PERCHE' ESSERE FEMMINISTI
Zenone di Elea, filosofo dell'antica Grecia, chiede retoricamente a se stesso e a noi:
"chi vorrebbe morire senza avere fatto almeno il giro della sua prigione? ".
Io dunque, da pensionato, non faccio altro che mettere in pratica il suggerimento di Zenone: esploro lo spazio in cui vivo.
Ieri l'altro, in una delle librerie modenesi (la Ubik) era prevista la presentazione del libro di un accademico di Unimore:
"Diritto e (dis)parità. Dalla discriminazione di genere alla democrazia paritaria".
L'incontro della serata è il primo di tre il cui tema è: "Perché essere femministi"; il tutto organizzato con Unimore di MO/RE, Centro documentazione Donna di Modena, e con patrocinio del Comune di Modena.
Introduce la presidente del Centro documentazione Donna, Vittorina Maestroni che si dilunga in una prolissa presentazione dell'autore, accademico di Unimore,
rivisti e temperati anche dagli eredi del femminismo storico.
La relazione dell'autore lambisce anche i "massimi sistemi" con un eloquio lungo, acritico e inutilmente accademico, col quale intende omologare la rivoluzione sociale, sessuale e di genere scaturita dal '68 in poi.
Tutto è progresso afferma, e molta strada c'è ancora da fare perché maturi una vera coscienza democratica e approdare così alla parità di genere nella nostra società.
Un applauso educato accoglie la conclusione dell'oratore, e la Maestroni invita il presidente del San Carlo a intervenire.
A questo punto io, che ho ascoltato con insofferenza crescente una "lezione accademica", ho anche realizzato che sono capitato nel mezzo di "democratici e
progressisti", alias "catto-comunisti" che, pure essendo reduci da ripetute catastrofi ideologiche e politiche, sono sempre arroganti: il clima è di plumbeo conformismo da pensiero unico.
Infatti, con una certa foga, chiedo di potere intervenire perché non ritengo corretto che il tavolo della presidenza monopolizzi la serata e non dia spazio
alla platea.
Apriti cielo! Clamore in sala: i più reagiscono malamente alla mia iniziativa, e le donne, che sono la grande maggioranza, sono le più determinate, ma infine
l'autore del libro, bontà sua, mi concede la parola.
Io mi limito a osservare che mi aspettavo fosse una donna a svolgere il tema proposto, e chiedo anzi (perché no?) che sarebbe anche opportuno sviscerare
il tema: "perché essere maschilisti", e aggiungo, per me non c'è maschilismo e femminismo, ma piuttosto femminilità e mascolinità o, meglio ancora,
donne uomini e persone, ma la mia voce già si perde nel frastuono.
Ancora clamore in sala: una voce di donna grida: "se non le interessa l'argomento può andarsene", e io rispondo : viva la democrazia.
Ora è tornata una calma apparente: il presidente del San Carlo inizia il suo intervento e mostra più concretezza del precedente.
Ma io sono stanco, non voglio sorbirmi un'altra ora di parole e mettere a repentaglio le mie coronarie.
Mi alzo dalla sedia e rivolto a tutti: mi dispiace ma devo lasciare "l'assemblea parrocchiale", e mi dirigo all'uscita, a respirare aria fresca.
L'insegnamento che traggo da questa mia piccola esperienza? Le donne, almeno quelle viste in questa occasione, rivendicano e proclamano, ma infine, nei fatti,
figurano sempre nelle seconde file in posizioni subordinate agli uomini, in ruoli ancillari.
A.Ferrin
modena, 08/11/2018