SCRIBERE

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libreria di zurau

martedì 26 dicembre 2017

SUBURBICON

                                                                    SUBURBICON



Ieri sera ho rivisto Suburbicon, questa volta in Lingua e l'esperienza è stata positiva: avete presente la serie di film horror come "non aprite quella porta!" ? Beh, quelli sono film da educande rispetto a questo che, peraltro, mi ha ricordato anche Pulp Fiction, ma i colori sono quelli della provincia americana del secondo dopoguerra, girato che sembra un cartone, e sopratutto con violenza e sangue a piacere...qui tutto sarebbe causato dal razzismo: gli adulti ne sono responsabili e i figli come sempre le vittime; e lo stesso razzismo sembra sia il detonatore dell'esplosione di violenza nella stessa comunità bianca di questo "villaggio modello" inizialmente riservato ai soli bianchi, che impazziscono quando una famiglia di afroamericani vi si trasferisce.
In realtà la violenza e le peggiori pulsioni dell'animo umano preesistono, la comunità bianca si arrocca nel suo guscio e crede di dovere difendere la propria identità e purezza dalla presunta contaminazione dei neri, mentre è
invece nelle vite dei buoni puritani WASP che alberga la corruzione all'origine del massacro di cui saranno sempre
protagonisti i bianchi.
La sceneggiatura riporta ai primi anni '50: è perfetta, come pensavo, il soggetto è farina dei fratelli Coen.
Emblematico il finale della pellicola: dopo la strage, le violenze e le varie efferatezze, e con i cadaveri degli adulti ancora caldi, i due bambini ( il bianco e il nero) si incontrano sull'erba perfettamente curata del villaggio e, infilati i
guantoni, riprendono a giocare a baseball come nulla fosse. 
Finalmente l'uscita dalla sala è liberatoria, attenua la tensione che il film trasmette, anche se gli eccessi e le enormità di alcune scene provocano qualche scoppio di ilarità.
Le vie fuori dal cinema sono deserte, avvolte nell'umidità che bagna l'acciottolato, non c'è un'attività aperta, se non uno dei negozi Bangla stakanovisti disseminati nel centro storico, esercizi commerciali peraltro oggetto di critiche
e sospetti degli italiani, e che calano le serrande a notte inoltrata.
Sono imbacuccato per proteggermi dall'aria fredda pungente, e osservo i palazzotti antichi della città medioevale le
cui facciate stinte e anonime hanno marciapiedi dissestati; mi affretto verso San Francesco per rifugiarmi al caldo
della mia mansarda, e nel tragitto noto che dalle imposte chiuse di molte finestre filtrano esili lame di luce: è chiaro
che molti cittadini sono rifugiati nelle case per propria scelta o necessità.
Mi affretto quasi confortato di non essere tutto solo nella città desolata.

A. FERRIN
modena, 26/12/2017

sabato 23 dicembre 2017

NATALE?

                                                                       NATALE?


L'interrogativo è d'obbligo; forse è sempre stato così, ma in ogni caso l'atmosfera che si avverte
in questi giorni non è quella dell'attesa di una festa, o di una sentita commemorazione religiosa.
Il frastuono diffuso, la pubblicità, l'invito incessante all'acquisto e al consumo offuscano la mente,
stordiscono, e invano cerchi di estraniarti per recuperare un poco di spazio tutto tuo: infatti incombe
la necessità, quasi l'urgenza dell'acquisto con una corsa all'accaparramento delle "cose" che sono ritenute vitali per la festa.
Le vie più commerciali e frequentate sono presidiate da questuanti che stazionano in postazioni
strategiche, sperano con un augurio di meritarsi l'obolo, ma noto che il clima natalizio non incentiva
le elemosine.
Nella speranza di non ritrovarsi soli in una società già frantumata, fatta di solitudini, nasce il bisogno
di socializzare, e così donne e uomini cercano di colmare il vuoto  che avvertono anche tra la folla, rischiando di disperdere le energie residue inseguendo chimere e stelle lontane lontane.
Il fatto è che non solo io, ma anche alcuni amici e interlocutori occasionali avvertono questa sorta di nostalgia; questo fenomeno non riguarda i bambini che fortunatamente vivono con naturalezza, con
libertà e gratuità anche le gioie più piccole e vivono con pienezza il momento felice.
Noi adulti invece abbiamo perso la "leggerezza" di un tempo, appesantiti dagli anni che, come
zavorra, ci trascinano sul fondo o alla deriva.
Cerco di individuare le cause di tutto ciò, che sono molte: etiche, perché la società è priva di una scala di valori riconosciuta e condivisa, perché domina il relativismo nella morale privata e pubblica, e il sistema poggia le fondamenta sulla precarietà di un'economia basata sui consumi e sulla selezione in cui pesa più il potere reale( economico) rispetto al merito, un'economia dalla quale, peraltro, grandi masse sono escluse, e nella quale la competitività è funzionale al perpetuarsi del potere nelle mani di pochi, ovvero dei soliti più forti.
Pertanto è comprensibile che noi rimuoviamo questi pensieri molesti e che ci confondiamo nella folla partecipando alla rappresentazione di una realtà fittizia, recita alla quale siamo indotti da meccanismi
il cui controllo non è nella nostra disponibilità, e sorridiamo, come e con gli altri, celando la nostra intima disperazione.
Quindi accade di indulgere nei ricordi legati all'infanzia, un'età inconsapevole della realtà, l'età della fantasia e del sogno, un'età nella quale non sapevamo di consumi voluttuari, i bisogni erano semplici come il loro soddisfacimento con  le poche prelibatezze prodotte dalle donne di casa, piccole cose per noi preziose e il tutto aveva sapori inconfondibili.
Nei cortili e sulle scale persistevano aromi di pietanze rare, c'era aria di festa e i bambini, complici i
genitori, credevano veramente all'evento eccezionale che entrava a fare parte del loro immaginario.
Chiedere se fossimo più felici non ha senso: eravamo certamente più "ricchi", poiché i sogni non
hanno prezzo.
A. Ferrin
modena, 23/12/2017

giovedì 21 dicembre 2017

NOTTURNO

                                                                          NOTTURNO


Un sogno complesso e confuso mi ha risvegliato alle due della notte: ero preda di uno stato di ansia e timore; accesa la luce, ho riguardato la stanza e gli oggetti: tutto in ordine e il silenzio della notte violato solo da alcune auto dirette in Piazza Risorgimento.
Perché dunque questo risveglio causato da paure indefinite, e perciò anche più inquietanti?
Non voglio lambiccarmi il cervello oltre misura, cerco di rilassarmi, mi alzo per bere sperando che questo rituale funzioni e che possa riprendere il sonno interrotto.
Niente da fare, mi giro e rigiro nel letto ma sono sveglio come un grillo.
Allora mi alzo, mi infilo pantaloni e giacca sul pigiama, indosso scarpe da tennis. esco sul ballatoio e scendo le scale diretto al portone della casa.
Non sono abituato a queste uscite estemporanee, e infatti affronto il cortile e la via deserta guardingo
e attento a ogni ombra e fruscio, ma anche intorpidito dal freddo di dicembre inoltrato.
All'altezza del 51, nell'androne di un vecchio palazzo, c'è il fagotto informe di un barbone, e accovacciato al suo fianco un cane pastore che solleva la testa senza fiatare; pochi passi ancora e mi
addentro nel Vicolo Scuro dove luminarie festive ammiccano ancora e un gazebo in legno è deserto,
sembra deserto ma non lo è: alcune sedie di plastica sono impilate e assicurate con una catenella alla paratia, poco discosti una sedia e un tavolino dove siede una giovane donna.
Lei indossa un cappello rosso a larghe falde, un pellicciotto bianco e nervosamente aspira da una sigaretta, il mio passo è subito meno rapido e mi fermo a guardarla, forse troppo ostentatamente, mi rivolgo a lei con ironia e un sorriso che vuole essere amichevole: non ha freddo? Lo sa che fumare a
quest'ora fa più male? La butto lì per provocare o per disperazione, e lei risponde sorridendo: perché
non dici che fa male stare da soli, che la solitudine fa male?
E con uno scatto getta la sigaretta ancora a metà, ne sfila un'altra dal pacchetto e mi indica la sedia vicina.
Stordito dal "tu" inatteso, mi avvicino al tavolino e siedo al suo fianco.
E' molto bella, per usare un'espressione abusata, ma è la verità: sotto le falde del cappello e dal pellicciotto spunta un viso aggraziato, sulla fronte cadono piccole ciocche di capelli biondi, gli occhi
sono d'ambra, la bocca e le labbra un disegno perfetto, e le gote di rosa che sembra una bambola biscuit.
Cerco di riprendermi per realizzare che la donna, proprio quella che ho di fronte, mi ha invitato
al suo tavolo, e dopo alcuni convenevoli, mi parla ancora con disinvoltura quasi mi conoscesse da
sempre e ci fosse fra noi intimità; la osservo mentre i colori ritmati delle luminarie creano un viso
cangiante e luminescente.
E con lo sguardo sognante mi dice: sai cosa vorrei questa notte? Non lo so, dimmi, e lei: vorrei distendermi sul letto e riposare mentre tu, per me, vai a cercare due dozzine di ostriche, una magnum di champagne e una rosa rossa.
Io, sulle prime, non penso alla singolarità della richiesta e alle difficoltà per esaudirla, ma piuttosto all'idea fantastica e fantasiosa, promessa di evasione gratuita e felice dal grigiore quotidiano.
A.Ferrin
modena, 21/12/2017


lunedì 18 dicembre 2017

PREDICOZZI

                                                               PREDICOZZI


Mi riferisco ai predicozzi con i quali Bergoglio, al di la delle sue migliori intenzioni, fa semplice catechismo, cosa che ha sempre fatto ogni buon prete di campagna, come il vecchio parroco della mia infanzia: era brutto ma simpatico, con un abito talare liso dall'uso prolungato, quasi non possedesse una tonaca di ricambio; era povero, bofonchiava quando parlava ma era certamente di grande bontà.
Anche Papa Luciani nel suo breve pontificato cominciò con l'esercizio di una piccola, semplice catechesi a portata di bambini, ma subito i Cardinaloni si scandalizzarono: un Papa non poteva, non
doveva parlare così semplicemente, con parole così povere, e forse anche per questo cominciò la sua
parabola discendente che lo condusse a morte dopo soli trenta giorni.
Bergoglio invece pratica la sua spicciola catechesi con una perseveranza degna di miglior causa, e la sua ripetitività diventa retorica: ha appreso e mette in pratica poche, furbesche regole basilari della
comunicazione utile sopratutto con il popolo dei semplici e ingenui fedeli ai quali mostra l'immagine rassicurante di padre accogliente, e Dio sa se il popolo desideri avere un padre così: la sua regola basilare è di ripetere le stesse parole all'infinito come litanie e giaculatorie, veri e propri mantra utili per la meditazione alla stregua di quanto fanno i seguaci di molte altre religioni, e nel caso, il tutto è condito da baci e abbracci dispensati a piene mani a bambini e giovani, con buona pace dei pistolotti anti pedofilia.
Tutta altra faccia ha il Bergoglio politico: possiede la determinazione e la presunzione dei Gesuiti che ritengono di essere "defensor fidei", quasi depositari della verità, i più vicini a Dio, con l'ambizione di
svecchiare teologia e dottrina e per di più con la sottigliezza, ambiguità e rigidità tutta spagnolesca dei sudamericani, in realtà penso che i Gesuiti, più che uomini di fede, siano sempre stati e siano i legulei della dottrina cattolica.
Pertanto, a dispetto della sua catechesi buona per il popolino, la politica ufficiale della chiesa contraddice il buonismo e gli "strilli" propagandistici in essa contenuti, e persegue un disegno coerente per la conservazione del potere economico e ideologico fortemente minacciato dalla laicità sempre più invasiva della società moderna.
Infine, non vorrei si pensasse che nutro un viscerale pregiudizio e una personale e forse ingiustificata antipatia per questo papa, ma se questa è l'apparenza, così non è!
A.Ferrin
modena, 18/12/2017

