A seguito della " Legge Basaglia", dal nome dello psichiatra Basaglia, sono stati chiusi i Manicomi italiani; Basaglia da Trieste ha innovato la psichiatria italiana liberando i pazienti che erano segregati, più o meno di propria volontà, pazienti che perciò sono rientrati nella società civile . Pertanto, i cosiddetti "matti" si sono confusi fra gli altri cittadini, il che ha prodotto effetti singolari: essi non sono segregati e c'è una omologazione di fatto tra sani e diversamente sani; forse è sempre più diffusa la convinzione che tutti noi siamo lambiti dalla follia, o che siamo tristi, ignari protagonisti in una recita collettiva. Che ci azzecca questa premessa con ciò che mi è capitato ieri? C'entra eccome perché mette in evidenza che la professionalità non è scontata in chi esercita professioni "sensibili". Ieri mattina, dopo una notte insonne, ero stremato e "sbiellato", preda di una apatia inconsueta, del timore di non possedere energie sufficienti per compiere le azioni più semplici, quasi avvertissi l'inutilità del gesto, e ho pensato alla letteraria "fatica di vivere" di Cesare Pavese. Non montarti la testa, mi sono detto. In realtà pagavo lo scotto di un Agosto molto caldo e soprattutto afoso vissuto in questa landa assolata, unito all'imprudente sospensione di un farmaco che dovrei assumere regolarmente. Ero ansioso, troppo; ho pensato di risolvere il malessere recandomi al Pronto Soccorso del Policlinico: non l'avessi mai fatto! Mi sono messo tra le fauci dell'Istituzione che, con l'esplosione della Pandemia Covid, si è chiusa in se stessa quasi fortilizio ben munito; capisco le inevitabili misure di sicurezza, ma in altra occasione ne avevo notati gli eccessi a scapito dei Servizi riservati ai cittadini sempre più in difficoltà ad accedervi. Dunque ero prostrato, il mio medico ha staccato il telefono, e chiamo un taxi che mi porti al Pronto Soccorso del Policlinico: non è logico che una persona in difficoltà si rechi nell'Istituzione Pubblica a ciò adibita? Le porte automatiche si aprono su un primo spazio inibito a parenti e accompagnatori, si materializza una addetta ricoperta e travisata dalla testa ai piedi, con camice, maschera e copricapo, rileva la mia temperatura con una "pistola" puntata alla fronte, e prosegue: perché è venuto? Quale è il problema? Io sono debole ma rispondo: sono molto stanco e incerto sulle gambe, e sono giunto qui con difficoltà ; ho capito, ma cosa sente, perché è in questo stato? Vorrei parlare con un medico se possibile. La donna in scafandro, rassicurante, sono l'infermiera qualificata e incaricata di redigere la scheda di ingresso: annota le generalità e la causa del mio accesso "stanchezza diffusa". Una seconda porta scorrevole si apre sull'astanteria del P.S., una nuova infermiera mascherata mi si avvicina, rileva ancora la temperatura e misura la pressione (è perfetta), e affabilmente mi chiede: cosa è successo Antonio? Chiedo di conversare con lei riservatamente e mi introduce in un altro ambulatorio dove ripeto le cose già dette: sono molto stanco, dormo male e questa notte non ho dormito, e lei, prende medicine? Si, prendo antidepressivo e qualcosa per la notte. Inutile sottolineare che tutti i "filtri" che ti si parano davanti si sentono in dovere e diritto di rivolgerti domande che concernono la tua intimità: sono questi che infine ti fanno accedere all'incontro con un vero medico, ma sei già a disagio e privo della fiducia nell'Istituzione. Quindi ritorno all'attesa nell'astanteria quasi vuota perché non vi sono ammessi gli accompagnatori dei Pazienti; nella sala deserta le addette (sono per lo più donne) si muovono organizzate e sicure, ma in me aumenta lo stato ansioso. Si apre una nuova porta scorrevole e un infermiere corpulento e barbuto si affaccia e fa il mio nome. Entro in una grande sala luminosa: al centro c'è una postazione circolare con molti video davanti ai quali sono sanitari che evidentemente visionano risultati e parametri della strumentazione in attività per i pazienti; la grande "sala di controllo" (sembra la sala di controllo di un centro spaziale) è circondata da box suddivisi e nascosti alla vista da semplici lenzuoli, e in questi box sono distesi i pazienti che sono stati "processati", è una loro definizione, per essere visitati, ma a un capo di questo ferro di cavallo c'è un crocchio di giovani donne che ridono. Questa visione produce in me un effetto imprevisto, quanto allarmante. Rivedo l'Ospedale di Chicago dove mi ero recato per incontrare mio fratello Ermanno in fin di vita; anche lì c'era la sala di controllo attorniata dai box in cui erano i degenti in terapia intensiva a vista dei medici incollati agli schermi: in 5 giorni non ho notato un medico entrare nel box di mio fratello. Devo dire che Ermanno non era provvisto di un'adeguata copertura assicurativa, e ciò costituisce un grande svantaggio per il cittadino Americano che debba fare i conti con l'Assistenza Sanitaria: non è un caso che avvocati e Tribunali siano investiti da liti continue. Entro nel box, mi tolgo la giacca ma non mi siedo, ho un signore compagno di box, già medicato e disteso sulla barella; ecco apparire una dottoressa piuttosto anziana che si qualifica come psichiatra e che il P.S. ha chiamato per fornire una consulenza. La professionista ha un approccio allarmante: è tesa più di quanto io sia e sembra intenzionata a sottopormi a sedute di psicanalisi che io non ho richiesto, infatti volevo che alleviassero i sintomi ansiosi, forse di panico e nient'altro. E lei: Antonio, sono qui per una consulenza, stia tranquillo, cerco di aiutarla, mi dica come mai, cosa è successo? Ma io non sono tranquillo: non mi piace questa invasione della mia intimità, e invece la Signora (ma vuole essere chiamata dottoressa!) vuole fare la "psichiatra" e basta, ma suppongo di una psichiatria un poco datata. Io percepisco il pericolo, forse enfatizzato, che sia in gioco la mia libertà, quello di essere oggetto di una sorta di costrizione, ma cerco di controllare la mia ansia che cresce, nonostante le rassicurazioni della psichiatra. Dichiaro allora di volere lasciare il P.S. ma lei non capisce, continua a dire di stare tranquillo, che è vicina a me per aiutarmi, affermo quindi che sono entrato liberamente nel P.S. e che allo stesso modo voglio uscirne. Infine accetta che io sottoscriva l'auto dimissione. Io, lettore di Kafka, riconosco in questa vicenda tratti della sua opera: l'angoscia dei suoi personaggi nella "Metamorfosi", nel "Processo", o ne "Il Castello": penso a Gregor Samsa, all'Agrimensore, e a Joseph K.
modena, 6/9/2020