locali sono squallidi e desolati, struttura di fortuna con una barella abbandonata in un angolo, e servizi igienici alla turca, incustoditi e non igienizzati: immagine che mi riporta agli anni '50 e '60, gli anni di collegio e della naja.                                                                                                                                                    Rientro al mio  posto (che Paola aveva occupato in mia vece) proprio in tempo per trovarmi di fronte al volontario che controlla i documenti, quindi devo affrontare una nuova fila, un'ulteriore tappa di avvicinamento al punto di vaccinazione.                                                                                                      I volontari svolgono un servizio meritorio, ma accade che alcuni di essi si sentano, o si credano investiti di un'autorità che esercitano con una certa supponenza. Infine, dopo tre ore di impaziente o rassegnata attesa, ricevo la dose di richiamo: ho fatto il mio dovere, quello che il super IO ha consigliato e indotto a fare; spero che sia finita qui, ma ne dubito, e infatti già si sussurra che il Corona Virus potrebbe mutare in forma endemica, e quindi richiedere la vaccinazione annuale come l'antinfluenzale.

                                                                                                                                                                      A.Ferrin                                                                                                                                            modena, 8/12/2021