ITALIANI

                                                                      ITALIANI 


Guarda caso, come accaduto in passato, i periodi delle festività natalizie, ferragostane e dei molti
"ponti", sembra siano i più propizi per mettere in atto gesti o consentire clamorosi"fatti compiuti" da parte del Potere, o dei poteri di varia natura che confidano nella distrazione dei Cittadini occupati dai
problemi quotidiani e che saltuariamente cercano di evadere dalla realtà.
E' accaduto in questi giorni con la traslazione in Piemonte delle spoglie della Regina Elena di Savoia
e del Re Vittorio Emanuele III di Savoia: il tutto nel silenzio del Governo e di ogni altra autorità.
Gli Italiani hanno appreso dei fatti da un oscuro Rettore del Santuario che così, surrogando funzioni  proprie dei pubblici poteri, ha rivelato che sì, tutto era già disposto per accogliere i resti degli ex Reali d'Italia.
Per carità di Patria (ma perché poi?), mi astengo da giudizi troppo netti anche se giustificati; d'altra
parte non potrei eguagliare in efficacia il Pasolini "Eretico e Corsaro".
Altro discorso sono le reazioni che da favorevoli e contrari sono intervenuti sulla vicenda: gli ipocriti
sono sempre in prima linea: i sedicenti democratici, quelli che hanno "avuto ragione"e hanno vinto,
quelli rivoluzionari in panciolle, gli eterni "partigiani", gli ebrei e il loro endemico vittimismo e infine
conformisti e codini.
Continuo a ritenere segni di civiltà la capacità di comprendere e perdonare, nonché il rifiuto di ogni
dogmatismo e manicheismo.
A. Ferrin
modena,18/12/2017

mercoledì 13 dicembre 2017

PAPAI

                                                                         


Fiocca la neve
sul borgo
della valle
sul poggiolo
ventoso
il lavatoio
e la fontana
Nel cortile muto
tutto tace
la casa è in sonno
dormono i miao
come gomitoli
nel cesto
Le bimbe
assopite
mentre Papai
già  libera
il cammino.

A.Ferrin
13/12/2017

domenica 10 dicembre 2017

9 Dicembre

                                                                        9 Dicembre



E' il giorno del mio compleanno: niente di sensazionale, mi capita tutti gli anni da 75 anni!                  Mi soffermo sul numero e sono sgomento, 75? Così tanti e non me ne sono accorto? Si, è come se non mi fossi accorto del trascorrere del tempo, delle traversie, di gioie e dolori, di avventure e rovesci che hanno costellato la mia esistenza.
Molte cose non le ricordo e questa perdita di memoria è provvidenziale perché gli esperti affermano
che la memoria non può trattenere tutto, pena essere preda della confusione mentale e quindi della pazzia.
Ho avuto con me Annabella e Chiara con Salvatore, e dopo pranzo ci siamo collegati "via Skype" con
Maurizio in Val d'ossola: lui, Alessandra e le bambine sono nella nuova casa a Ponte Maglio.
Sono evidentemente felici e le bambine sono eccitate perché hanno accolto in casa due gattini orfanelli; Lara e Lea mostrano tutta lo loro vitalità, Lara più controllata, e Lea un vero ciclone.
Nel pomeriggio inoltrato mi sono recato in via Scudari per visitare la mostra della Galleria di BPER
che espone opere del Sei Settecento di Pittori che hanno gravitato presso gli Estensi di Ferrara e Modena, opere che appartengono alla Banca della Città.
Io sono stato più volte nella sede cittadina della Banca ma non avevo notato un grande pannello su cui è stato riportato un bel mosaico romano del I° secolo d.c., rinvenuto negli anni '50 durante gli scavi delle fondamenta per la costruzione della nuova sede bancaria.
All'uscita dalla Galleria mi è stato donato, come a tutti i visitatori, un bel catalogo illustrato con la
riproduzione delle tele esposte.
Un dono gradito, come fosse un regalo di compleanno.
Questa mattina invece sono uscito di casa per acquistare il quotidiano e, in prossimità del mercato
Albinelli, ho fatto capolino nella chiesa di S.Bartolomeo dove, come di consueto, era in corso la Messa domenicale di rito Ortodosso a beneficio dei molti suoi fedeli che abitano a Modena;
non è la prima volta che vi assisto: mi piace la partecipazione corale dei fedeli, ovviamente non capivo una sola parola perché sono rumeni, ma i cori sono molto belli e armoniosi.
Con mia grande sorpresa, nella navata laterale ho notato una suora non molto alta ma larga così
come un altare, con abito talare e il capo fasciato di bianco e nero; ho creduto che fosse una suora
ortodossa, ma lei sorridente mi ha detto di essere cattolica, e che la ragione della sua presenza era
dettata dalla stessa mia motivazione: assistere a un rito antico già appartenuto anche ai cattolici e che ora la modernità ha snaturato.
Infine, a sera, Marcello mi ha invitato a casa sua per assaggiare la famosa focaccia di Teresa, ma come sempre, per i meridionali, "assaggiare la focaccia" vuol dire trovare la tavola ricca di tanti piccoli assaggi di contorni con salumi e formaggi, con dolce, frutta e l'immancabile Primitivo,
il loro vino pugliese, il tutto coronato da limoncello e caffè.
Ho constatato ancora una volta come per Marcello e Teresa la cucina e la tavola siano parte di un vero rito orgiastico, ovvero il piacere di degustare lentamente, ma molto lentamente, tutto ciò che offre la casa.
A.Ferrin
Modena, 10/12/2017



martedì 5 dicembre 2017

LUCI

                                                                          LUCI

Luci tremule
mille colori
da brume autunnali
piovono sulla folla
tra bagattelle
assorta
Fanciulli stupiti
grandi forzati
ondeggiano e vagano
ora di qua ora di la                                     
sotto ghirlande
e disegni fugaci.
I piccoli saltellano
tra zimbelli
con  strepiti
lampi di gioia
Tornano al letto
di semplici sogni
ignari del futuro
paghi di vivere
I grandi frugano
l'antica forza
svelando un deserto
senza orizzonte.
Lentamente
la notte divora luci
sempre più fioche
quasi spaurite
che il suo manto
nasconde
Nelle vie deserte
ombre furtive
si affrettano
fuggitive, attente
alla breve
felicità.

A.Ferrin
modena, 5/12/17


lunedì 27 novembre 2017

La ragazza nella nebbia

                                                      LA RAGAZZA NELLA NEBBIA


Ieri sera ho visto il film di Carrisi, ma ho lasciato la sala dopo 40 minuti, e questo è il peggiore difetto
di un'opera che vuole essere giallo/noir: non tenere incollato alla poltrona uno spettatore pur pieno di buona volontà.
Può darsi che il libro dello stesso Carrisi sia migliore del film da cui è tratto, ma voglio resistere alla
tentazione di correre ad acquistare il libro per accertarmene, infatti ho notato che molti spettatori, non avendone compreso trama e finale, sono intenzionati a recarsi in libreria.
D'altra parte, molti "gialli" avvincono lo spettatore nella misura in cui questi non capisce ed è in attesa di una spiegazione e di un finale che sia plausibile, ma il finale il più delle volte delude.
Perché gli artisti non si accontentano? Carrisi vende molto bene i suoi libri, perché vuole cimentarsi
anche nella regia?
Circa la sceneggiatura e la recitazione, la sceneggiatura, con rimandi e riferimenti a opere più originali vuole dissipare la nebbia che invece, sempre più invasiva, nasconde l'intreccio della vicenda anche fuorviando l'incolpevole spettatore con gli abituali "trucchi del mestiere".
E la recitazione? Affettata, innaturale; nelle recensioni si leggono i soliti complimenti a Servillo,  vera statua di marmo sulla scena, mentre Jean Reno, più carismatico, è sacrificato in un ruolo poco credibile in cui lo psichiatra(Reno) parla con spiccato accento francese in un paesino dell'Alto Adige, Avenchot. Mah!
A. Ferrin
modena, 27/11/2017

giovedì 23 novembre 2017

Il Quadrato

                         
                                                                   IL QUADRATO

Il "quadrato", il ring del pugile, è lo spazio metaforico della vita, della nostra vita, di quella dei nostri simili, della vita di ogni essere vivente, uno spazio in cui, prendendo a prestito la terminologia del pugilato, lottiamo per prevalere e, più o meno consapevolmente, sappiamo che ci saranno un vincitore e un perdente, ma ignoriamo chi, come, quando, ma sopratutto facciamo finta di non sapere che tutti, ma tutti, abbiamo nel nostro destino la fine ineluttabile.       
Questa incoscienza è propiziata dalla natura che così consente all'umanità di vivere quanto basta per
garantire la sopravvivenza della specie; se non fosse così perché l'uomo e la donna dovrebbero vivere? Forse per essere testimoni impotenti della propria decadenza in attesa della fine?
Se così fosse il Dio o gli Dei creatori ( ammesso che esistano) avrebbero ordito un disegno crudele a nostro danno o, più semplicemente, un disegno imperscrutabile per la nostra mente.
E in attesa di un epilogo che ci è ignoto dobbiamo stare nel quadrato, lottare senza tregua perché per noi la lotta è vita e, come Sisifo, siamo condannati alla fatica di vivere.
Questa mia visione della vita e del mondo è ovviamente pessimista, ossia nichilista, ma quale è l'alternativa? A mio parere l'alternativa risiede in ogni filosofia consolatoria, religiosa o razionale, che
ci consenta di intravedere un fine accettabile e sostenibile nella nostra storia e in quella universale.      Evidentemente siamo alle prese con misteri impenetrabili che ci disorientano, nebulose in cui vorremmo avventurarci senza dovere accettare (pur sapendo che umanamente ci converrebbe farlo)
verità e teorie "rivelate", facili e di comodo.
A questo proposito è molto bello l'apologo di S.Agostino, del bambino che in riva al mare vuole
travasare il mare nella sua piccola buca ricavata nella sabbia: Agostino sorride dell'ingenuità e
ardire del bimbo e afferma l'impossibilità che l'immenso mare possa essere contenuto nella buca.
Il piccolo lo osserva perplesso, poi: "forse hai ragione Agostino, ma sappi che è più facile per me travasare tutto il mare in questa buca che per la tua mente scorgere i confini dell'amore di Dio".
E' questa la fede? E' questo lo stupore e sbigottimento che provoca il mistero?
A.Ferrin
modena 23/11/2017

