Un sogno complesso e confuso mi ha risvegliato alle due della notte: ero preda di uno stato di ansia e timore; accesa la luce, ho riguardato la stanza e gli oggetti: tutto in ordine e il silenzio della notte violato solo da alcune auto dirette in Piazza Risorgimento.
Perché dunque questo risveglio causato da paure indefinite, e perciò anche più inquietanti?
Non voglio lambiccarmi il cervello oltre misura, cerco di rilassarmi, mi alzo per bere sperando che questo rituale funzioni e che possa riprendere il sonno interrotto.
Niente da fare, mi giro e rigiro nel letto ma sono sveglio come un grillo.
Allora mi alzo, mi infilo pantaloni e giacca sul pigiama, indosso scarpe da tennis. esco sul ballatoio e scendo le scale diretto al portone della casa.
Non sono abituato a queste uscite estemporanee, e infatti affronto il cortile e la via deserta guardingo
e attento a ogni ombra e fruscio, ma anche intorpidito dal freddo di dicembre inoltrato.
All'altezza del 51, nell'androne di un vecchio palazzo, c'è il fagotto informe di un barbone, e accovacciato al suo fianco un cane pastore che solleva la testa senza fiatare; pochi passi ancora e mi
addentro nel Vicolo Scuro dove luminarie festive ammiccano ancora e un gazebo in legno è deserto,
sembra deserto ma non lo è: alcune sedie di plastica sono impilate e assicurate con una catenella alla paratia, poco discosti una sedia e un tavolino dove siede una giovane donna.
Lei indossa un cappello rosso a larghe falde, un pellicciotto bianco e aspira nervosamente da una sigaretta, il mio passo è subito meno rapido e mi fermo a guardarla, forse troppo ostentatamente, mi rivolgo a lei con ironia e un sorriso che vuole essere amichevole: non ha freddo? Lo sa che fumare a
quest'ora fa più male? La butto lì per provocare o per disperazione, e lei risponde sorridendo: perché
non dici che fa male stare da soli, che la solitudine fa male?
E con uno scatto getta la sigaretta ancora a metà, ne sfila un'altra dal pacchetto e mi indica la sedia vicina; stordito dal "tu" inatteso, mi avvicino al tavolino e siedo al suo fianco.
E' molto bella, per usare un'espressione abusata, ma è la verità: sotto le falde del cappello e dal pellicciotto spunta un viso aggraziato, sulla fronte cadono ciocche di capelli biondi, gli occhi
sono d'ambra, bocca e labbra un disegno perfetto, e le gote di rosa che sembra una bambola biscuit.
Cerco di riprendermi per realizzare che la donna, proprio quella che ho di fronte, mi ha invitato
al suo tavolo, e dopo alcuni convenevoli, mi parla ancora con disinvoltura quasi mi conoscesse da
sempre e ci fosse fra noi intimità; la osservo mentre i colori ritmati delle luminarie fanno il suo viso
cangiante e luminescente.
E con lo sguardo sognante mi dice: sai cosa vorrei questa notte? Non lo so, dimmi, e lei: vorrei distendermi sul letto e riposare mentre tu, per me, vai a cercare due dozzine di ostriche, una magnum di spumante e una rosa rossa.
Io, sulle prime, non penso alla singolarità della richiesta e alle difficoltà per esaudirla, ma piuttosto all'idea fantastica e fantasiosa promessa di evasione gratuita e felice dal grigiore quotidiano.
A.Ferrin
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