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libreria di zurau

giovedì 8 novembre 2018

PERCHE' ESSERE FEMMINISTI


Zenone di Elea, filosofo dell'antica Grecia, chiede retoricamente a se stesso e a noi:
"chi vorrebbe morire senza avere fatto almeno il giro della sua prigione? ".
Io dunque, da pensionato, non faccio altro che mettere in pratica il suggerimento di Zenone: esploro
lo spazio in cui vivo.
Ieri l'altro, in una delle librerie modenesi (la Ubik) era prevista la presentazione del libro di un accademico di Unimore:
              "Diritto e (dis)parità. Dalla discriminazione di genere alla democrazia paritaria".
L'incontro della serata è il primo di tre il cui tema è: "Perché essere femministi"; il tutto organizzato con Unimore di MO/RE, Centro documentazione Donna di Modena, e con patrocinio del Comune di Modena.
Introduce la presidente del Centro documentazione Donna, Vittorina Maestroni che si dilunga (come
accade spesso in simili circostanze) in una prolissa presentazione dell'autore, accademico di Unimore,
e del presidente della Fondazione San Carlo; come in ogni "introduzione" che si rispetti, la Maestroni
infarcisce di formalità, piaggeria e auto referenzialità, ( non rinunciando a dire la sua anche sui contenuti del libro) la presentazione degli ospiti.
Finalmente l'autore del libro interviene e debutta illustrando le buone ragioni per essere femministi, pure affermando che lui si sente ed è maschio, e sciorina la serie infinita di luoghi comuni propri del
Femminismo più radicale, quelli ormai rivisti e temperati anche dagli eredi del femminismo storico.
La relazione dell'autore lambisce anche i "massimi sistemi" con un eloquio lungo, acritico  e inutilmente accademico, col quale intende omologare la rivoluzione sociale, sessuale e di genere scaturita dal '68 in poi.
Tutto è progresso afferma, e molta strada c'è ancora da fare perché maturi una vera coscienza
democratica e approdare così alla parità di genere nella nostra società.
Un applauso educato accoglie la conclusione dell'oratore, e la Maestroni invita il presidente del San
Carlo a intervenire.
A questo punto io, che ho ascoltato con insofferenza crescente una "lezione accademica", ho anche
realizzato che sono capitato nel mezzo di "democratici e progressisti" che, pure essendo reduci da ripetute catastrofi ideologiche e politiche, sono sempre arroganti: il clima è di plumbeo conformismo, da pensiero unico.
Infatti, con una certa foga, chiedo di potere intervenire perché non ritengo corretto che il tavolo della
presidenza monopolizzi la serata e non dia spazio alla platea.
Apriti cielo! Clamore in sala: i più reagiscono malamente alla mia iniziativa, e le donne, che sono la
grande maggioranza, sono le più determinate, ma infine l'autore del libro, bontà sua,  mi concede la parola.
Io mi limito a osservare che mi aspettavo fosse una donna a svolgere il tema proposto, e chiedo anzi
(perché no?) che sarebbe anche opportuno sviscerare il tema: "perché essere maschilisti", e aggiungo: per me non c'è maschilismo e femminismo, ma piuttosto femminilità e mascolinità o, meglio ancora,
donne uomini e persone, ma la mia voce già si perde nel frastuono.
Ancora clamore in sala: una voce di donna grida: "se non le interessa l'argomento può andarsene", e
io rispondo : viva la democrazia.
Ora è tornata una calma apparente: il presidente del San Carlo inizia il suo intervento e mostra più
concretezza del precedente.
Ma io sono stanco, non voglio sorbirmi un'altra ora di parole e mettere a repentaglio le mie coronarie.
Mi alzo dalla sedia e rivolto a tutti: mi dispiace ma devo lasciare "l'assemblea parrocchiale", e mi dirigo all'uscita, a respirare aria fresca.
L'insegnamento che traggo da questa mia piccola esperienza? Le donne, almeno quelle viste in questa
occasione, rivendicano e proclamano, ma infine, nei fatti, figurano sempre nelle seconde file in posizioni subordinate agli uomini, in ruoli quasi ancillari.
A.Ferrin
modena, 08/11/2018

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