mercoledì 15 novembre 2017

Lo scippo

                                                                     LO SCIPPO


Dacia Maraini ha subito lo scippo della borsetta a Roma, e non capisce perché! Stupisce per la violenza e delinquenza giovanile, e non capisce!
La grande scrittrice non capisce ma coglie l'occasione per produrre il pezzo di colore sul fatto e che
il suo giornale pubblica affiancando la pubblicità di uno dei suoi libri, il tutto corredato dalla sua
immagine ieratica e datata: tutto fa spot...
I giovani delinquono e la Maraini non capisce, ma certamente lei e i reggitori del Corriere sono senza
pudore.
A.Ferrin
modena, 15/11/1017

lunedì 13 novembre 2017

Lara e Lea

Lara e Lea

A larghe falde
danzando
la neve imbianca
rami spogli
tremanti sopra
grumi di zolle
ferrigne
Si posa la coltre
sul tetto
dove sognano                                         
piccole donne
al tepore                                                     
di braci ardenti.                                   

A.Ferrin
modena, 13/11/2017


domenica 12 novembre 2017

Doppia morale

                                                               DOPPIA MORALE




Un Parroco di Bologna, poco cristianamente, direi piuttosto commettendo una mascalzonata, ha infierito pesantemente sulla minorenne vittima di uno stupro alla Stazione ferroviaria.
La ragazza è stata imprudente, troppo fiduciosa negli altri, ignara dei pericoli diffusi nella grande città, forse non sufficientemente edotta circa le cose della vita, tutto vero, ma è vittima di un uomo che commette il reato, un uomo a sua volta privo degli stessi strumenti culturali e dei freni inibitori.
Ma che ci azzecca il prete con il suo predicozzo in questa circostanza? Il suo è un'intervento volgare
e solamente ipocrita, infatti dovrebbe essere più attento a quanto accade nella Chiesa, ai chierichetti
che denunciano le molestie sessuali subite negli ambienti ecclesiastici, alle reticenze e resistenze della Chiesa a espellere ( non solo trasferire) i responsabili.
E' singolare che il Parroco (e la Chiesa) si "straccino le vesti" scandalizzati della violenza sulla donna colpevolizzando però prima lei e poi il violentatore.
Fra l'altro vedo in tutto ciò l'antica misoginia diffusa nella cultura del mondo clericale.

A Ferrin
modena, 12/11/2017

giovedì 9 novembre 2017

Duole l'anima

                                                                 DUOLE L'ANIMA


Duole l'anima
ribelle al cielo
livido e muto
senza lucciole
colmo di stelle
stremate

Scintilla vaga
balugina
così vicina
tendi la mano
per coglierla come
fiore gentile.

Non illuderti
ingannano le stelle
come gli uomini
ammira e stupisci
dell'attimo
di luce e fulgore.


A. Ferrin
modena, 09/11/2017


giovedì 2 novembre 2017

Una questione privata

                                                             Una questione privata


E' l'ultimo film dei fratelli Taviani: si sono ispirati al romanzo omonimo di Beppe Fenoglio che narra un episodio della guerra partigiana in cui la guerriglia fra nazifascisti e partigiani contiene la storia d'amore solo accennata tra due giovani, il partigiano e la giovane di buona famiglia, sui quali incombe il terzo incomodo, il loro amico comune.
Il tutto è velato e reso indistinto, come lo è il paesaggio della montagna, dalle nebbie che avvolgono la macchia, rifugio dei fuggiaschi e terreno di caccia all'uomo per i fascisti.
Come di consueto, c'è una critica militante in s.p.e., sic et sempliciter acritica dell'antifascismo che, a
oltre 70 anni dai fatti, è incapace di storicizzare, di guardare con distacco e spirito di umanità alle
tragedie storiche.
La mia impressione è confermata dall'intervista concessa da uno dei Taviani alla presentazione del
film; nelle sue parole c'è odio e ancora odio per gli "scarafaggi", come sono definiti i fascisti dai
partigiani, e questo rappresenta il pericolo che queste vicende storiche, anche le più truci, possano
ripetersi.
A.Ferrin
modena, 02/11/2017


sabato 28 ottobre 2017

OTTOBRE

                                                                       OTTOBRE
                                                  I dieci giorni che sconvolsero il mondo


Mi riferisco ovviamente a Ottobre del '17: ho rivisto il film al Truffaut, film muto, colonna
sonora dal vivo con pianoforte e chitarra; Eizenstein ha girato la pellicola nel '28 ispirandosi al
libro scritto dal giornalista americano John Reed, testimone dei fatti che portarono alla caduta
dell'Impero zarista e all'avvento del comunismo.
Il film, commissionato dal Partito Comunista sovietico per commemorare il decennale della rivolta,
ha un carattere apologetico e ciò è comprensibile: i fatti erano di un'eccezionalità e importanza
assoluta paragonabile in grandezza alla rivoluzione francese, e infatti Eizenstein riesce nell'impresa
di restituire l'atmosfera, la tensione emotiva, gli ideali che motivavano il popolo sceso nelle strade.
E' vero che il regista ha riportato sul set di ripresa masse di volontari che si sono prestati a replicare fatti accaduti dieci anni prima, ma lo ha fatto con un realismo, un pathos coinvolgente e un'incisività
ancora commovente. Si rivede l'incrociatore Aurora alla fonda davanti al Palazzo d'Inverno a San Pietroburgo, le masse che invadono i Palazzi del potere e vi bivaccano, o le masse protagoniste di scene in cui freneticamente percorrono le grandi vie della Capitale e i primi piani di uomini e donne, con i volti scolpiti dall'eccitazione e dalla tensione, volti che trasmettono il dramma di un popolo felice e consapevole di vivere una pagina di storia irripetibile: infatti quelle vicende scaturirono da un crogiolo sociale e ideologico che produsse ideali e speranze di una società più libera e giusta, e in cui l'utopia e la realizzazione di una società comunista sembrò essere a portata di mano.
Come tutte le rivoluzioni, quella sovietica rimase incompiuta o tradita, e tuttavia, fra errori ed eccessi, mostrò la potenza delle idee come motore del cambiamento
Eizenstein ha diretto anche "La corazzata Potemkin", il film definito da Fantozzi una "cagata pazzesca", accettabile in quanto battuta di un film comico, ma in verità i due film sono di valore
assoluto, vere opere d'arte.
A. Ferrin
modena, 26/10/2017





lunedì 23 ottobre 2017

IL PALAZZO DEL VICERE'

                                                           IL PALAZZO DEL VICERE'

E' un film inglese e narra la fine del dominio inglese sull'India, e quindi i mesi di transizione guidati
dall'ultimo Viceré inglese Lord Mountbatten. Sotto traccia c'è la storia sentimentale fra una ragazza di
etnia indu e un ragazzo di etnia musulmana, e in primo piano la separazione traumatica dei due popoli alla partenza degli Inglesi.
La narrazione storica è sommaria ma rende l'immagine di un Paese che si affaccia all'indipendenza
lacerato tra violenze, sofferenze e migrazioni forzate; il sogno di molti Indù, Sikh e Musulmani era di
conservare l'integrità indiana in uno Stato multietnico e inter religioso, ma estremisti di ogni fede e le
interferenze delle grandi potenze fecero sì che anche gli sforzi di Gandhi furono vani, e così i Grandi (leggi Unione Sovietica e U.S.A) decisero per tutti: nacquero India e Pakistan, comprendente la regione del Bangladesh che, a sua volta, negli anni avrebbe scelto l'indipendenza dal Pakistan.
Il tutto passa sopra la testa del Viceré e di sua moglie idealisti ma forse un poco ingenui che fungono da esecutori di disegni altrui.
Bello il film nel complesso: a tratti, ambientazione sfarzosa, musica e scene, evocano Bollywood, ma il film è inglese, misurato e discreto nella recitazione.
Fra gli attori preferisco Gillian Anderson, moglie del Viceré e il Gandhi sdentato ma credibile.

A.Ferrin
modena 23/10/2017

domenica 22 ottobre 2017

Fango e cenere, che hai da gloriarti?


