Da Porto Garibaldi, con la Romea sfiorarono l'Abbazia di Pomposa, Bosco Mesola e Valle Bertuzzi, poi per antichi terreni bonificati raggiunsero Goro e la Sacca omonima, e seguendo la strada d'argine di questo ramo del Po, ecco Gorino, dove il corso del fiume si frastaglia in rami minori che lasciano acque in lanche e mortizze, tra lingue di terra e dune sabbiose. La batana era tirata a secco sull'estrema lingua di terra, e Berto, aiutato da Giulia, la spinse in acqua: egli portava a spalla l'unico remo utilizzato per la voga alla veneziana, si staccò dalla riva e costeggiò la sacca fino al Faro di Goro.
Giulia, silenziosa, sedeva a prua con la mano nell'acqua verdastra che sciabordava nascondendo il fondo alla profondità di soli 60 cm: l'acqua ora era limacciosa, ora cupa di alghe e cespugli.
L'acqua salmastra, sorvolata da gabbiani felici, era increspata e tremolava per la brezza che dalla pineta svaniva sul mare.
La donna fissava lo sciabordio prodotto dalla sua mano: Berto le disse che la mano in acqua faceva da timone, ma lei godeva di mani o piedi immersi.
Giulia slacciò il pareo, mostrando il bikini turchese che esaltava le forme di splendida quarantenne; sembrava incurante della presenza di Berto che la osservava, ma senza darlo a vedere, che la sua bellezza lo stupiva ancora, e con piccoli tocchi del remo indirizzò la barca e penetrò nell'intrico di cannella palustre dirigendo a Canneviè, la vecchia stazione di pesca trasformata in oasi di riposo per amanti del paesaggio vallivo e dell'osservazione della fauna.
La batana procedeva lenta tra cannella, salicornia e giunchi: l'odore salmastro e di marcita divenne pungente, e al crepitio delle erbe si levavano in volo garzette, qualche airone, e immobile, più oltre,
era la visione rara di un Cavaliere d'Italia, ritto su una minuscola barena.
Elegantissimo e guardingo affondava il becco nell'acqua, e Berto lo indicò a Giulia che posò lo sguardo sull'uccello e sorrise, e allora l'uomo ricordò che il Cavaliere d'Italia, (al pari di altri animali)
corteggia la sua compagna con un rituale delicatissimo e romantico, comportamento esemplare per gli umani che spesso non usano gli stessi riguardi negli approcci amorosi.
Approdarono all'isolotto di Canneviè: in passato era stata una stazione di lavorieri addetti alla cattura e lavorazione delle anguille, e poi convertita in ristorante e albergo; l'orizzonte profondo, ormai sfumava in gradazioni di rosa che, da valli e lagune zittite, stingeva sul mare senza luce.
Nella nuova Canneviè non c'era traccia di lavorieri, ma era ancora isolata in una rete di barene erbose unite da passerelle rudimentali, a volte munite di pontili d'attracco, e l'insieme di questa fusione fra
terre e acque era suggestiva, quasi una tela finemente ricamata: le passerelle e il perimetro del locale erano segnate da torce anti zanzare che infestano da sempre queste lagune.
L'uomo e la donna cenarono: l'atmosfera nel locale era propizia alla rimozione di ogni timore e sopiva tensioni e crucci della vita quotidiana a Ferrara.
Avevano stabilito di dormire a Canneviè, e il mattino dopo fare a ritroso la vogata per Gorino.
Alcuni turisti provarono ad animare la serata, ma non c'era un istrione degno di questo nome, e allora le voci si affievolirono, e i pur generosi tentativi si ridussero a più miti pretese: un vecchio piano
verticale era sulla pedana e si offriva a suonatori avventizi e coraggiosi.
Uno dei presenti si avvicinò, timidamente e con circospezione, allo strumento, ma subito, uomini e
donne, lo spronarono battendo le mani; l'uomo, ormai a suo agio di fronte alla tastiera, cercò il La.
Il pianista, condiscendente e con un pizzico di sussiego, strimpellò vecchie canzoni e brani classici, nei quali alcuni si cullavano e cedevano alla nostalgia, mentre altri abbandonarono la sala diretti alle camere.
Anche Berto e Giulia dopo alcuni brani si alzarono e, rivolto un sorriso al pianista, si avvicinarono ai vetri, notando subito che le torce si stavano spegnendo, e la loro luce sempre più fioca allungava le ombre della notte.
I due erano sereni e si tenevano per mano: da quanto non accadeva? Forse da quando frequentavano i
Lidi nei lontani anni 60? Si erano invaghiti l'uno dell'altra nei giorni assolati di luglio, con i balli lenti e il rito giocoso della seduzione che poi finiva sempre fra le dune del litorale Acciaioli.
Adesso erano distesi sul letto, certamente stremati dall'intensa giornata, ma non dimentichi di quel passato, e non resistettero al desiderio: si scambiarono effusioni dolcissime e si rividero giovani, lei
nel pieno fulgore della giovinezza, i capelli biondo cenere, gli occhi grandi e stupiti, lui quando credeva ancora che tutto fosse senza fine: nutrivano fiducia nelle promesse di gioia e felicità.
Chiusero gli occhi che lei era abbarbicata a lui come rampicante o, come diceva Berto, un ragnetto.
Furono risvegliati al mattino dal clamore della natura e dal sole che entrava prepotente dai vetri; l'uomo scese dal letto e osservò Giulia che sembrava assopita, ma era solo civettuola e indolente, le
si avvicinò sfiorandole bocca e palpebre con le labbra.
Erano in sala per la colazione: dalle finestre spalancate irrompeva il chiasso dei gabbiani e l'aria di erbe e salsedine; l'uomo e la donna, ristorati dal sonno e dalla colazione, uscirono da Canneviè (Berto con il suo remo in spalla), e raggiunsero il pontile a riprendere la batana.
Il cielo era terso, la leggera brezza mattutina penetrava nelle strette vie d'acqua tra la vegetazione
verde oro che ondeggiava e frusciava; i due erano catturati dalla bellezza e serenità di una natura che
pare immobile, ma che invece brulica di vita, e dove le acque del grande Delta recano da lontano, senza fine, limo e sedimenti che fanno terra del mare.
Giunsero stanchi nel porticciolo di Gorino, ormeggiarono la barca e Berto assicurò il suo remo sul tetto della vettura, quindi decisero di pranzare alla Uspa, il locale più schietto, e forse l'ultimo, nella
lingua di terra, più a sud del Delta, che si distende nell'Adriatico.
Camminarono sulla nuova terra di polesine sperando di avvicinarsi al vecchio faro, ma il percorso
risultò impervio e infido; ritornarono sui loro passi e salirono in macchina per fare ritorno a Ferrara.
Nel viaggio verso Ferrara, Berto e Giulia furono di poche parole; era scemata la tensione positiva dell'aspettativa all'andata, nonché la lusinga delle ore trascorse insieme: erano oppressi da pensieri molesti legati alla realtà che non amavano.
Berto chiese a Giulia: a che ora abbiamo appuntamento con gli avvocati? E lei: domani alle undici.
A.Ferrin
modena, 27/08/2018