         
                                               "Fango e cenere, che hai da gloriarti?"                                             
                                                                         (Saggi)

Dai testi filosofici e sacri più antichi riecheggia sempre il concetto che vuole rammentare all'uomo la sua natura di animale, di essere parte degli esseri viventi, e non il dominus, e pertanto sono ingiustificate la sua superbia, l'arroganza e il delirio di onnipotenza che vuole esercitare sulla natura.
D'altra parte basta osservare composizione della materia, fisica, chimica e i fenomeni relativi,
per comprendere che tutto è immerso in un infinito calderone, che noi siamo irrilevanti e semplici
accidenti fortuiti di processi che sfuggono alla nostra percezione e comprensione, ed è sufficiente esaminare il nostro organismo e le funzioni di ogni essere vivente del mondo animale e vegetale,
nonché la genesi della materia, di terra e universo intero, conosciuto e sconosciuto, per constatare che alla base di tutto vi sono meccanismi comuni che si ripetono invariati e all'infinito. 
Ne consegue che l'intero universo, con le sue incalcolabili galassie, può essere assimilato a un immenso organismo che ingurgita, rigurgita, trasforma e sublima, crea, ricrea e moltiplica elementi e materia all'infinito.
Solo grazie allo sviluppo eccezionale del nostro cervello, noi uomini abbiamo potuto cadere preda
dell'orgoglio e ritenerci simili a Dio ( qualsiasi cosa rappresenti questa entità per tutti noi).
La stessa evoluzione del pensiero ha condotto dalla scatologia alla escatologia; ricordo molto bene
la mia prima lezione di chimica in cui il prof. ci spiegò cos'è la chimica, esemplificando così lo schema del processo chimico: un grande recipiente contenente materie prime(carburanti) con additivi e catalizzatori, calore, vapore, distillazione, cristallizzazione, produzione di energia e scorie da
eliminare o riutilizzare.; in altri termini, tutto ciò che vive si può assimilare al "tubo digerente.
Paradossalmente tutto, dagli organismi più semplici ai più complessi, e così anche l'universo sono
soggetti a questi meccanismi che, con sgomento, possiamo definire anche banali; ma accade anche
che questa "banale" verità sia spesso omessa o rimossa.
Come spiegare altrimenti che i termini legati alle funzioni fisiologiche (scatologiche) degli umani e gli organi sessuali, le così dette "vergogne", deputati alla riproduzione, siano relegati fra le parole interdette, parole che non è opportuno pronunciare, se non utilizzando eufemismi.
A mio parere, ciò è dovuto alla "cultura", alle sovrastrutture e stratificazioni create nel processo evolutivo umano, cultura mediante la quale gli uomini hanno inteso e vogliono nobilitare le proprie origini, come fanno quelli che, emancipati e arricchiti, si vergognano dei propri natali e invano cercano di cambiare o cancellarne il retaggio.
A.Ferrin
modena,21/10/2017

giovedì 19 ottobre 2017

LA SPOSA INFEDELE

 La sposa infedele
 (poesia di Federico Garcia Lorca)

E io la portai al fiume
credendo che fosse ragazza,
e invece aveva marito.

Fu nella notte di San Giacomo
e quasi per impegno
Si spensero i lampioni
e si accesero i grilli.
Agli ultimi angoli
toccai i suoi seni addormentati,
e mi si aprirono a un tratto
come mazzi di giacinti.
L'amido della sua gonna
mi frusciava nell'orecchio,
come una pezza di seta
lacerata da mille coltelli.
Senza luce d'argento sulle chiome
gli alberi sono cresciuti
e un orizzonte di cani
latra lontano dal fiume.

Passati i rovi di more,
i giunchi e i biancospini,
sotto il suo cespuglio di capelli
ho fatto una buca nella fanghiglia.
Io mi sono tolto la cravatta.
Lei il vestito
Io il cinturone e la pistola
Lei i suoi quattro corpetti.
Né i nardi né le conchiglie
hanno pelle così fine,
né i cristalli alla luna
risplendono di tanta luce
Le sue cosce mi sfuggivano
come pesci sorpresi,
metà pieni di fuoco
metà pieni di freddo.
Quella notte ho percorso
il migliore dei cammini,
in sella a una puledra di madreperla
senza briglie e senza staffe.
Non voglio dire, da uomo,
le cose che lei mi disse.
La luce della ragione
mi fa essere molto discreto.
Sporca di baci e di sabbia
me la portai via dal fiume.
Nell'aria battevano tra loro
le spade degli iris.

Mi sono comportato da quello che sono.
Da vero gitano.
Le ho regalato un cesto grande
di raso paglierino,
e non mi sono innamorato
perché, avendo marito
mi disse che era ragazza
mentre la portavo al fiume.

( da Romancero gitano)
         1935/36                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

mercoledì 18 ottobre 2017

ALDINA

                                                                          ALDINA


L'Aldina è una vecchia Trattoria in via Albinelli a Modena, fronteggia l'ingresso dell' omonimo mercato coperto: è posta al primo piano alla sommità di una scala ripida, inaccessibile ai portatori di Handicap, o "diversamente abili" come ora sono definiti.
Spesso, quando attraverso il quartiere del mercato, noto l'insegna della trattoria che richiama alla memoria un'altra Aldina, l'Aldina della mia fanciullezza.
Era la mamma di Maurizio, un compagno di giochi e abitavamo con le nostre famiglie a Ferrara nel quartiere dell'Arginone, attraversato e limitato dal Canal Bianco da un lato, da campi coltivati e dai
binari della Bologna Ferrara negli altri, e il tutto creava il Borgo di periferia con cortili e strade bianche, divenuto il mondo di noi bambini.
L'Aldina era la tipica donna emiliana, la rezdora, mamma di Maurizio, ma anche di tutti noi suoi compagni di gioco: era paziente e accogliente, sempre sorridente; impegnata con Checco suo marito nella conduzione del forno dove panificavano, nella salumeria e drogheria, nonché nell'allevamento
di polli e conigli, infine tenevano un piccolo allevamento di maiali per ricavarne i salumi.
Insomma era una piccola azienda integrata, si direbbe ora a ciclo completo, un piccolo precursore
dei futuri supermercati.
Ma ora, tralasciando i ricordi, si entra nella sala da pranzo e ci si trova subito immersi in un'atmosfera familiare, quasi un ritorno al passato, fra aromi e profumi d'altri tempi, di piatti spesso soppiantati dalle rivisitazioni culinarie di sedicenti grandi chef che si ispirano a cucine esotiche e a mille altre
definizioni di cucine sperimentali legate alle mode del momento.
Qui invece è un ritorno alle origini, a una cucina nella quale domina la peculiarità del territorio, le sue
tradizioni e la cultura di cui è permeato, e qui il profumo diffuso di ragù emiliano mi riporta in grandi
case di contadini, famiglie patriarcali che alla domenica si ritrovavano unite attorno al grande tavolo
sul quale, da capaci recipienti di terracotta o ceramica fumavano "montagne di tagliatelle gialle".
L'ambiente è informale, con tavoli e sedie semplici, tovaglie e tovaglioli bianchi in un insieme componibile secondo il numero degli avventori che vi affluiscono a frotte e, chissà perché, nella pausa di mezzogiorno.
L'oste è al banco di mescita da dove sovrintende al servizio, attento a dirottare i clienti solitari ai tavoli più piccoli, dove condividono lo spazio con altri commensali facendo di necessità virtù e, per incanto, questi sconosciuti conversano, parlano del proprio lavoro, dei piccoli fatti e aneddoti che  hanno vissuto nel loro girovagare per strade affollate dal traffico convulso e fragoroso.
Ma infine ci si rilassa anche nel vociare confuso, fra il calpestio delle cameriere che come funamboli si destreggiano tra i tavoli, cameriere molto efficienti e anche di bell'aspetto, il che non guasta, e con grazia ti propongono lasagne o tagliatelle, tortellini o tortelloni (rigorosamente di loro produzione), il
bollito misto e lo stinco di maiale, con la parmigiana e la caponata, il tutto bagnato con un bicchiere di grasparossa o sangiovese.
In fondo, donne o uomini, abbiamo poche pretese: un poco di pace, il contatto umano con i nostri simili e un cibo possibilmente ancora genuino.

A. Ferrin
modena,18/10/2017


lunedì 9 ottobre 2017

AMMORE & MALAVITA


                                                            AMMORE&MALAVITA



Non sono un grande estimatore dei film musicali, mi annoio anche con le Opere liriche, e pertanto
ricordo solo pochi musical: West Side Story e Jesus Christ Superstar.
Ciò spiega perché mi sono recato con una certa perplessità (ma a torto) nel cinema Astra per assistere al nuovo film dei Fratelli Manetti: Ammore e Malavita, film molto bello per la musica e i testi in cui
tutto si amalgama alla perfezione nell'incomparabile panorama della Napoli popolare, della "Spaccanapoli" dei quartieri più poveri, fra il grottesco e l'arguzia che nascono copiosi nelle strade,
dove tutti sembra che recitino, e invece sono solo "se stessi".
E' un'esplosione di suoni e colori che addolcisce e alleggerisce anche i fatti di sangue più truci: è
la vita che esplode, piange e gioisce anche nel lutto, e gli attori caricaturisti drammatizzano ed enfatizzano all'estremo il proprio ruolo, ma senza forzature, vale a dire "napoletanamente".
Chi ha visitato Napoli e ha visto la sua vita scorrere nelle strade e nei suoi vicoli, fra i Bassi e le
scalinate, riconosce quelle atmosfere piene di sentori e suoni provenienti da mare e monti.
E i veri napoletani vi si muovono con disinvoltura, con le loro facce antiche che sembrano ignare di
essere al centro dell'attenzione, di calcare con distacco e saggezza le tavole di un palcoscenico.
E la musica ? E' il corollario naturale di una città di suoni e armonie.

A. Ferrin
Modena, 08/10/2017

domenica 1 ottobre 2017

L'INGANNO

                                                                     L'INGANNO

Ieri sera  ho visto "l'Inganno", ultimo film di Sofia Coppola con Colin Farrel, Nicol Kidman, Kirsten
Durst; ambientato durante la guerra di Secessione in U.S.A, a mio parere è emblematico della società
esistente nel profondo Sud del tempo, ma soprattutto della psicologia femminile di ogni tempo.
Gli elementi determinanti nella vicenda sono come sempre i sentimenti: amore gelosia possesso; nella
storia narrata, un soldato Nordista, ferito e disperso nelle retrovie Sudiste, è soccorso da alcune ragazze e ospitato nel loro Convitto, dove è curato e circondato di attenzioni.
Nella situazione si sovrappongono e intrecciano la curiosità delle donne per il giovane uomo che, a sua volta, non è insensibile al fascino femminile.
Le ragazze, compresa la Direttrice, già prese da romantici voli di fantasia, sono anche preda della gelosia e piene di aspettative, mentre il soldato si illude di potere disporre a suo piacere di un intero
gineceo, ma l'illusione dura poco: le donne sanno essere tanto amorose quanto spietate quando devono difendere il loro orticello.
Allora scatta la molla della solidarietà fra le donne, una solidarietà secondo me sconosciuta fra gli
uomini: con lucidità e determinazione, quasi con grazia e apparentemente senza grandi turbamenti, programmano la soppressione dell'uomo ormai nemico di tutte, la ragazza più giovane, forse la più
innocente, si presta a scegliere e cogliere i funghi più velenosi da servire al soldato nell'ultima,
sontuosa cena.
Il tutto in un'atmosfera rilassata, alla luce tenue delle candele, con le donne compite e agghindate per l'occasione.
A. Ferrin
modena, 01/10/2017


mercoledì 27 settembre 2017

PAUSA

                                                                         PAUSA




La notò subito entrando nel ristorantino, all'apparenza stracolmo di avventori: era sola, seduta a un tavolo per due; nel vociare confuso si intrufolò fra i tavoli indeciso dove dirigersi, ma notò che non c'era una grande scelta: un posto a sedere era a un tavolo da sei, un'altro a un tavolo con un solo commensale, ma isolato in un angolo, e addossato a una grande finestra esposta al sole caldo di un settembre ancora estivo.
Infine facendo appello al coraggio si diresse al tavolo della donna sola, e indicando la sedia libera le
chiese se poteva accomodarsi, lei annuì con un "prego" e un sorriso di circostanza, lui gli porse la mano e si presentò.
Il locale consisteva in un cubo di vetro e acciaio, unito all'adiacente stazione di servizio carburanti da una tettoia lunga e stretta e il tutto creava un'isola autonoma comprendente il parcheggio auto; l'uomo
osservò con circospezione la sala, gli avventori, l'andirivieni delle cameriere, lesse la lista del giorno,
si alzò, si diresse al tavolo zeppo di verdure e contorni vari di cui servirsi, e ritornò al suo posto.
Notò che la donna gli indirizzava sguardi rapidi e discreti; egli, a sua volta, aveva già notato di lei fisico e abbigliamento, espressione del viso e gli occhi, occhi grandi, e il tutto senza trucco, quello che si dice acqua e sapone, e pensò ciò che probabilmente aveva sempre creduto, che una bella donna non necessita di belletti.
Posò il piatto di portata con il misto di contorni davanti a sé e, in attesa della cameriera, cominciò a piluccare le verdure grigliate mentre la commensale si sbizzarriva con un Cellulare di ultima generazione, una di quelle macchinette infernali ormai diventate protesi e surrogati nelle relazioni umane rendendole spesso impersonali e alienanti.
L'uomo possedeva un cellulare antidiluviano, utile per fare e ricevere telefonate, funzione sufficiente
per le sue necessità e, incuriosito dall'armeggiare della donna, le chiese se il suo apparecchio fosse
uno Smart Phone, no rispose, è un I Phone, l'ultimo della Apple ma, intuendo la perplessità
dell'uomo, quasi per giustificarsi, aggiunse di essere architetto e di utilizzare la pausa per continuare a lavorare.
Si è laureata a Ferrara dove abita da anni e collabora con l'Università di quella città, è infatti a Modena per una ricerca nell'Archivio di Stato.
Anche l'uomo era ferrarese, e ciò fece da spunto per un dialogo su Ferrara, le sue bellezze, la sua storia: era anche il pretesto più opportuno per alimentare una conversazione su argomenti di interesse
comune superando l'imbarazzo inevitabile in simili circostanze; d'altra parte questi incontri casuali sono possibili in locali frequentati da giovani, studenti e operai delle aziende vicine, locali informali dove uomini e donne si salutano, conversano, si passano olio e sale, e dove l'oste interviene per invitare a condividere il vino già in tavola, e tutti sanno che al termine del pranzo lo stesso oste non sarà fiscale né esoso.
La donna, avrà 30 anni circa, ha nome Sara: è un nome ebreo, dice lui, e lei, ma gli ebrei scrivono Sarah con l'acca finale, allora parlano di Ebrei, del Ghetto e lei mostra di conoscere bene il quartiere
dell'antico Ghetto, e infatti abita proprio nel Ghetto, fra Vignatagliata e via Vittoria (ex via Gatta Marcia) dietro l'Oratorio di S.Crispino dove gli Ebrei del tempo erano obbligati a seguire cerimonie e
funzioni della Chiesa.
E mentre lei parla, l'uomo la guarda e ne osserva il viso sereno, tutta presa dal suo racconto:
ha l'espressione di chi vuole essere convinta e convincente, ma lui ha voglia di leggerezza, e le chiede
provocandola: sa cosa è l'Addizione Erculea? Lei risponde con uno sguardo di incredulità mista a       tolleranza: ma io sono architetto, e mi sono laureata a Ferrara! E i due ridono fragorosamente.
La conversazione riprende in tono più serioso: l'uomo e la donna hanno convenuto di darsi del tu a dispetto della evidente, marcata differenza di età, e l'uomo, mentre cerca di dissimulare la propria        ammirazione per la donna che gli appare sempre più bella, è colto dal dubbio che l'età matura, i matrimoni non gli abbiano rivelato il mistero della donna, del suo insondabile universo: cioè di una donna idealizzata come assoluto oggetto di desiderio, quasi essere angelicato e invece, molto più
realisticamente, proiezione e frutto di desideri e aspettative propri dell'immaginario maschile.
Ma l'uomo infine, accomiatandosi da Sara, pensò all'inutilità di indugiare in rovelli mentali, e invece prendere atto di una semplice verità: donne e uomini, a dispetto delle diverse sensibilità, e nonostante la conflittualità sempre in agguato, non possono che obbedire alle leggi della natura.
A.Ferrin
modena, 27/9/2017


mercoledì 13 settembre 2017

OCRA E RUGGINE


Ocra e Ruggine

Improvvisa
dolce afasia
lontani da cose
realtà ostili
ignote
natura spoglia
ormai
cadono foglie
ocra e ruggine
sul tuo viso
assente

A.Ferrin
modena, 13/9/2017

lunedì 11 settembre 2017

ULTIME NOTIZIE

                                                                    ULTIME NOTIZIE




URAGANI:
I mezzi di comunicazione italiani da giorni ci "martellano" con gli uragani nel Nuovo mondo che sono sempre imprevedibili e veramente distruttivi, e la televisione mostra i danni procurati nelle Antille e nei Caraibi, dove è chiaro che i Paesi più poveri sono quelli che pagano più duramente, cioè
dove "piove sul bagnato".
Invece gli stessi uragani, siano Catrina o Irma", in procinto di abbattersi sulle coste meridionali degli USA, trovano una popolazione affluente che, avendone i mezzi, provvede a proteggere le proprie case con materiali che ben si nota essere nuovi e adeguati, e in ogni caso le televisioni non indugiano sulle devastazioni a Cuba e in altre isole.
Ma il più bello, si fa per dire, avviene in Italia dove non gli uragani, ma piogge copiose devastano il
territorio di intere province procurando vittime e ingenti danni, e inizia lo scaricabarile fra le
autorità circa le responsabilità che nessuno vuole, mentre sappiamo che quelle  sono di tutti : prima di tutto riguardano l'incuria del territorio e la negligenza degli amministratori.

L'OCCHIO NERO DI BERGOGLIO
Il Papa in Colombia ha urtato sulla "papamobile" procurandosi un occhio nero, pesto e gonfio, ma
stoicamente ha proseguito il suo programma, mostrando un non comune sprezzo del dolore.
Mi sorprende che il Corriere ne abbia data notizia solo a pagina 21 in uno spazio insignificante. Perché?

IL LETTORE CAPIRA' TUTTO. VE LA SENTITE?
E' il titolo della postfazione al suo nuovo libro pubblicato dal giornalista del Corriere Antonio Ferrari,
che gode appunto del privilegio che il giornale milanese riserva agli scrittori della sua scuderia.
E' la recensione più maldestra, ambigua e ingannevole che io abbia letto!

FINCANTIERI E MACRON
Macron e la Francia hanno vanificato, per il momento, l'iniziativa di Fincantieri di acquisire il controllo dei cantieri di Saint-Nazaire; nulla di nuovo: è il vecchio sciovinismo dei "galletti" che poggia ormai sui residui della vecchia "Grandeur".
Un sorriso: " mutatis mutandis, Dio stramaledica i francesi, dopo gli inglesi".

Modena, 11/9/2017

lunedì 4 settembre 2017

NOTE DI VIAGGIO

                                                                        NOTE DI VIAGGIO



7 Agosto

Sono fermo in autostrada nei pressi di Parma. Nella notte e di primo mattino si sono verificati incidenti in direzione Sud in cui sono stati coinvolti mezzi pesanti che trasportavano maiali vivi, quasi certamente diretti ai salumifici del modenese, la famosa porcopoli italiana.
Gli addetti inseguono nei campi circostanti gli animali che approfittano dell'insperata libertà, e felici
razzolano e grufolano, quasi fossero consci del loro destino, io sorrido e simpatizzo per essi.
L'incidente ha provocato un morto e la perdita di molte bestie le cui carcasse sono sparse sull'asfalto, già da alcune ore l'arteria è bloccata nelle due direzioni di marcia; il caldo è soffocante e temo che il
sole a picco e la vettura ferma provochino un'incendio: la colonna delle auto si perde all'orizzonte
e, come me, decine di automobilisti sono sulla carreggiata, in piedi a osservare lo spettacolo.
Dopo due ore il serpente di macchine si muove lentamente, e ci vorrà almeno un'ora prima che la
circolazione possa tornare alla normalità.
Infine sono a Varzo, all'hotel Sempione. Mi distendo sul letto, ma per combattere il caldo che imperversa anche fra i monti, preferisco entrare nella doccia sotto il getto d'acqua fredda.
Alle 20 sono in una condizione accettabile per raggiungere la Trattoria Derna, e d'altra parte sono affamato e stanco: nella giornata funestata dall'incidente stradale e la fuga dei maiali, dal caldo e dalla sosta forzata, non ho avuto voglia di sostare a un autogrill per rifocillarmi.
In Trattoria mi hanno riconosciuto e ho notato il mio libretto riposto con altri nell'espositore allestito.
L'atmosfera è serena e gli avventori sono quasi tutti stranieri, io scelgo piatti ossolani e sono rinfrancato per il cibo che prendo con un bicchiere di vino Prunet.

8 Agosto
Anche qui a Varzo la notte è afosa, e fatico a prendere sonno; al mattino rimarrò in Valle e domani
scenderò a Domo.
Approfitto della vicinanza al confine elvetico per recarmi alla Frontiera e nel tragitto spero di individuare il sito di Balmalonesca, o almeno di ciò che ne resta, cioè quasi niente.
La Val Divedro, come via di comunicazione fra Italia e Svizzera non riveste l'importanza di un tempo, quando non c'erano Trafori, ferrovie e moderne autostrade, e la vecchia via napoleonica era l'unico collegamento tra il Vallese svizzero e il Piemonte-Lombardia. La Valle è stretta, spesso impervia, ma esercita un fascino particolare riesumando memorie di importanti vicende storiche.
Procedo in macchina fino alla Parrocchiale di Varzo che finalmente è aperta e posso visitarla: ha la pianta romanica di molte chiese in queste valli, ma il loro interno è barocco; questa non ha la bellezza
di quella di Baceno, gli arredi sono più poveri, molti affreschi sono in rovina come gli stucchi, e
prevalgono i segni di abbandono e incuria.
Queste contrade si spopolano sempre di più, il patrimonio edilizio si deteriora e molte case sono
pressoché vuote e munite di cartelli "vendesi".
Le case vecchie, di sasso, sono addossate le une alle altre in vicoli che si arrampicano per pendii
severi, e i muri a secco che seguono tratturi e sentieri si sfaldano ma resistono ancora.
E commuove questa resistenza dell'opera dell'uomo che, sempre meno, frequenta questi luoghi.
Infine mi dirigo al Confine sulla vecchia strada del Sempione risalendo il corso della Diveria
che la fiancheggia.
La valle è sempre più stretta, limitata da pareti rocciose alte e levigate, sono le Gole di Gondo.
Noto che questo confine è una fortezza naturale quasi inespugnabile e, infatti, Napoleone decise la
costruzione della nuova strada di valico perché era problematico fare transitare i suoi cannoni sulla
vecchia!
E tuttavia, nonostante le difficoltà di transito, ancora negli anni precedenti il 2° conflitto mondiale,
gli Svizzeri, spinti dalla politica revanscista mussoliniana, fortificarono il confine: casematte e postazioni sono ancora visibili, incastonate nelle falesie di granito che incombono sulla valle, ma ora sono solo testimonianza delle paure degli uomini da un lato, e delle velleità di altri uomini in preda a deliri di onnipotenza.
In ogni caso non capisco le angosce degli Svizzeri: il Vallese gode di difese naturali costituite dalle
Gole di Gondo, e dalla impervietà della stretta Val Divedro dove il fiume Diveria scorre vorticoso verso la piana ossolana, e infatti il territorio è più adatto alle invasioni da nord, e furono sempre di più le genti svizzere-germaniche a discendere le valli verso l'Italia.


9 Agosto

Dogana di Gondo, la frontiera è praticamente sguarnita: transitano pochi turisti nei due sensi e i frontalieri fanno commercio di piccolo cabotaggio rifornendosi di carburante, sigarette e cioccolato,
ma di qua e di la del confine è evidente il discrimine fra le due realtà nazionali.
In Italia il paesaggio umano e urbano è più dimesso, evidentemente più povero, mentre la Svizzera
mostra subito l'aspetto più nuovo e dinamico di una società affluente e certo più ordinata.
Un tempo queste valli erano italofone, ma da molto tempo sono germanizzate.
Prima della costruzione della strada napoleonica, e prima ancora della Galleria del Sempione, Ginevra era collegata alla Valdossola con una strada non sempre percorribile, quasi una mulattiera,
percorsa anche da diligenze con servizio passeggeri e postale; pioniere di questo servizio fu un facoltoso mercante Vallese che utilizzò con più regolarità il collegamento Ginevra-Italia.
Stockalper, questo il suo nome, fu così potente da acquisire il monopolio del commercio del sale e
altre derrate, nonché il diritto di imporre gabelle sul traffico di confine.
Lascio Varzo e raggiungo la piana di Domodossola, alloggio da Sciolla, il vecchio albergo dove           faccio tappa quando sono in Ossola.
Da quando sono partito da Modena soffro di nausea, pure essendo io a guidare, e allora non ho pranzato, ma questa sera mi riprometto di cenare all'Eurossola: è l'antico Spinoglio ora totalmente
ristrutturato e infatti è moderno e confortevole; negli anni '70 ho pernottato anche nel vecchio Spinoglio quando era già polveroso e quasi cadente, ma ancora caratterizzato dallo stile montanaro,
dal colore grigio-azzurro, decori e fregi su finestre e sotto le grondaie e gli abbaini che spuntavano
dal tetto di beole.
Ora le pareti esterne sono di un rosa intenso, sono scomparsi gli abbaini, e sul tetto, le beole di pietra
serena hanno lasciato il posto a tegole anonime.
Negli anni '70 la mia area di lavoro comprendeva anche il novarese, ma raramente raggiungevo la     Valdossola perché scarsamente produttiva nel mio lavoro; quando lo  facevo era per fare visita ai
miei suoceri, e in ogni caso vi ritornavo volentieri in quanto la Valle era ed è importante nella mia vita: ho sposato una ragazza di Domo e a Premosello è nato Maurizio, il primo dei miei figli.
In attesa del pranzo ho curiosato nel piazzale della Stazione passeggiando tra i molti turisti stranieri
che calano dalla frontiera attirati dalla convenienza economica del nostro mercato.
Domani vedrò Maurizio, Lara, Lea, e Alessandra.

10 Agosto

Mi sono svegliato presto e ho dormito bene perché l'aria è raffrescata dalla pioggia caduta copiosa
nella notte.
Consumo la colazione in albergo, ma molto rapidamente perché non voglio essere bloccato dal titolare che ieri mi ha costretto all'ascolto del suo "curriculum vitae": gli alberghi di lusso a Milano
(Gallia) e a Stresa, e poi la sua gestione del Grand Hotel presso la cascata del Toce in Val Formazza.
Dirigo la macchina verso Crodo, sono in anticipo ma sono impaziente.
Sono quasi le 10, ma le strade sono deserte, e anche Crodo è inanimata; mi fermo proprio davanti
allo stabilimento della "Crodo" dove producono il famoso Crodino, e non posso non considerare
quanto sia lucrosa questa produzione, una produzione ad alto valore aggiunto: acqua naturale di fonte
che sgorga senza soluzione di continuità, addizionata di coloranti e aromi e con prezzi al consumo di tutto rispetto. Finalmente, sono quasi le 11, suono al cancello di Maurizio che apre, e sull'ultimo
gradino della scala appaiono Lara e Lea sempre radiose.
Andiamo a pranzo da "Sciolla", ma ne siamo tutti delusi a dispetto di come lo magnifica il titolare,
quindi ci trasferiamo nella bella e caratteristica Piazza Mercato, una piccola bomboniera di stampo
rinascimentale dove le bimbe, instancabili, giocano, e noi adulti possiamo conversare: poche ore di
serenità e mi godo lo spettacolo dei bambini presi dai loro giochi, incantati mentre compiono alcuni
giri sulla giostra decorata con motivi floreali rosa e azzurro.
Infine giunge l'ora di separarci: sono molto stanco perché sono reduce da un viaggio breve ma
faticoso.

11 Agosto

Sulla strada per Modena preferisco percorrere il lungolago da Baveno ad Arona: è sempre bella
questa strada panoramica che svela a ogni curva scorci suggestivi del lago Maggiore.
Arona è impraticabile perché è giorno di mercato, e pertanto rinuncio a districarmi nel traffico
convulso di macchine e pedoni fra i banchi degli ambulanti, poi mi libero dall'imbuto in cui ero
e sono sulla superstrada per Sesto Calende.
Procedo senza intoppi fino a Modena che raggiungo stanco e felice.

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CHE CI FACCIO QUI?
E' il titolo del libro del bravo e famoso scrittore Bruce Chatwin morto prematuramente: è la domanda
che mi faccio anche io, ma non trovo risposta.

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Il Gabbiano
Sono sveglio da pochi minuti e fisso il soffitto spiovente della mansarda dove spicca il rettangolo
luminoso del lucernario: il cielo è terso, di un azzurro intenso.
A un tratto il vetro è scosso da un grande uccello che vi si è posato: un gabbiano bianco con le
zampe di un giallo ocra come il grande becco leggermente adunco.
E' imponente, gonfio di piumaggio e becca sul vetro afferrando, o credendo di afferrare qualcosa
da mangiare: è uno dei gabbiani "spazzini" che vengono da acque vicine e lontane alla ricerca di cibo.
E' bellissimo. ma subito, raccolto il cibo, si libra nell'aria con leggerezza ed eleganza.
Mi ha ricordato l'immagine felliniana del pavone che appare con la sua splendida ruota, quasi per
magia, nella neve di Rimini e subito scompare.

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Ho riletto d'un fiato "Il Cantico dei Cantici"
Meraviglioso, e penso di avere provato anche io le ineffabili emozioni descritte nel Cantico: sublimi
metafore dell'amore divino e umano, indistinguibili nell'accezione più elevata, un ideale ineffabile
che può ripagare delle sofferenze e difficoltà della vita.

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A. Ferrin
modena  
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EMMA 
poesia di USHI FLACKE

Piccola mano nella mano grande
Piccolo passo con un grande passo
Così andiamo per questa terra
Cammini un po' con me
E mi fai mille domande
Chiedi del sole, della neve, del vento
Chiedi se i sogni possono volare
Perché le chiocciole sono viscide
Se invecchiare fa male
Perché il pesce è così liscio
E se l'uomo vive più di cento giorni
Se si può vedere l'amore
E se le rane fanno le uova
Perché ci sono l'uomo e la donna
Piccola mano nella grande mano
Piccolo passo e un grande passo
Così andiamo per questa terra
Cammina un po' con me
Cosa è l'amore cosa è la vita
Un albero cresce o sarà trapiantato
Abbine cura poiché
Anche tu sarai grande
E in pace potrai vivere.

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venerdì 18 agosto 2017

IO E LEI

                                                                        IO E LEI
                                                                      (Oltre la vita)

E' il titolo dell'ultimo libro di Edoardo Boncinelli, il grande Genetista italiano: è uno scienziato e,
onestamente, dichiara subito il suo radicale scetticismo circa ipotesi di trascendentalità e sacralità
della vita umana.
Noi siamo parte della natura, natura di un universo imperscrutabile che non riusciamo a concepire
nella sua immensità e complessità; forse siamo solo un accidente, un caso fortuito o necessario in un
processo chimico-fisico-biologico che esula dalle nostre capacità di indagine e comprensione.
Ma l'evoluzione del cervello e delle relative capacità cognitive ci ha regalato il rovello col quale trastullarci nella vana ricerca del senso della vita, della nostra vita e dell'universo.
Ciò vale per tutto il mondo animale, vegetale e fisico: essi obbediscono a leggi intrinseche alla natura, la quale ne regola l'esistenza unicamente in base alle sue esigenze e secondo le quali lei, la natura, mira a perpetuare se stessa, assicurando la sopravvivenza delle Specie.
Pertanto mondo fisico, animale e vegetale sono regolati da un ciclo vitale che prevede
nascita-vita-morte,senza soluzione di continuità in base alla legge di Lavoisier :          "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma" 
Ma solo l'uomo ha consapevolezza di sé e, grazie all'istinto di conservazione, pensa che la morte non
lo riguardi, e infatti anche in punto di morte "non vede" la propria morte, vede quella degli altri ma non vi si sofferma più di tanto perché la sua visione è insostenibile!
Questa analisi di Boncinelli spiega la "necessità" della trascendenza e delle religioni avvertite dall'uomo, alle prese con una scelta radicale non sempre netta: da un lato sperare in un qualsiasi
"aldilà" che lo rassicuri circa l'ineluttabilità della morte, alleviando così le sue angosce e paure, ma con la conseguenza di essere preda di religioni e relative dottrine; dall'altro accettare di essere parte della natura, peraltro indifferente al destino dell'uomo, del singolo, perché interessata solamente a se stessa, alla sua continuazione.
L'uomo vive finché ha coscienza di sé, ossia è consapevole di esserci, dialoga con la sua coscienza, e la natura lo consente; in altre parole, la morte, il nulla sono l'assenza di coscienza.

A. Ferrin
modena

16 agosto 2017

lunedì 14 agosto 2017

SORGENTE

                                                                    SORGENTE

 A tentoni
per valli
orridi e dirupi
tra foschie
arcane
e non sapere
cos'è la vita
cos'è la morte
La vita
illude e sfugge:
nulla di più
ci è dato
che sognare                                  
acqua
sorgiva.

A. Ferrin
14 agosto 2017

sabato 29 luglio 2017

UNA VITA NORMALE

                                                                           




Enea Spada fermò la vettura in via delle Ginestre, proprio davanti al portone, in  uno dei rari casi in cui trovò lo spazio per parcheggiare agevolmente.
Era stanco, quasi distrutto dal lungo viaggio: terse il sudore che imperlava la fronte e si apprestò a
scendere dalla macchina, pregustando una lunga doccia e l'accoglienza gioiosa di Flora, sua moglie.
Raccolse gli effetti personali sparsi sui sedili, li stipò nella borsa e dal baule posteriore prese la piccola confezione di carta dorata che aveva acquistato a Lugano.
Finalmente si staccò dalla macchina, si diresse al portone di ingresso e allora gli parve che la fatica scemasse, che il peso che gravava sulle spalle fosse quasi impercettibile grazie all'euforia che lo dominava, così come non pensava ormai alle estenuanti trattative che aveva condotto a Zurigo e Lugano e alla tensione accumulata nell'interminabile viaggio in autostrada fino a Firenze.
Cercò di liberare la mente dalle scorie del lavoro e aprì il massiccio portone di ingresso nel palazzotto anni 30 di Oltrarno, il portone era sormontato da un tabernacolo votivo con una Madonnina policroma, imitazione delle maioliche Della Robbia.
La costruzione, solida e dalle linee semplici, aveva una base di leggero bugnato e si elevava di 4 piani fuori terra, limitati alla sommità da un'elegante loggia; in origine sprovvisto di ascensore, questo era stato aggiunto da pochi anni dopo liti e scontri fra i condomini.
Entrò nell'androne, si avviò alla porta dell'ascensore che le luci indicavano al piano, e la porta automatica si aprì.
Enea Spada si fermò e non si mosse, quasi statua di marmo, come di alabastro traslucido era la pelle
del viso per il suo pallore, e tale era la sua fissità che non una vibrazione, né un tremito della pelle segnalava che sangue fluisse nel suo corpo.
In seguito non seppe precisare il tempo che restò immobile e terrorizzato alla visione che gli era
apparsa allo schiudersi della porta dell'ascensore: le due ante si erano aperte lentamente come
due lembi di un sipario sontuoso sulla scena pronta per animarsi.
Ma la scena rappresentava solamente morte e sangue: la donna, bella e bionda, lorda  del sangue schizzato sulle pareti a specchio dell'ascensore, era distesa sul fondo in una posa scomposta e grottesca, adagiata sulla schiena e le gambe divaricate poggiate sulla parete opposta a quella d'ingresso, la gonna leggera era scesa per gravità fino all'inguine, e il tutto era una macchia di sangue,
non resse quella visione e distolse lo sguardo.
Enea, professionista di successo della Brandimarte , sicuro di sé e dotato di grande capacità lavorativa nel lavoro e nella vita privata, avvertì la fragilità del suo essere e precipitò in uno stato di totale estraneità e alienazione.
Ma subito si riebbe dallo stordimento e cercò di riordinare le idee: avrebbe voluto fare una bella doccia e abbracciare Flora, e invece era alle prese con un cadavere di donna, e che donna, offesa e sfregiata; barcollando si diresse alle scale per raggiungere l'appartamento al terzo piano: l'ascesa fu faticosa, era svuotato di energie e a ogni passo pensava , ma è tutto vero? Accade qui, in via delle Ginestre? L'ultima cosa cui pensò, fu di precipitarsi al telefono e chiamare tutte le polizie disponibili.
Giunse infine alla porta blindata, suonò ripetutamente, ma Flora non si mosse, e si decise a usare la propria chiave.
Entrando riconobbe subito l'atmosfera familiare, il profumo inconfondibile di Flora e gli aromi delle
essenze da lei diffuse negli ambienti.
Ma Flora non c'era... sulla lavagnetta in cucina aveva vergato un messaggio con il gesso: ciao amore,
torno presto.


Era disorientato, l'appartamento deserto, Flora assente, e lo spettacolo nell'ascensore che scorreva ancora davanti agli occhi; sperò di avere sognato, di aver vissuto un incubo, che fosse impazzito, si
toccò per accertarsi di essere presente a se stesso, tentoni frugò le varie stanze e, quasi non sapesse orientarsi nel suo spazio, ne sfiorava anche gli arredi.
Si abbandonò nella sua poltrona e sperò che un sonno provvidenziale lo allontanasse dalla realtà, ma Morfeo non lo aiutò, e invece dai piani della casa giunse il suono ripetuto e molesto di un allarme, quello dell'ascensore, nonché il trillare dei campanelli delle abitazioni.
Dalle scale proveniva il concitato tramestio di passi e voci confuse, eccitate, anzi allarmate, e così
Enea decise di partecipare alla rappresentazione: ficcò la testa sotto un getto di acqua fredda, si asciugò sommariamente, uscì nel vano scale e ne discese alcune rampe, dirigendo al punto da cui
veniva il clamore.
L'ampio ingresso del palazzo era affollato di condomini curiosi, la Scientifica era già al lavoro, ma niente si riusciva a vedere della scena in prossimità dell'ascensore, peraltro isolato da una transenna:
si notava solo l'andirivieni di carabinieri in tuta e guanti bianchi, con valigette metalliche, che procedevano a misurazioni e fotografavano, quindi disponevano cartelli segnaletici numerati, il tutto alla presenza del Procuratore e di alcuni ufficiali dell'Arma, tutti assediati da alcuni cronisti di giornali locali.              
Ora i condomini presenti erano in spasmodica attesa e, spinti dalla morbosa curiosità di "guardare", indagare i dettagli più truculenti della scena del delitto, volevano vedere, essere testimoni di un fatto di cronaca nera di quella gravità: non capita tutti i giorni di essere così vicini, quasi precipitati in una realtà criminosa e perciò provare la tensione e l'emozione di sentirsi anche protagonisti.
Così parlottavano a bassa voce, forse nessuno aveva visto, ma tutti sussurravano una loro versione:
chi aveva visto un cadavere, chi un uomo, chi una donna, chi due cadaveri, uomo o donna non sapeva. E in ogni caso, il cadavere o i cadaveri erano per tutti degli sconosciuti.
Enea Spada, tra i presenti era stato il solo, primo fra tutti, a scoprire il crimine, ma se ne stava in disparte, molto discretamente annuiva alla verbosità degli altri e intanto pensava a Flora sua moglie:
dove si era cacciata? Gli Ufficiali dell'Arma identificarono i presenti controllandone i documenti e
alcuni di essi, pur non richiesti, pensarono di dovere giustificare la loro presenza, poi gli inquirenti vollero che i condomini osservassero la scena del delitto e chiesero loro se conoscevano la morta, ma tutti negarono, anche sdegnati; in ogni caso furono invitati a tenersi a disposizione.
Spada mostrò i propri documenti, risalì le scale per rientrare nel suo alloggio, ma l'operazione gli
costò molta fatica, si aggrappò al corrimano sul quale faceva leva per ottenere la spinta necessaria.
Enea, assopito sul divano, impiegò alcuni minuti prima di avvertire il suono ripetuto del telefono, infine rispose e la voce di Flora, la sua bella voce, lo investì: ma perché non rispondi? Egli farfugliò poche parole confuse, ma quando realizzò che sua moglie era all'altro capo del filo, si scosse e rispose: Flora, torna subito a casa, non posso spiegarti ora, guarda che l'ascensore è fuori uso e dovrai
usare le scale, ciao ti aspetto.
Nel frattempo il medico legale aveva constatato la morte e proceduto a una prima, sommaria esplorazione del corpo, sostenne che non era completato il processo di "rigor mortis", e si lasciò sfuggire che la donna poteva avere 35/40 anni.
Pertanto la Procura autorizzò la rimozione del cadavere, ne fu disposta l'autopsia per individuare causa e modalità della morte e DNA, e dispose per i presenti e gli assenti del palazzo, la raccolta  dei reperti utili per accertarne il DNA. L'inventario degli oggetti rinvenuti sulla scena del delitto e sul corpo della donna era meticoloso e stilato dai funzionari della Giudiziaria: c'era la borsetta della
donna, non dozzinale né particolarmente elegante ( secondo il tecnico avvezzo a manipolare reperti, era una buona eco-pelle), al suo interno, una busta dello stesso materiale con il solito armamentario
che ogni donna utilizza per ritoccarsi il trucco, "per incipriarsi il naso", infine  un portachiavi in pelle e una boccetta di profumo molto noto.
Nessuna traccia di documenti personali, né di telefoni portatili.


L'uomo si distese ancora sul divano, attese che Flora rientrasse e ripensò alla giornata ormai trascorsa
che gli aveva riservato grandi sorprese e forti emozioni: aveva sempre evitato la frequentazione di
Camere Mortuarie, anche per rivedere parenti o amici deceduti, e questo da quando, durante il servizio di Leva svolto a Vicenza nella Caserma Ederle presso la Base Americana di quella città,
era stato suo malgrado protagonista di un  episodio macabro: nella città vivevano due suoi zii anziani, Amalia e Giuseppe, e quest'ultimo era così malato che la sua dipartita non sorprese più di tanto.
La zia Amalia e i figli gli chiesero di partecipare alla veglia funebre nella camera mortuaria, egli si
prestò a iniziare la veglia, ma riteneva, forse ingenuamente, che il suo turno sarebbe stato breve, e che
presto sarebbero subentrati i figli del morto e invece Enea attese invano per ore.
Si ritrovò solo, in una camera esagonale angusta rivestita di marmi pregiati in cui, dall'alto, finestrelle con vetri istoriati filtravano una luce giallognola e al centro, sulla pesante lastra di porfido, era deposto il corpo dello zio Giuseppe.
Nessuno dei suoi cugini, né le zie lo raggiunsero nella camera della veglia e così un certo turbamento si insinuò nell'animo di Spada; sulle prime non pensò fosse paura, ma la visione continua e obbligata
del morto alimentava timori sempre più incontrollabili.
Il soldato Enea vestiva la divisa invernale, ma l'ambiente, che lo conteneva come un loculo di marmo,
il viso eburneo di Giuseppe, già rigido che pareva scolpito, tutto aumentava il gelo che penetrava nelle ossa.
L'uomo era abbattuto, ma accettò il fatto quasi fosse comandato a una guardia d'onore, e d'altra parte
non volle lasciare lo zio da solo, disteso sul marmo: da quel momento, a lungo gli parve di fiutare l'odore pungente della formalina diffusa nell'ambiente.
Il giorno seguente fu chiarito l'equivoco: nessuno aveva chiesto la veglia notturna al defunto.


Il rumore dello scrocco alla porta lo distolse da pensieri molesti, e vide Flora precipitarsi sul divano
e abbracciarlo.
Ma cosa è successo? l'ascensore è posto sotto sequestro dalla Procura! Era trafelata e affannata per i tre piani fatti a piedi, Enea raccontami tutto; Spada attese che Flora respirasse, e quindi, cercando di controllare le emozioni, le parlò dell'accaduto, e sul viso della moglie notò espressioni di incredulità
mista a terrore, di stupore e quello sguardo tutto particolare di chi non capisce, o non riesce a realizzare che l'orrore sia stato e sia così vicino alla loro vita: pensava, come tutti i comuni mortali, che la cronaca nera toccasse sempre gli altri, gli sconosciuti sempre più lontani, comunque fuori
dal proprio orticello, e ciò, mentre aumentava la percezione di sicurezza personale, nello stesso tempo consentiva di osservare la vita dei propri simili con il distacco necessario per dare sfogo alla
curiosità più morbosa.
Enea Spada disse tutto a Flora: che sarebbero stati convocati in Procura come tutti i condomini per
deporre, e qui la moglie: anche io? Ho detto tutti i condomini, tu non ne sei parte? E Flora di rimando: allora dobbiamo prepararci, rivolgerci a un'avvocato, magari al tuo amico Marco del
Galluzzo, sì, mi riferisco a Innocenti.
Il marito non voleva essere precipitoso, e cercò di placare l'ansia della moglie: ma cosa abbiamo da temere? Questo è il normale iter, e noi saremo ascoltati solo perché abitiamo nel palazzo del misfatto,
e qui Enea non disse, non volle dire alla moglie di essere stato, forse, il primo a vedere la scena del
delitto, cosa che aveva taciuto anche agli inquirenti, e per il buon motivo che spesso i testimoni sono, per deformazione professionale degli stessi Carabinieri e Poliziotti, i primi, o tra i primi, a essere messi sotto torchio, e cronaca e letteratura erano zeppe di casi esemplari: egli voleva solamente non essere invischiato in situazioni kafkiane.


Infine l'uomo propose a Flora di cenare nel loro solito locale, l'osteria il Milione sulla via di Giogoli: pensava così di attenuarne la tensione, di farle vivere una serata come le molte che in passato avevano trascorso sui colli sopra il Galluzzo.
L' Osteria era posta in posizione felice perché dall'alto offriva la visione della Firenze notturna in cui spiccava la Cupola del Brunelleschi e i Lungarni illuminati disegnavano il corso del fiume;
imboccarono dunque dalla Porta Romana la via di Giogoli, e anche quella sera, come di consueto, Flora accennò ai fatti di sangue attribuiti al cosiddetto "mostro di Firenze", una catena di efferati delitti compiuti da una o più persone in luoghi appartati di quelle colline, ma secondo Enea non era il momento opportuno per rievocare quei fatti, anche perché ora, nel loro palazzotto piccolo borghese pulito e ordinato, c'era un ascensore trasformato in mattatoio.
La cena era al lume di candela, sotto il pergolato protetto da un castagno sul pendio della collina incorniciata da un filare di cipressi; Enea aveva chiesto espressamente di potere trascorrere una serata speciale con la moglie, e tutto sembrò rispondere alle aspettative: il menu ricercato, il vino raro, la leggera brezza che da vigneti e uliveti recava aromi di terra e sfalcio d'erbe, fece sì che Enea e Flora si guardarono a lungo, in silenzio negli occhi, poi lui l'accarezzò, lei pose il capo sulla sua mano, si baciarono, e l'uomo riuscì a porgerle il piccolo incarto dorato: lei lo aprì delicatamente e scoprì un
prezioso cammeo blu con le Tre Grazie, sorrise e lo baciò ancora.


Con un cenno di intesa, andarono alla cassa e risalirono in macchina dirigendo verso casa; in via delle
Ginestre parcheggiarono e si diressero all'ingresso. Si era creata fra i due una tensione tangibile, ma positiva, una carica elettrica fatta di emozioni e aspettative alimentate da un desiderio indomabile, e promessa di estasi come di giovani amanti.
Le ripetute assenze dell'uomo, dovute alla professione che lo portava nel Nord Italia , unite all'apatia e nostalgia della donna per i figli non nati, erano causa dei rapporti sessuali sempre più rarefatti, e nella notte si amarono come non accadeva da tempo.
Il mattino seguente i condomini furono convocati alla spicciolata presso la Procura, a disposizione del
Magistrato, furono ascoltati i 16 coniugi abitanti del palazzo con un ordine stabilito: iniziarono coi Pacini, poi i Baldi, i Martelli, Ciampi, Biondi, Fabbri, Barbieri, Baroni, Ferrari, Pratesi, Rossi, Gori,
Mancini, Cappelli e infine Spada con la moglie Cioni.
La procedura fu la medesima per tutti: alcuni si sbrigarono in fretta, altri, che ritenevano si trattasse
di una semplice formalità, furono intrattenuti più a lungo, e coloro che non si erano ancora sottoposti al test DNA, lo fecero, come Flora Cioni, assente nel momento del rinvenimento del cadavere.
A tutti il Magistrato mostrò più istantanee del cadavere, ripulito e composto, riprese nel reparto
refrigerato della camera mortuaria.
Donne e uomini uscirono dall'ufficio: alcuni stralunati e lo sguardo assente, altri erano forzatamente
disinvolti, ma non riuscivano a controllare del tutto l'emozione, e altri ancora erano più capaci di
darsi un contegno; infine Enea e Flora, mano nella mano, lasciarono l'ufficio degli inquirenti: Flora era evidentemente turbata e il marito la teneva stretta a se.
La vicenda della donna sconosciuta assassinata nell'ascensore della città fece scalpore ed ebbe una risonanza clamorosa in tutta Italia, e nel palazzo d'Oltrarno turbò la quiete dei suoi abitanti i quali, avvezzi alla vita di piccoli borghesi, si videro precipitati in una realtà sconosciuta, quasi spinti sul proscenio e, loro malgrado, mettere a nudo le parti più segrete della loro vita.
E tuttavia tutto ciò ebbe l'effetto di accentuare la "socialità fra i condomini" che, vuoi per l'insicurezza dei più e il conseguente bisogno di fare gruppo, si frequentarono e approfondirono la conoscenza reciproca.
Era un continuo invitarsi e ospitarsi tra i vari piani, il palazzo si trasformò in un piccolo alveare.
Nel frattempo le indagini seguirono il loro corso: i Carabinieri fecero ulteriori sopra luoghi negli appartamenti, chiesero delucidazioni e dettagli apparentemente insignificanti, ma era chiaro che lo
facevano in base a precise ipotesi investigative, e con metodo scientifico frutto di una lunga esperienza.
E nel condominio fioccavano le ipotesi e le ricostruzioni più inverosimili ; chi più chi meno, molti si scoprirono, e improvvisarono, novelli Maigret, mostrando un'inventiva e creatività senza fine.
Tutto sembrava rientrato nella normalità, ma le indagini segnavano il passo: non un sospetto fermato,
non un avviso di garanzia, e già serpeggiavano tra la gente, che voleva il mostro in prima pagina, malumore e delusione per l'operato della Magistratura.
Enea Spada, per alcuni giorni volle stare vicino a Flora. La donna era stata a dir poco scossa dal delitto di via Ginestre, ma poiché mostrava di aver superato lo shock, (e infatti se ne parlava molto meno), il Funzionario della Brandimarte ricominciò le sue peregrinazioni nel Nord Italia, la moglie invece riprese la vita di sempre, la cura della casa, gli aperitivi con le amiche e occasionalmente la ricerca di gratificazione in qualche negozio di moda femminile.
Così ogni cosa, sembrò ritornare nell'alveo della normalità in via delle Ginestre, dove normalità significava vivere la quotidianità come fatica di vivere, giorno dopo giorno, nell'illusione e desiderio di potere un giorno essere felici, ma alcuni rimpiangevano la bolla fittizia di una realtà virtuale creata dal delitto, realtà grazie alla quale avevano avuto la visione fugace della verità sulla natura umana, la sua ferocia e la morte.


Infine il lavoro oscuro ma tenace degli inquirenti ebbe risultati clamorosi: fu individuata la vittima
dell'ascensore, tale Esmeralda Crucetti; abitava in un vecchio Fondo in Santa Croce, donna bella e di
condizione agiata, ma perché fosse stata  massacrata nell'ascensore di un palazzotto borghese d'Oltrarno, parve subito un garbuglio inestricabile, ma le tracce biologiche raccolte erano numerose,
furono ripetuti controlli e riscontri sui reperti disponibili, riconvocati in Tribunale alcuni inquilini, e di fronte al magistrato si ritrovarono anche i coniugi Spada.
Questa volta però, Enea pensò bene di farsi assistere dall'amico avvocato Marco Innocenti, così
Flora sembrò rasserenata, e insieme si recarono in Tribunale a Novoli, il nuovo tribunale di Firenze,
modernissimo e imponente che incuteva timore, un'immagine della Giustizia come potere granitico e incombente; nel labirintico edificio furono introdotti alla presenza del Sostituto Procuratore incaricato.
Il dott. Cutolo chiarì i termini della procedura quindi, mostrando le fotografie della donna, peraltro
già apparse sui giornali e in televisione, chiese ai coniugi se la conoscessero. 
Enea Spada scrollò il capo per negare, come fece sua moglie Flora, ma subito il Magistrato si rivolse
ancora alla donna: ma signora Cioni, sugli effetti personali e sul corpo della Crucetti sono state
individuate tracce che sono perfettamente compatibili con il suo DNA signora Flora, così come sono
state rinvenute nell'appartamento della Esmeralda...lei conosceva la Cioni Esmeralda?
Flora non disse nulla, guardò il marito e impallidì. Gli occhi si gonfiarono di lacrime e disperazione,
fissò ancora Enea, l'amico Marco e il Procuratore, quindi, quasi sussurrando, con calma glaciale 
confessò: minacciava di dire tutto a mio marito, di distruggere il mio matrimonio, e io non potevo permetterlo.             

A. Ferrin
Modena, 24 luglio 2017